12. Crimson fireflies (1)
Arco II: rEvolution
Capitolo 12: Crimson fireflies (1)
«Che cosa?! Mi dai buca?»
All'altro capo della cornetta, la voce roca e gutturale della professoressa Ward si lagnò per un altro minuto buono su come suo marito l'avesse quasi scoperta l'ultima volta che si erano visti, ed essendo stata indetta una serata con gli amici per guardare insieme la partita di baseball... l'appuntamento andava rimandato.
Nel chiudere la chiamata, Hound tirò un lungo sospiro. Lacey non sarebbe stata affatto contenta di questa notizia, ma non era colpa sua se ultimamente la clientela scarseggiava.
A dire la verità ciò lo sollevava a dir poco: da quando aveva scoperto la verità quel suo sporco lavoro notturno era diventato un inferno, se gli era possibile scaricava i clienti nuovi ai suoi colleghi e privilegiava quelli abituali, conscio però di essere costantemente sotto l'occhio vigile e impietoso di Replica.
Si guardò il polso, da sotto il lembo della maglietta nera si affacciava timidamente un cerotto, unica conseguenza del prelievo che gli avevano fatto poche ore prima i medici della LIFE, nella parte di locale riservata al personale.
Aveva sempre pensato che il dottor Fisher fosse una persona strana, ma né lui né le due infermiere che lo accompagnavano davano l'idea di lavorare per un'organizzazione segreta.
Seduto ad un tavolo a debita distanza dal bancone, nella abituale terza sala del Naughty Sunday, Vincent, senza più nulla da fare se non lasciarsi affondare in pensieri senza fine, trafficò col suo cellulare alla ricerca di un nome particolare finché non lo trovò: Shaun Morris. L'ultima volta che lo aveva visto era stato una settimana prima; Shaun non gli aveva più fatto domande né aveva insistito per sapere che cosa lo avesse così profondamente turbato.
"Dovrei dirglielo? Dopotutto è probabile che sia rimasto infetto per colpa mia..." rimuginò il ragazzo, le spalle infossate nella sedia e lo sguardo basso, pensoso "O forse è meglio di no?"
Avrebbe dovuto chiamarlo, chiedergli di incontrarsi e buttare fuori tutto, anche a costo di essere creduto pazzo. Invece posò l'apparecchio sul tavolo e riprese a sorseggiare il suo Bacardi, dandosi dell'idiota.
Non ne aveva il coraggio! Aveva promesso a se stesso che la discussione con Marika non sarebbe stata un nulla di fatto, ne avrebbe tratto nuova forza, coraggio e determinazione.
"Devo dirglielo. E non solo a lui."
Sollevò finalmente gli occhi dal bicchiere ancora per metà pieno. Per quanto l'idea di rivelare tutto lo spaventasse, non poteva sopportare di restare ancora fermo ad osservare mentre tutto andava secondo i piani di Lacey, trasformando chissà quanta gente nel suo esercito personale: no, era suo dovere fare qualcosa.
Ma per il momento avrebbe dovuto stare ancora ai giochi, rimanere con due piedi in una scarpa e non dare a Replica nessun motivo per dubitare di lui; la sua presenza, così ossessiva e pressante, poteva sentirla alle spalle ogni volta che usciva di casa, ma al Naughty Sunday era più forte che mai.
Decise che avrebbe cercato Replica e le avrebbe spiegato la situazione: non c'era motivo di rimanere lì oltre, a quell'ora tarda; si guardò perciò intorno, senza però trovarla da nessuna parte.
In compenso poté notare che quella sera era presente proprio la creme de la creme: da mister Callaham - un cinquantenne che aveva fatto fortuna nel Maine e che era tornato a Phoenix per ragioni sconosciute – assieme a una delle prostitute più giovani; quel vecchio maniaco del fashion designer Lawson in compagnia di Sonia; infine, un quattrocchi assolutamente anonimo che tentava di intrattenere una conversazione con l'annoiata Leah.
La scena strappò un sorriso a Vincent: chissà quanto sarebbe resistito il suo trans preferito prima di svelare l'oscuro mistero della sua voce sensuale.
