11. Arrollando en la noche (5)
Arco II: rEvolution
Capitolo 11: Arrollando en la noche (5)
Indecisi su dove andare, alla fine avevano scelto il posto preferito e personale di Vincent: il tetto del grattacielo dove abitava. Non che non ci fossero altri luoghi molto più interessanti a Phoenix, ma quello era un posto privato, che solo chi conosceva bene Vincent aveva visto e in cui si poteva essere sicuri di ritrovare sempre il giovane quando spariva per diverse ore; quello, infatti, era il suo nascondiglio, dove si rifugiava ogni volta che aveva voglia di stare da solo e pensare.
Soltanto Jonathan, Marika e Fanny ne erano a conoscenza, e i primi due, naturalmente, avevano fatto l'impossibile per convincerlo a trovarsi un altro covo, senza però riuscire nel loro intento; Fanny, al contrario, gli aveva fatto i complimenti per la bella vista.
«Non mi piace questo posto... è troppo pericoloso...» Marika pronunciava quelle parole ogni volta che metteva piede su terrazzo, dal quale si godeva una magnifica vista della città.
Sembrava un'interminabile, luminosissima e silenziosa distesa di luci.
Il cielo buio era illuminato dalle luci artificiali, che creavano attorno all'area cittadina una coltre giallastra, ed essendoci pochi palazzi alti quanto quello sembrava di trovarsi in picco al mondo e di poterlo guardare dall'alto in basso.
Questo piaceva a Vincent di quel luogo, oltre al vento fresco che spirava quasi ogni sera e all'assenza di un parapetto. Se per una qualsiasi ragione qualcuno fosse caduto da lì, lo avrebbe aspettato una caduta libera di circa centocinquanta metri, che probabilmente non avrebbe lasciato neanche un osso integro al povero sventurato.
«Non c'è pericolo se stiamo lontani dal bordo.» precisò lui, sedendosi a gambe incrociate nel bel mezzo dello spiazzo, per poi invitare Marika a fare lo stesso con un eloquente gesto della mano.
La ragazza esitò un attimo, ma si lasciò presto convincere e fece altrettanto.
«La vista però è sempre magnifica, non puoi negarlo.» sorrise il giovane.
«Sì, senza dubbio...»
Anche a Marika piaceva molto, benché soffrisse di vertigini e non osasse mai avvicinarsi più del dovuto alla zona pericolosa; oltre ad essere un bellissimo luogo, i rumori giungevano ovattati e smorzati, rendendolo ancor più piacevole.
Sembrava di distare miglia dalla civiltà, in un luogo privilegiato ed esclusivo degli dèi.
Piegò le gambe, portando le ginocchia sotto il mento, e sorrise in direzione dell'amico «Non credevo che sarei più tornata qui.»
«Neanche io lo credevo.» ammise lui, ricambiando con un mezzo sorriso; nonostante precedentemente fosse stato abbastanza glaciale con lei durante le loro uscite, aveva cominciato a rilassarsi ed accettare l'idea di poter tornare in buoni rapporti con lei.
Marika era cambiata, era maturata tantissimo e adesso era una fiera donna, piena d'amore per se stessa, esattamente ciò a cui aspirava anche Vincent, che in se stesso vedeva solo confusione e specchi che riflettevano immagini inesistenti o piene di imperfezioni.
Un sottile silenzio li avvolse, lo sguardo dell'una era rivolto alla luna alta in cielo, quello dell'altro invece scrutava l'orizzonte cittadino, una linea brillante che aveva visto innumerevoli volte nella sua vita. Il vento era freddo.
Vincent appoggiò le braccia e la testa sulle ginocchia, chiudendo gli occhi.
«Sembra tutto così perfetto da quassù...»
La voce di Marika gli giunse alle orecchie, ma lui tardò a rispondere, alla ricerca di parole difficili da afferrare e frasi che normalmente avrebbe composto in modo diverso, ma che sapeva di poter pronunciare almeno davanti a Marika.
«A me sembra tutto così crudele...» rispose infine, in un sussurro «E così spaventoso...»
Anch'ella si immerse per qualche secondo in un ostinato silenzio; Vincent conosceva bene quella reazione: Marika era cauta quando parlava con lui, come se fosse stato di cristallo.
Il ragazzo emise una sottile e roca risata «Che problema hai? Non avevi ricominciato a uscire con me per dimostrarmi quanto sei diventata una persona migliore di me, che ti ho abbandonato come un vigliacco?» la sentì sussultare, ma non volle aprire gli occhi «L'hai fatto. Dunque che motivo hai di continuare a cercarmi? Sei tornata per farmela pagare in eterno?»
«Non...» con un filo di voce, che subito divenne un torrente in piena, Marika irruppe, sollevandosi quanto bastava per scivolare fino ad essergli accanto «Questo non è vero!»
«Ah no?» in quel poco di chiarezza che la luce lunare regalava, il volto del ragazzo fu finalmente rivolto a quello di lei, i due occhi gialli incontrarono quelli blu «Lasciami indovinare... sei venuta a salvarmi, prima che mi butti giù da questo grattacielo?»
