12. Crimson fireflies (2)

Arco II: rEvolution

Capitolo 12: Crimson fireflies (2)

Difficilmente avrebbe cancellato dalla sua memoria il ricordo degli occhi furbi e del sorriso provocante di Violet, né sarebbe riuscito più a guardarla in ufficio senza sovrapporre al suo professionale ed austero aspetto diurno quello della predatrice dai mille nomi.

L'aria della notte, satura di gas di scarico e smog, non gli era mai sembrata così gradevole. Vincent la respirò a pieni polmoni, felice di essere finalmente fuori dai fumi della licenziosità del Naughty Sunday.

Si strinse nelle spalle, avvertendo un brivido freddo percorrergli le braccia caldamente avvolte dal cappotto nero, sollevò la kefiah fino a coprirsi la bocca, per poi rivolgere alla sua destra il capo, là dove sostava Alicia, con un cappello di lana blu scuro in testa e l'aria leggermente assonnata.

Chissà a che ora andava solitamente a letto, si chiese lui, che raramente aveva provato tanta curiosità verso una persona; forse era l'aura di invalicabile malinconia che la avvolgeva a rendere Alicia Reed così interessante.

Mosso un passo verso di lei, fece per chiederle perché lo cercava, quando venne anticipato.

«Fa un po' freddo stasera. Vieni, ho la macchina qui vicino.» disse la donna, e gli fece cenno col capo di seguirla, mentre la lunga treccia corvina le scivolava lungo la schiena.

Vincent non se lo fece ripetere: non gli piaceva il freddo, qualsiasi cosa era meglio di rimanere lì ancora all'addiaccio.

Fu facile non perderla di vista nonostante si stessero dirigendo alla parte meno illuminata di tutto il parcheggio del locale: Alicia non solo era parecchio alta, ma indossava sul giubbotto bianco un morbido foulard lillà, che sventolava ad ogni suo passo.

Il ragazzo si ritrovò a seguire più esso che la donna, quasi ipnotizzato dai quei movimenti ondeggianti. Era come un piccolo rifugio sicuro in mezzo a una tempesta, dove il vento arriva nettamente smorzato.

Lacey, Replica, Violet... tutto sembrava una realtà meno pericolosa.

I suoi passi si arrestarono dopo una breve camminata sulla ghiaia, quando raggiunsero la macchina; fece un fischio d'ammirazione «Una donna così esile alla guida di un Mercedes-Benz W166. Mi piaci sempre di più, lo sai?»

La mora gli scoccò un'occhiata torva «Siete davvero odiosi quando pensate che a noi donne non possano piacere i motori.»

«Hai ragione!» rise lui, divertito.

Alicia era anche abbastanza permalosa, ma di certo non era una donna debole e sapeva il fatto suo; neanche al loro primo incontro, quando sembrava che ogni parola potesse ferirla, aveva fieramente resistito, a testa alta. Era orgogliosa e molto pretenziosa, lo si poteva capire anche dal modo in cui muoveva i fianchi quando camminava, come un soldato.

La donna estrasse dalla tasca dei pantaloni un telecomando e ne premette un pulsante; un doppio segnale acustico annunciò che l'antifurto era stato disattivato.

Si diresse subito al lato del guidatore, ma non prima di aver rivolto a Vincent un sorriso ironico «Sali pure. Attento, è alto.»

Vincent sorrise di nuovo, ammettendo la sconfitta «Starò attento.»

Alicia non scherzava: era davvero alto, ma niente in grado di causare davvero un problema ad una persona della sua statura; dopo aver aperto la portiera, il bruno entrò in macchina e si serrò dentro, tirando un sospiro di sollievo.

«Sembri più sereno.» notò l'altra quando gli fu accanto, senza accennare ad accendere il motore.

Annuendo, lui confermò «Lo sono. Mi hai salvato da una situazione davvero tediosa. Odio il tedio. Persino Seneca lo odiava!»

Quasi avesse raccontato una barzelletta, la donna rise divertita, mantenendo però un tono di voce basso «Seneca? Non sembri proprio un tipo dai gusti così ricercati.»

«Mens sana in corpore sano, mia cara, bella signorina. Sono una persona piena di sorprese.»

«E il tuo lavoro notturno è una di queste sorprese?»

Vincent smise di ridere, colpito a tradimento da quelle parole. Solo allora, attraverso la luce smorzata dei lampioni lontani, Alicia notò il fitto disegno viola delle occhiaie che gli oscurava il viso, e sul collo, poco sotto l'orecchio, una sottile cicatrice bianca allungata, a cui non aveva mai fatto caso prima.

Alicia si chiese quante altre cicatrici simili nascondesse quel ragazzo, e non solo visibili.

«Comunque, mi cercavi?» domandò lui con una punta d'interesse, cercando gli occhi di lei.

Quelle due iridi immensamente blu non erano diverse dalla prima volta che le aveva viste, ma Vincent non si illuse che Alicia non fosse stata infettata dal virus H. Per colpa sua.

Ella annuì, la mano sinistra corse ad accarezzare lo sterzo di pelle nera; Vincent si aspettava che da un momento all'altro mettesse in moto, ma non accadde.

«Sono venuta a sentire la risposta alla mia domanda.»

Esattamente ciò che pensava.

Abbassò lo sguardo, teso; quanto aveva dato peso a quel quesito? Molto, a dire la verità. Per diversi motivi, tutti ricollegabili ad un unico obiettivo: comprendere le persone attorno a lui.