Così preso da ciò che vi era intorno a lui, non riuscì a captare una presenza che alle sue spalle lo aveva approcciato con passo felpato, muovendosi nella penombra delle luci basse e soffuse.
Quando se ne accorse fu però troppo tardi, una voce gli penetrò l'orecchio destro, sottile e sensuale ma maliziosa come quella di una strega.
«Oh, ma guarda un po' chi abbiamo qui: Vincent Black! Da quanto tempo, mio esimio...»
Lacey? Una sua cliente? Una voce che Vincent conosceva pur non riuscendo subito a riconoscerla, ma che di sicuro apparteneva a una persona pericolosa: qualcuno che sapeva il suo nome, la sua identità.
Scattò di lato con la testa, ma ebbe appena il tempo di notare una figura femminile muoversi lesta verso una delle sedie del suo tavolo, alla quale si accomodò.
A Vincent caddero metaforicamente le braccia: era Violet Alraven. Vestita in un modo che lasciava poco all'immaginazione e con un'espressione divertita.
"Violet Alraven al Naughty Sunday, vestita come una zoccola. Gli alieni ci hanno invasi?" non poté fare a meno di pensare, ironico.
La squadrò con occhio critico dalla testa ai piedi, senza alcuna vergogna di essere ripreso - e a lei la cosa non sembrò dispiacere.
Nonostante la fantasia negli abbinamenti di colori fosse sempre limitata al bianco e nero, non avrebbe potuto essere più diversa dalla Violet Alraven che conosceva, con quella scollatura degna delle sue colleghe, l'audace minigonna e, ciliegina sulla torta, delle calze a rete.
Violet Alraven e le calze a rete erano due concetti inconciliabili come poteva esserlo una Lacey Smith che prende i voti.
«Qual buon vento ti porta quaggiù, caro collega?»
Alla sorpresa soggiunse il disorientamento: la osservò di traverso, come se stesse guardando un fantasma o qualcosa fuori dal comune, e in effetti fuori dal comune lo era parecchio.
Tuttavia, la sua prima regola era essere sempre padrone della situazione, non lasciarsi mai spiazzare e dimostrarsi all'altezza di ogni occasione in cui incappava, come se niente fosse in grado di incrinare il suo autocontrollo; perciò l'attimo di smarrimento venne subito abortito e sostituito da un sorriso beffardo.
La mano destra, che si era bloccata nel momento in cui Violet gli aveva parlato, riprese a tamburellare sul tavolo, stavolta più lentamente e silenziosa.
Assunse un'espressione pensierosa e accostò una mano al mento «Uhm... qui vedo solo due possibilità. O sei la gemella segreta di Violet Alraven, oppure... demone, ti prego, non uscire più da questo corpo.»
Ecco, quale miglior modo per cominciare una conversazione se non con una stronzata? Dopotutto era quello il Vincent che tutti conoscevano e che Violet aveva avuto modo di intravedere a lavoro. Dentro di sé, però, vedere la donna che per lui era quasi simbolo di perfezione formale con quell'aspetto di predatrice distrusse qualcosa: non solo la sua convinzione che fossero le prime impressioni a fare la differenza, ma soprattutto la speranza che a Phoenix vi fossero ancora persone affidabili, serie e soprattutto non potenzialmente coinvolgibili nel progetto E.
E invece l'aspetto di Violet lasciava ben poco al dubbio sul perché fosse lì: anche lei... era una prostituta? O ne cercava una?
Ella, sollevando gli angoli delle labbra in un sorriso raro quanto una pioggia di meteoriti, rispose ironicamente «Nulla da fare, entrambe le risposte sono sbagliate. Oddio: Violet Alraven, Rose Elwolf, Scarlet Fox... in questo locale ci sarà sicuramente qualcuno che mi conosce con diversi nomi, d'arte o meno, ma ti assicuro che sono sempre io: la tua adorata collega d'ufficio.»
