10. It runs in the blood (1)
Arco I: Evolution
Capitolo 10: It runs in the blood (1)
Lacey sembrava fuori di sé dalla rabbia.
Il suo volto era una maschera d'irritazione trattenuta con fatica: le labbra distese in una linea quasi dritta, gli occhi sottili, accentuati dal trucco scuro, l'ombra che le rigava in due il viso e faceva sembrare le ciglia ancor più lunghe del solito. In una mano ghermiva la maniglia, nell'altra una borsa elegante nera, ma sembrava propensa a lasciarla andare per affondare le unghie laccate di rosso nella gola di Vincent.
Dietro di lei, per la prima volta visibilmente sorpresa, vi era una immobile Replica, avvolta nel suo lungo cappotto. Aveva il chiaro stampo di uno schiaffo sulla guancia destra, il labbro spaccato e una lente degli occhiali crepata.
Il sistema di monitoraggio del computer doveva averle avvertite che qualcuno lo stava usando di nascosto. Di conseguenza si erano catapultate al locale per limitare i danni, ma avevano fallito.
«Tu...» Lacey aveva il fiato corto, lo fulminò rabbiosa mentre lui arretrava istintivamente dentro la stanza, sempre più in trappola «Sei entrato nella mia mail. Lo hai visto, vero? Hai visto tutto...»
«Io...» arrancò il ragazzo, ma il cervello non gli suggeriva nessuna frase utile, né la gola riarsa sembrava in grado di emettere suoni compatibili con la lingua americana.
«E pensavi di andartene così? Impunito, dopo aver spiato i segreti di una donna?» la bionda rise sottovoce, ma sembrava sull'orlo della nevrosi «Replica.»
Dietro di lei, Replica entrò e chiuse la porta a chiave; Vincent osservò per pochi secondi la sua schiena grande e poco femminile, prima che la donna puntasse su di lui i suoi occhi di predatrice e gli si avventasse contro.
***
Contro ogni previsione, non lo uccisero - o almeno non sul momento. Tuttavia l'impatto col terreno fu violento, e il dolore che dalla nuca gli pervase tutto il corpo lo stordì; Vincent provò ad alzarsi, ma tutto ciò che gli riuscì fu issarsi sui gomiti ed osservare intensamente la porta, unica fonte di luce in quella stanza avvolta nell'oscurità: il ripostiglio del seminterrato.
Troppo vicino alla cella frigorifera.
«Aspetta...» arrancò col fiato rotto, ma Lacey lo zittì con un gesto.
Cercava di mantenere calma e compostezza, ma dalle labbra, curvate in un sorriso a mezza luna, i canini bianchissimi le davano un'aria ferina.
«Adesso controllerò fino a che punto ti sei spinto. Oh, e non credere di potermi nascondere niente, ogni attività sul mio computer viene registrata.» sibilò, gli ricordò l'odiato gatto di sua madre quando gli soffiava contro «Tu aspettami qui... e non provare a scappare.»
Mentre usciva, Replica provò ad intervenire per farle notare qualcosa, ma venne zittita con un'alzata di mano; quando la Madre si fu allontanata, la donna chiuse la porta a chiave, lasciando Vincent solo.
L'immenso sollievo per non essere stato ucciso durò davvero poco però, Vincent poteva solo immaginare quale terribile destino gli sarebbe stato riservato: la cella frigorifera? Un colpo in testa? O forse rimanere per sempre lì dentro, a morire di stenti? Voleva gridare fino a perdere la voce, ma la musica che faceva tremare il pavimento avrebbe coperto ogni suo tentativo di farsi sentire.
"Devo mantenere la calma" si disse, ma neanche il tempo di finire la frase che subito si ritrovò in piedi, senza alcun troppo del proprio corpo, a cercare prima di scassinare la serratura, poi di buttare giù la porta a calci.
"Che cosa posso fare?"
Il suo primo pensiero fu talmente banale da sorprendere anche lui: illuminare l'oscurità col suo cellulare; lo estrasse convulsivamente dalla tasca dei pantaloni e lo aprì. La luce del display fendette l'oscurità.
Destra, sinistra, avanti e indietro, Vincent indirizzò il braccio proteso verso ogni direzione e solo quando si rese conto di essere in quello che non era altro che un ripostiglio delle scope.
Solo allora si rese conto di un fattore fondamentale, che gli fece sbattere le palpebre per l'incredulità: il suo cellulare, non glielo avevano sequestrato. O forse Replica ci aveva pensato, ma per qualche motivo aveva rinunciato a farlo notare a Lacey, la quale era preda di emozioni troppo febbrili per accorgersi dell'errore madornale.
In un bagno di sudore le dita fredde tremarono e schiacciarono tasti, componendo il numero di casa sua; con i sensi tesi per ascoltare ogni movimento circostante, Vincent telefonò ed avvicinò l'apparecchio all'orecchio.
Uno squillo.
«Rispondi...» pregò senza fiato, la voce ridotta a un sibilo.
Due squilli.
«Rispondi... !» ogni secondo di silenzio era come una pugnalata al cuore.
Dopo il terzo squillo chiuse la chiamata con rabbia convulsa, maledicendo Jonathan e Thomas che non c'erano mai quando aveva bisogno di loro! Cuore in gola e pelle d'oca, quasi stordito da quella situazione sempre più pericolosa ma al contempo più lucido che mai, tentò di chiamare Fanny, ma rispose la segreteria telefonica, poi Giles, che però come prevedibile aveva il cellulare staccato. Inoltre, ad ogni chiamata la batteria già quasi scarica tendeva sempre più verso il rosso. Sembrava una situazione da film horror.