Del resto, chi non tradiva almeno una volta nella vita? Jonathan aveva tradito lui, quando nel momento dell'insicurezza lo aveva abbandonato; sua madre aveva tradito suo padre, stanca di Thomas Black e del suo modo di fare; Shaun tradiva regolarmente Ian Newell, in un modo quasi plateale tra l'altro; Vincent stesso aveva tradito Marika, su un letto d'ospedale, in una stanza fredda e cupa.

Ci aveva pensato, ragionato, si era trivellato il cervello alla ricerca di una risposta a un dubbio così vago, e alla fine era arrivato a una conclusione: Jonathan lo aveva tradito perché voleva insegnargli a pagare i suoi errori; Liza aveva tradito Thomas per liberarsi di una situazione che la opprimeva; Shaun tradiva Ian per attirare la sua attenzione; lui aveva tradito Marika per paura di farle ancora più male.

«Perché le persone tradiscono?»

Vacillando, socchiuse le labbra ed articolò lentamente le parole, gli occhi gialli puntati su quelli azzurri di lei «Perché... credono di fare la cosa giusta.»

Alicia sbatté le palpebre diverse volte, come se si aspettasse una risposta più chiara.

Vincent la accontentò, ma non prima di essere scivolato nel morbido sedile, mascherando un po' della sua insicurezza nell'oscurità circostante «Per chi tradiscono o per qualcun altro, per loro stesse, per un fine ultimo. C'è una storia dietro ogni persona, un motivo per cui loro fanno quello che fanno. Spesso a noi non è chiaro, ma per loro lo è.»

La corvina lo fissò intensamente, al punto che Vincent si vergognò un po' delle sue stesse parole.

«Questo...» fece lei, curvando le spalle ed aggrottando la fronte: era confusa, quasi spiazzata «... È assurdo.»

Non voleva ammetterlo, ma Vincent sapeva che anche lei si stava rendendo conto che quel ragionamento forse non era del tutto sbagliato. Che forse un fondo di verità lo aveva. E lei aveva sbagliato tutto, agendo d'impulso.

Il ragazzo credé di vedere gli occhi inumidirsi, ma non mosse un dito quando la sentì trattenere a stento un singhiozzo, né quando ella si coprì metà volto con una mano.

Alicia era una donna forte, una di quelle che non avrebbero mai accettato un atto di carità da uno sconosciuto.

«Credo di sì, è assurdo.» concordò, rivolgendo lo sguardo all'esterno, dove ogni tanto intravedeva qualcuno tornare alla propria automobile «Ho un amico psicologo che mi dice sempre di smettere di campare di ragnatele d'illusioni e vedere il mondo per quello che è: un mattatoio. E le persone per quello che sono: oggetti di studio delle infinite potenzialità della mente umana.»

Per qualche motivo che Vincent non comprese, Alicia sembrò divertita da quel commento, tanto da forzare una sottile risata e smettere, almeno per il momento, di star così visibilmente male.

«Dev'essere proprio una persona orribile, questo tuo amico, se vede le persone come semplici oggetti di studio...» sussurrò.

L'altro soppresse una risata, ma non si trattenne dall'annuire «Sì, abbastanza.» senza dubbio Giles non era l'individuo più empatico del pianeta.

«Potrei farmi visitare da lui...» considerò Alicia «Si divertirebbe.»

Vincent la osservò con la coda dell'occhio, quasi spiandola, ma nel momento in cui il suo sguardo fu ricambiato desistette e le rivolse un sorriso più aperto e sincero; sembrava stare meglio, anche se le sue reazioni erano così fuori dal comune che il ragazzo non credeva di aver ben compreso i motivi della ripresa. Non li cercò più del dovuto, gli bastava non vedere un'altra persona soffrire davanti ai suoi occhi.

La mora posò le mani sulle gambe, silenziosa e pacata com'era sempre.

«Grazie della risposta, Hound. Ne farò tesoro, anche se non so ancora dirti se credo sia quella giusta.» poi aggiunse, con una certa amarezza «Di certo non era quel che volevo sentirmi dire.»

«Vincent.»

Alicia fu sorpresa, parecchio a dirla tutta, tanto da fissarlo con l'espressione di chi crede di aver sentito qualcosa mai realmente pronunciato.

«Mi chiamo Vincent. Vincent Black.» ripeté egli, con un'espressione gentile e cordiale che non gli si addiceva ma che Alicia trovò confortante «Non è giusto che io conosca il tuo nome senza che tu sappia il mio.»

Il suo grande autocontrollo aiutò la donna a non mostrare quanto forte fosse l'emozione che provava in quel momento, quanto le fosse mancato in quei mesi di solitudine un sano contatto umano con una persona che non la giudicasse, nonostante il suo atteggiamento non fosse dei più amichevoli o ammirevoli.

«Vincent Black...» ripeté Alicia, con il sorriso più sincero che lui le aveva mai visto indosso «Non lo dimenticherò.»

E così erano in due clienti a sapere il suo vero nome ora, constatò il ragazzo; del resto, con Shaun e Alicia aveva sviluppato un rapporto decisamente diverso da quello che aveva con gli altri. Con Shaun ci era voluto molto tempo, ma con lei aveva scoperto un'affinità particolare e quasi istantanea.

Pensare che probabilmente entrambi erano rimasti intrappolati nella tela di Lacey Smith lo faceva sentire colpevole di tradimento.

Senza però avere stavolta il tempo di perdersi in pensieri negativi, fu interrogato dalla donna.

«Me lo chiedevo da un po': come mai hai scelto proprio Hound

Ah, voleva sapere il perché di quel soprannome?

«È una storia un po' lunga.» scrollò le spalle Vincent «Ma per farla breve...»

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