«Non so se essere più spaventato dal fatto che tutti i tuoi cognomi sono ispirati ad animai o che mi hai rivolto più di due frasi non composte da monosillabi.» scrollò le spalle, con finta impertinenza «E sono qui per un, diciamo, appuntamento.»
Scusa migliore non ne aveva trovata e sapeva benissimo quanto le sue parole potessero essere fraintendibili. D'accordo, stava parlando con una persona che sembrava infischiarsene degli affari degli altri, ma era anche una sua collega e poteva metterlo nei guai, perciò preferì dare l'impressione di essere lì per un appuntamento con una escort, piuttosto che per un appuntamento con un cliente.
Doveva mantenere i nervi saldi, per quanto quell'incontro fosse l'ultima cosa al mondo che voleva.
Ma chiaramente Violet non si sarebbe fermata lì «Considerata la stanza in cui stai attendendo, posso ben intuire di che genere di appuntamento si tratti. Del resto l'importante nel mercato è che domanda e offerta riescano in qualche modo ad incontrarsi, no? Felici entrambe le parti, felici tutti.» e detto ciò si accomodò di fianco a lui.
Il ragazzo si lasciò andare ad una risata divertita e vivace, benché non vi trovasse in realtà niente di divertente nelle parole della donna; si diede una spinta all'indietro con la sedia, così da appoggiare meglio la schiena contro lo schienale, ed il sorriso che per un attimo corse lontano dalla bionda, alla sua destra, dove finalmente poté rintracciare la familiare presenza di Replica, seduta in fondo al bancone.
Si fissarono a vicenda, poi Vincent, con un brivido che gli correva lungo la schiena, tornò a sorridere in direzione della giornalista al suo tavolo.
«Mercato, offerta? E dire che eri quasi riuscita ad ingannarmi! E invece hai proprio ragione, sei sempre la mia adorata collega d'ufficio!»
Sì, vederla parlare così tanto, sorridere, comportarsi in un modo informale... per un po' aveva davvero creduto di trovarsi davanti ad una Violet generata dal riflesso delle luci artificiali sul lucido pavimento, ma ora tutto tornava un po' più negli schemi.
Tentò di nascondere i suoi pensieri con risate e irriverenti parole, ma dentro di lui cominciò a prendere forma una qualche consapevolezza.
Sì, non c'era altra spiegazione, doveva essere quella la sua vera faccia: quella che mostrava di notte. Un po' come lui.
O forse era solamente il Bacardi a dargli alla testa, tanto che per un attimo ebbe la brutta impressione di star rivivendo la notte in cui era diventato quello che era. Gli elementi c'erano tutti: un locale equivoco, volti sconosciuti dai contorni sfocati, una bella donna dal sorriso affilato, un cocktail che gli dava alla testa e Replica nell'ombra.
«Dal canto mio sono qui per divertirmi...e perché no, anche per far divertire, in modo che anche nel mio caso si possa essere tutti felici. Puoi considerarlo facente parte delle mie demoniache stranezze, se vuoi, ma vengo regolarmente presa da questi attacchi di filantropia immotivata, in qualità di "dispensatrice di felicità".» riprese a parlare lei, disinvolta «Ti assicuro che è un impegno al quale non mi dedico meno assiduamente rispetto al lavoro dietro la scrivania.»
Inutile dirlo dunque, il discorso filava alla perfezione: era una chiara confessione, alla quale Vincent si accigliò. Una collega, che ironia, anche sul secondo lavoro! E chissà, magari aveva persino avuto la fortuna di rimanere infetta, cosa ben più che probabile.
Sicuramente però non lavorava per Lacey, altrimenti l'avrebbe già vista in passato. Lavorava agli angoli delle strade allora? O era un nuovo, poco felice acquisto della signora della nightlife di Phoenix?
«Capisco. E, dimmi, chéri...» Vincent fece scorrere il dito indice della mano destra sul bordo del bicchiere in un gesto fluido «L'essere seduta ad un tavolo col figlio del capo attirerà su di noi qualche occhiata malevola? In quel caso avvicinati: amo essere invidiato, e lascia che sia io a godere di questa tua "inclinazione". In cambio, ti farò divertire.»
