11. Arrollando en la noche (2)

Arco II: rEvolution

Capitolo 11: Arrollando en la noche (2)

- Mezz'ora prima; cella frigorifera del Naughty Sunday -

La chiusura di quella porta era stata solo l'inizio dell'incubo.

L'ultimo sguardo che Marylin gli aveva rivolto lo travolse con la forza di uno schiaffo, carico di delusione e di odio; la disperazione era stata soppiantata da sentimenti violenti. Molte volte Vincent era stato osservato in questo modo, ma stavolta era diverso, era qualcosa che non si sarebbe mai perdonato: un peccato mortale.

Era diventato un assassino.

Lacey gli aveva poi messo una mano sulla spalla.

«Benvenuto a bordo.» quella frase, sibilata con ironia, gli rimbombò nel cervello parecchie volte prima che la presenza della Madre si eclissasse, lasciando soli lui e Replica, con Marylin al di là del finto muro.

Crollato sulle ginocchia, Vincent non si mosse per i successivi cinque minuti, nonostante il freddo si intensificasse gradualmente, fino a farlo tremare e gelargli il fiato. Rimase lì, davanti al varco segreto, ascoltando i singhiozzi e i lamenti di Marylin - ognuno di essi era come una lama che si andava a conficcare nei punti più sensibili del suo corpo.

«Mi dispiace...» sussurrò ancora, senza sperare che la ragazza lo sentisse o, cosa ancor più impossibile, lo perdonasse.

Non si era mai sentito così meschino, non aveva mai reputato la propria vita così indegna rispetto a quella di un altro. Perché era toccata a lui una decisione tanto raccapricciante? Che senso aveva infliggergli un'altra ferita? Lacey lo aveva reso suo complice, lo aveva messo davanti a una realtà ancora più dura: se lui l'avesse denunciata, il primo - e forse l'unico - a pagarne le conseguenze sarebbe stato lui stesso. Aveva dato per scontato che l'amore per se stesso e la paura lo avrebbero zittito, e in effetti Vincent non sapeva più cosa fare.

Tutta quella situazione era ingiusta e crudele.

E nonostante si sentisse un mostro per aver condannato una persona innocente, dentro di sé non poté ignorare quel senso di sollievo per non essere lui quello nella cella. Era davvero una persona talmente orribile?

"Ho preferito me stesso a lei. E andrò all'inferno per questo" continuava a pensare, con gli occhi sbarrati e rivolti verso il pavimento coperto da un sottile strato di ghiaccio.

Alla fine fu Replica, quando iniziò a battere i denti, a costringerlo in piedi prendendolo per un braccio, brusca, e tanto lo spinse finché non lo buttò fuori da quella stanza.

Sul suo palmare poi, parato davanti agli occhi del giovane, venne scritto un messaggio diretto, privo di cuore.

"Vattene. Non parlare con nessuno."

E Vincent lo aveva fatto, sconfitto su tutta la linea.

In quel momento la sua vita cambiò per sempre: tutto ciò che sarebbe venuto dopo era diretta e nefasta conseguenza dello strenuo aggrapparsi alla vita che Vincent mostrò quella notte.

***

- Quasi un mese dopo, metà ottobre -

Benché il tempo passasse inesorabilmente, la colazione in casa Black rimaneva una formalità da sbrigare in fretta, non uno di quei momenti tanto celebri nelle pubblicità in cui l'intera famiglia si riuniva intorno al tavolo, chi già sveglio e chi mezzo addormentato, in una generale atmosfera calda e piacevole.

Vincent aveva fatto colazione con Thomas e Jonathan poche volte negli ultimi anni; diversamente, quando era a Seattle, Liza non transigeva su quella regola, anche a costo di buttare lui e Heaven giù dal letto prima dello squillare della sveglia.

Era una cosa che aveva sempre detestato in realtà, perché quando occupava la sua sedia, opposta a quella del patrigno e accanto alla sorellastra, gli sembrava di entrare in un mondo a parte. Gli altri tre parlavano, ridevano, commentavano questo e quello, a volte Liza rimproverava a George di mangiare troppo velocemente, mentre Heaven scoccava a Vincent occhiate veloci.

In definitiva, Vincent preferiva senza dubbio la freddezza di casa Black alla disgustosa felicità di casa Wright.