Aveva un disperato bisogno che qualcuno per lo meno salvasse la e-mail che aveva inviato a se stesso, prima che Lacey la cancellasse per sempre. Immaginava che nonostante le registrazioni avrebbe impiegato un po' per entrare nella sua casella di posta elettronica, ma non poteva permettersi di perdere altro tempo prezioso.
L'orologio digitale segnava le ventidue e trenta passate: chi a quell'ora era probabilmente vicino al computer? Fece un rapido giro di telefonate, scoprendo che Fanny aveva spento il telefono, Giles era irraggiungibile e i suoi famigliari continuavano a non rispondere. Thomas dormiva già forse, Jonathan lasciava ogni sera il telefono senza suoneria sul tavolo della cucina.
Fu allora che prese una decisione estrema. Quella mail andava salvata ad ogni costo, altrimenti nessuno gli avrebbe mai creduto una volta uscito di là - ammesso che ne fosse uscito - e tutti i suoi sforzi sarebbero stati vani. Se proprio doveva morire quella sera - e il solo pensiero lo travolgeva con la violenza di una tempesta, gli faceva accapponare la pelle e gridare di dolore lo stomaco -, per lo meno avrebbe fatto l'impossibile per salvare i frutti dei suoi sforzi.
Sentiva il suo stesso fiato tremare mentre componeva il numero della persona che era la sua ultima speranza.
- Tennesee, Memphis -
In una realtà molto diversa da quella da incubo di Vincent, Neville Lance si stava alzando dal letto. Poco importava che fossero fosse appena calata la notte, era abituato a rincasare tardi e non aspettarsi di essere sgridato.
Nonostante avesse solo diciannove anni era completamente libero, ma con la maledizione di due genitori terribilmente apprensivi alle spalle - era capitato molte volte che li trovasse addormentati sul divano ad aspettarlo.
Sbadigliando annoiato, sollevò gli occhi azzurri al soffitto della sua stanza tappezzata di poster, nella quale si rifugiava solo quando aveva bisogno di dormire o di ascoltare un po' di musica.
"Musica! È proprio quello di cui ho bisogno!"
Le sue labbra si sollevarono in un sorriso rilassato: quella sì che era un'ottima idea, del resto aveva inserito nell'iPod quella vecchia canzone degli Yazoo solo da un paio di giorni, non aveva ancora avuto il tempo di ascoltarla fino alla nausea! Per qualche motivo, quel brano gli ricordava sempre Vincent.
"Già, chissà che fine ha fatto..." si chiese; gli scappò un sospiro, e nel momento in cui col braccio agguantò il piccolo apparecchio rosa poggiato sul comodino, il cellulare lì accanto iniziò a vibrare, sulle note di una vecchia canzone di Madonna.
Strabuzzò gli occhi dapprima, chiedendosi se non si trattasse di uno scherzo telefonico di quelli che i suoi amici amavano fare - e che anche lui aveva fatto qualche volta -, quindi si sporse da sotto le coperte per prenderlo.
Sul display lesse con grande sorpresa il nome "Nightmares Catcher". Vincent lo stava chiamando? Si erano scambiati i numeri per ogni evenienza, ma con le chiamate gratis di Skype, Team Speak e altri freeware era raro che ricorressero ai telefoni.
Doveva trattarsi di qualcosa di serio, e al ricordo di come Vincent nell'ultimo periodo gli era sembrato sempre più triste e insicuro, Neville non attese un attimo di più per accettare la chiamata e portarsi il telefono all'orecchio, sopra una delle ciocche corvine che gli ricadevano disordinate ai lati del viso.
«Vincent?» chiese.
«Neville, grazie a Dio!»
Se la semplice chiamata lo aveva confuso, sentire la voce affannata e terrorizzata dell'altro lo fece direttamente calare nel baratro del panico. Alzò un sopracciglio ed aprì la bocca per parlare ed investire l'amico di domande, ma venne anticipato da un rigido e frettoloso «Ascoltami, non ho molto tempo. Devi accendere il computer ed entrare nella mia posta elettronica, subito!»
«... Sì!»
Incapace di trovare altre parole, il moro balzò giù dal letto e si diresse alla scrivania, verso il suo notebook.
«Si sta accendendo-...» fece, ma ancora una volta Vincent lo interruppe.
«La mail la sai, Nightmares, underscore, Catcher, chiocciola, yahoo, dot, com. La password è...» mentre segnava tutto mentalmente, Neville non poté trattenere un sorriso addolcito nello scoprire che la password del suo amico era nientemeno che il nome del loro team sui giochi di ruolo; digitò la password del proprio account utente e finalmente il desktop gli si parò davanti.
Senza dare al computer il tempo di elaborare, avviò Google Chrome.
«Una volta entrato dovrai visualizzare l'ultima mail, mandata dal mio stesso indirizzo, e scaricarne tutti gli allegati. Chiaro?»
«Chiarissimo!» esclamò.
Maledisse la lentezza del suo processore, che impiegò ben cinque preziosi secondi per caricare il programma, ma ne approfittò per rivolgersi all'altro.
«Vince, che succede? Stai bene?»
«Affatto.» un mugolio di dolore accompagnò quella parola «Se non mi senti più... invia quei file a questa e-mail: Giles, dot, Matthew, dot, Morgan, chiocciola, outlook, dot, com. Okay?»
Le dita di Neville si bloccarono per un secondo, le iridi celesti si ingrandirono di shock: che cosa significava quel "se non mi senti più"? Che cosa stava succedendo? Vincent era in pericolo? Emise un debole «Okay.» d'assenso, ancor più spaventato di prima, e mentre la pagina di Yahoo Mail si caricava davanti ai suoi occhi, afferrò carta e penna per scrivere l'indirizzo di quel Giles Matthew Morgan.
«Sono dentro!» annunciò quasi trionfante, ma in quel momento cadde la linea «... Vincent? ...»
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