No.
Non era quello che voleva. Lui non voleva dire niente del genere.
Perché aveva praticamente invitato Violet a fare i suoi comodi? Per un secondo la confusione si impadronì della sua mente: l'unica cosa che lui voleva era andarsene, per quale motivo invece rimaneva lì, col corpo che si rifiutava di muoversi, ad accettare le proposte ambigue di quella donna? Stava diventando pazzo?
Fu allora che la vide. In fondo alla stanza, che parlava a Replica: Lacey era lì. I capelli biondi raccolti in una coda di cavallo, l'abito elegante che usava quando aveva in programma di salire sul palco e poi... i suoi occhi su di lui, un sorriso sagace ed un saluto con la mano a cui... lui ricambiò.
Non voleva farlo, ma lo fece. E anche Violet si voltò a osservare la Madre.
Allora Vincent, d'improvviso in un bagno di sudore freddo, comprese: era questo ciò che il dossier intendeva con influenza mentale che i genitori erano in grado di esercitare sugli infetti: Lacey lo stava costringendo a fare quello che voleva lei. Era come vedere il mondo attraverso una lente.
«Sei un pallone gonfiato, Vincent Black.»
Un incubo era finito, il tempo aveva ripreso a scorrere.
Non la migliore medicina per tornare alla realtà, ma fu comunque gradita.
Vincent distese un sorriso forzato ma apparentemente naturale. Quando rialzò lo sguardo Lacey era scomparsa, ma al suo posto si trovò una Violet Alraven più vicina di prima; la bionda aveva infatti trascinato la propria sedia a pochissima distanza da lui, non contribuendo in alcun modo a farlo rilassare.
Si sentiva quasi messo in trappola, era come se Lacey e Violet si fossero in qualche modo alleate, e chissà che non fosse vero.
«Ma chi ha detto che questo sia un male?» gli domandò, vicinissima «Anzi, da che mondo è mondo con i palloni, specie quelli ben gonfiati, si possono fare tanti giochetti interessanti.»
Doveva andarsene.
Quella donna gli metteva un po' di timore addosso: era come avere davanti qualcuno che non aveva un carattere definito, ma che sfruttava un'incredibile capacità di adattamento a qualsiasi situazione in modo da risultare sempre e comunque vincente.
Vincent quella capacità non l'aveva mai avuta, era uno dei tanti difetti che faceva finta di non avere; Lacey lo aveva messo in quella situazione però, probabilmente anche per testarlo, quindi non poteva permettersi passi falsi: sarebbe andato avanti fino all'autodistruzione.
Fu dunque per questo che non si ribellò alle successive mosse della donna, che, ormai praticamente addosso a lui, gli posò un dito sulle labbra per zittire ogni possibile commento, aggiungendo «Hai proprio ragione, honey. L'invidia degli sfortunati è prezioso nettare per i vincenti, che se ne nutrono traendone forza e diventando sempre più vincenti. Ah, quasi dimenticavo: la tua proposta è assolutamente accettata. Fammi divertire, piccolo mio, e vedrai che non avrai di che pentirtene...»
E, quasi a tradimento, gli accarezzò una guancia.
"Dio, che schifo. Toglietemela di dosso. Qualcuno me la tolga di dosso."
Mantenne i nervi saldi, forzandosi a non aggrottare la fronte - gesto che avrebbe tradito il suo spiazzamento - e a mantenere un'espressione rilassata, da chi ha la situazione sotto controllo; gli giunse un odore molto particolare, che riconobbe subito: violetta, che fantasia.
Non aveva mai sentito così tanta ripugnanza al tocco di qualcuno. Era disgustoso, come se ogni dito poggiato sulla sua pelle lo insozzasse.
Era dovuto alla consapevolezza sul virus H? Stava infine vedendo attraverso la nebbia dell'inebriamento dei sensi a cui era inconsapevolmente da mesi?
Come svegliandosi da un sonno che lo aveva avvolto fino a quel momento, il ragazzo allontanò la guancia di qualche centimetro dalla mano candida della donna, in modo da potersi voltare per guardarla negli occhi.