Da quando aveva scoperto il virus H un mese prima, però, la colazione in casa Black era anche diventata peggio di prima, e Thomas, che sembrava essersi accorto che il ragazzo aveva qualche problema, stava dando il meglio di sé per convincerlo a parlare. Il problema consisteva nella diretta proporzionalità tra l'introversione di Vincent e la totale incapacità di stabilire un contatto con lui di Thomas.

«Sei sicuro di star bene?» domandò il padre.

Aveva appena ingoiato l'ultimo sorso del primo caffè della giornata, lasciata poi la tazzina sporca dentro la lavastoviglie e ora si era finalmente deciso ad affrontare suo figlio, seduto al banco colazione con un piatto di bacon e uova fritte ancora integri davanti.

«Hm-mm.» annuì l'altro, sapendo che difficilmente Thomas avrebbe insistito «Un po' stanco.»

Ma il padre non intendeva desistere, incrociò le braccia al petto e gli si avvicinò «Da più di un mese? Sembra che tu funzioni al rovescio: quando rincasi all'alba la mattina dopo sei arzillo, quando vai a dormire alle undici hai poi l'aria di uno che ha lavorato tutta la notte.»

Normalmente, con una battuta o un rapido cambio d'argomento Vincent avrebbe raggiunto il suo scopo, tuttavia quella mattina la sua bocca era più cucita del solito, i suoi occhi vagavano vacui dal genitore alla colazione ormai fredda.

Quante volte in un solo mese aveva desiderato rivelare la verità a suo padre? Si morse il labbro inferiore, per reprimere quelle parole che altrimenti sarebbero esplose e avrebbero messo tutti loro in grave pericolo.

«Stephan...» sospirò l'uomo.

Vincent non si ribellò neanche ad essere chiamato col suo primo e vero nome.

«Che è successo?» provò ancora, con più veemenza «Sono tuo padre, puoi fidarti di me.»

«Lo so!» non poté trattenersi stavolta, anche se non era sicuro di pensare davvero ciò che aveva detto; espirò quanta aria aveva nei polmoni ed aprì bocca, richiudendola poco dopo, a corto di parole «Lo so, ma...»

Thomas provò ad approfittare di quel momento di debolezza per farlo sfogare «Ti sei messo in qualche guaio? Qualcuno ti ha fatto qualcosa?»

Vincent scosse il capo, distruggendo drasticamente ogni speculazione; dentro di sé, intanto, si sentì scosso, quasi in imbarazzo per tutte quelle attenzioni che raramente gli erano state rivolte dall'indaffarato genitore.

Ritirò le mani sotto il tavolo, muovendo senza sosta la gamba destra su e giù; il peso di essa gravava sulla punta del piede - dopo qualche minuto aveva cominciato a sentirla implorare riposo, ma il nervosismo gli impediva di fermarla.

«No, ho solo rotto con degli amici.» mentì, abbozzando un mezzo sorriso.

Thomas si accigliò, non conosceva gli amici dei suoi figli se non quei pochi che avevano frequentato abitualmente casa loro; nel caso di Vincent solo Fanny e Giles Morgan, Marika Starson e qualche altro compagno del liceo «Non parlerai dei fratelli Morgan...»

«No, no...» con una piccola risata, il figlio negò.

In quel mese aveva tentato di parlare con Fanny diverse volte, ma la ragazza lo evitava: era scostante, non si presentava agli appuntamenti o si inventava di tutto pur di non uscire di casa, mentre lui non era nel migliore dei momenti per dimostrarsi comprensivo e affettuoso. Quanto a Giles, gli aveva spartanamente detto che, almeno per il momento, non poteva rivelare ciò che aveva scoperto e di tenersi pronto per eventuali sviluppi.

Era indeciso se mandargli gli screenshot che si era fatto inoltrare da Neville via fax - unico mezzo di comunicazione con cui ormai si sentiva al sicuro.

«Ho solo bisogno di non pensarci.» riprese a parlare quando si accorse di essersi immerso troppo nei suoi pensieri «Sto preparando gli esami per la prossima sessione.»

Un'informazione inutile, ma che sperava riuscisse a sviare l'argomento, e così fu.

«Perché non vieni con me a lavoro? Potresti fare un po' di tirocinio o semplicemente studiare lì. Non ti fa bene star sempre chiuso in casa.»

Thomas se ne uscì con quella proposta come se fosse stata normale; dapprima Vincent rimase stranito, ma poi, pensandoci bene, decise non era poi così male. Forse uscire lo avrebbe aiutato a tenere la mente occupata.

Sorrise, visibilmente grato «Hai ragione. Okay, allora.»

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top