La reazione fu delle più inaspettate: Marika gli afferrò la spalla destra e lo costrinse ad alzare il capo, lo scosse con forza sia con le mani che con lo sguardo, duro ma comprensivo.
«È vero, sono tornata per dimostrarti che non avevo bisogno di te per diventare chi sono. Tu mi hai abbandonata mentre stavo per cadere nell'abisso, ma altre persone mi hanno aiutata a non precipitare. Mentre tu... tu ci sei già caduto.» notò l'espressione di Vincent farsi confusa, stupita e quasi divertita, beffarda, come se Marika stesse raccontando una barzelletta «Non so perché, ma sono sicura che qualcuno ti ci ha gettato. Tu non eri così: sei sempre stato su quell'orlo ma sapevi ballarci e giocarci sopra senza scivolare. Qualcuno ti ha dato una spinta e nessuno ha neanche cercato di chiamare il tuo nome per svegliarti.»
Parlavano per immagini?
Un'ultima difesa da parte del giovane, un ultimo muro da buttare giù: il suo sorriso di cartapesta che, tremante, gli si allargò sul volto, in netto contrasto con la fronte aggrottata, evidente segno di turbamento «Hey, hey, non farti il viaggio-...»
«Io lo vedo, tu stai ancora cadendo! Non voglio prenderti in giro né dimostrarti quanto sono migliore di te, non voglio essere di nuovo la tua ragazza: sono qui per fare ciò che nessuno ha fatto. Non sarò la persona adatta e non voglio fare la buona samaritana, ma ti conosco, so che vale la pena di lottare per te. Perciò ti chiamerò finché non ti sveglierai e cercherai di tornare in superficie. Non inabissarti ancora di più!»
E anche quella barriera alla fine si frantumò, dopo un lungo, interminabile secondo di esitazione; Marika non avrebbe mai creduto di poterci riuscire, di poter rivedere ancora una volta quel ragazzino sotto le maschere.
E invece rieccolo lì, il vero volto di Vincent Black tanto odiato da lui stesso: incerto, insicuro, pieno di ansie e così apertamente vulnerabile.
Il bambino che a soli sette anni aveva sbattuto contro il muro della realtà ed era entrato nel mondo dei grandi; il ragazzo cresciuto secondo il culto dell'immagine e della prima impressione, che non aveva mai imparato come scavare più in profondità; l'adulto che guardandosi alle spalle trovava apparenze in graduale disfacimento e che guardando davanti a sé vedeva solo nebbia: era tutto lì.
Il suo problema era in fondo sempre stato uno: in quella galleria di specchi, dove ognuno di essi rappresentava un Vincent diverso, quale era quello giusto, da accettare come solo, vero e unico Stephan Vincent Black? Il perfetto figlio minore di Thomas Black, il ragazzo spaventato e mai cresciuto, oppure Hound, il cane della notte?
Vincent non lo sapeva, nessuno forse lo sapeva.
Chinò il capo con vergogna, sentendo la presa sulle sue spalle diminuire.
Con un filo di voce, mugolò appena «... E se fosse un segreto, un segreto orribile a tenermi ancorato al fondo? Potrei parlarne con te o mi abbandoneresti, come feci io con te?»
«Non sono qui per abbandonarti. Siamo amici ora.»
Erano le parole che voleva sentirsi dire, ma stavolta Vincent pensò che non fossero state pronunciate per compiacerlo. Tuttavia, avrebbe davvero rivelato a Marika l'esistenza del virus H? Non ne era sicuro, ma per quella sera avrebbe definitivamente smesso di pensarci.
Si lasciò persino abbracciare e se si sentì confortato da quella vicinanza.
Che ironia che la persona che aveva deciso di salvarlo dall'abisso fosse proprio quella a cui lui aveva voltato le spalle; non era giusto, non era giusto per niente nei confronti di Marika.
Perciò si sentì un ingrato e un verme, e non riuscì a dire altro se non un sibilato «Grazie...»
***
The Nightmares Catcher scrive:
Cambiando argomento... hai letto la mail, vero? Quella di un mese fa.
The Wicked Witch of the West scrive:
Sì. Perché?
The Nightmares Catcher scrive:
Che ne pensi?
The Wicked Witch of the West scrive:
Aspetta, chiudo Steam.
Uhm, non è una domanda facile, sai? Non so se pensare che sia una puttanata o no, non conosco la fonte.
The Nightmares Catcher scrive:
Se ti dicessi che è tutto vero, mi crederesti?
The Wicked Witch of the West scrive:
Che significa?
The Nightmares Catcher scrive:
E se non fosse una puttanata?
The Wicked Witch of the West scrive:
... In quel caso mi dispiacerebbe per i malati, è davvero una brutta storia. Ma esiste davvero una malattia/sindrome simile?
The Nightmares Catcher scrive:
Scusa, mi chiama Johnny! Ne parleremo un'altra volta, okay?
The Wicked Witch of the West scrive:
N/P. Ci sentiamo presto, nee nee!
^^/
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