Notò per la prima volta che era leggermente strabica.
Portò indietro le spalle, raddrizzando la schiena e le spalle con un movimento lento, mentre la ammoniva sibilando «Non così in fretta, honey. Le cose facili sono anche noiose.»
Doveva prendere tempo.
Violet rimase visibilmente sorpresa, dandogli occasione di rilanciare.
«Ah.» indicò con la coda dell'occhio il proprio bicchiere, ancora mezzo pieno «Gradisci qualcosa da bere? Sarebbe un peccato non approfittare di un'occasione che offre di più di quel terribile caffè dell'ufficio.»
Il caffè della famosa macchinetta, unico punto comune che quei due avevano nella loro vita diurna, quale dolce ricordo di una realtà che appariva lontana anni luce!
Violet accavallò le gambe ed imitò un tono di voce da bimba capricciosa, facendogliela pagare a parole «Tanta premura mi lusinga, honey. Benché possa assicurarti di non essere ridotta così male dall'avere nel caffè dell'ufficio l'unico liquido bevibile extra-acquatico di riferimento, accetterò volentieri la tua offerta.»
Dire "sì" era troppo difficile?
Senza pietà, la donna alzò una mano per chiamare un cameriere tanto giovane quanto indaffarato che passava di lì proprio in quel momento, con le mani talmente ricolme di bicchieri e coppe che sembrava pronto a scatenare un disastro da un momento all'altro. Vincent naturalmente lo conosceva, si chiama Tim e lavorava al Naughty Sunday da circa tre settimane.
Languidamente, la donna gli chiese «Che ne diresti di portarmi qui un Piña Colada, bello mio? Ho la gola così secca...»
Tim si limitò ad annuire, non senza subire il fascino di Violet; evase lo sguardo della donna per posarlo su Vincent, fingendo di prendere anche la sua ordinazione ma con uno sguardo che sembrava gridare "perché capitano tutte a te?"
Lo stesso Vincent se lo stava chiedendo.
«Per me nient'altro, Tim, metti tutto sul mio cont-...»
«Hound?»
Violet, non appena sentito il nome Hound, si lasciò scappare un'espressione stupita, quasi sconvolta, che però ancora una volta durò quanto lo sbattere d'ali di una farfalla; doveva aver realizzato che Vincent non era lì per incontrarsi con una prostituta ma con una cliente.
Quando Vincent si voltò, fu come se avesse visto la luce del sole: Alicia Reed. Alicia Reed, coi suoi bellissimi occhi celesti e i modi pacati; una delle poche persone che aveva davvero piacere di incontrare.
«Mi dispiace interrompere...» con un tono di voce un po' incerto, mezzo coperto dalla musica che vibrava intorno a loro, Alicia fece scorrere gli occhi su Violet.
«Beh, avevamo un appuntamento, perché dovresti disturbare?» il bruno si rivolse poi all'altra donna accanto a lui, prima che Violet leggesse in faccia ad Alicia la sua menzogna «Sono davvero spiacente, mia esimia collega, ma sembra che dovremo rimandare la nostra... conversazione.»
Violet strisciò la sedia qualche centimetro indietro, per lasciare definitivamente libero Vincent; al giovane sembrò di leggerle in volto una certa delusione, che venne sostituita da un sorriso trattenuto, cattivo, senza un minimo di positività.
Non gli piaceva per niente quella donna.
«Oh, non preoccupartene. Non è che non abbiamo fin troppe occasioni per incontrarci, collega.» anche lei, proprio come lui poco prima, calcò parecchio su quella parola, per poi sollevare la mano con cui gli aveva accarezzato la guancia per salutarlo «Ci vediamo a lavoro, Hound.»
Alicia non comprese bene il motivo di quel continuo evidenziare la parola collega, né fece notare che non aveva nessun appuntamento con il ragazzo. Ma considerando che lo cercava, perché non approfittarne?
Vincent si alzò dalla sedia e la raggiunse, invitandola a prendere una boccata d'aria fuori.
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