4 | Frances- Il futuro
2027, MCO
I told you I'd be coming back again for you but I'm not
Going way out where the world will never find me
I made a claim that I would dance until we're bones with my bride
Told you I would never leave you all alone but I lied
Frances ha imparato a fare i conti con le perdite molto presto nella sua vita, prima ancora di imparare che cosa significasse affezionarsi davvero a qualcuno.
È stata plasmata dalle assenze, dalla precarietà, dall'ingiustizia crudele e bruciante. Ha imparato a non tenere al poco che aveva per paura che le fosse tolto, e questo l'ha resa forte.
Ma anche ruvida, pericolosa, crudelmente diversa da tutti i suoi coetanei.
Dove gli altri bambini avevano difficoltà ad accettare lutti ed abbandoni, lei li aveva sempre accolti con una stretta di spalle, senza protestare, come se in fondo si aspettasse che sarebbe successo e non ne vedesse l'eccezionalità.
Le è sempre sembrata curiosa, fra le tante cose, la sua incapacità di legarsi alle persone senza avere la netta sensazione che prima o poi, per una ragione o per un'altra, le avrebbe perse. E anzi, probabilmente, per quanto malato possa sembrare, è venuta al mondo con la consapevolezza che in ultima analisi sarebbe stata sola e non avrebbe avuto nessuno su cui contare.
Negli anni tante persone le avevano fatto credere di essersi sbagliata, ma una piccola parte di lei, quella rifiutata e allontanata e dimenticata da tutti quelli di cui si era fidata, era rimasta salda su quel presupposto iniziale.
Si vive insieme, si muore da soli.
La prima persona a lasciarla era stato suo padre. Anche se, forse, lasciarla non era il termine giusto da usare, visto e considerato che non l'aveva mai neppure tenuta fra le braccia. Mai neppure voluta. Si era limitato ad ignorarla, come i parigini ignorano la pioggia e come gli ottimisti ignorano le brutte notizie. Non aveva un volto, non aveva un nome, e non sapeva nulla di lei.
Si può lasciare un posto dove non si è mai stati? Frances ha sempre creduto di sì.
La seconda persona ad uscire di scena era stata Maman e, per quanto ingiusto potesse sembrarle accostarla alla figura brumosa e confusa di suo padre, non poteva fare a meno di pensare che anche lei l'aveva lasciata, anche se non era colpa sua se le cose erano andate così. Lei era stata una brava madre, l'aveva amata tanto. Era stata la vita, come al solito, a servirle le carte più brutte del mazzo.
Poi era stata la volta di Jules, e Frances aveva sperato che ad un certo punto avrebbero smesso di portarle via tutti quelli che amava, ma non era stato così. Se li erano ripresi tutti, dal primo all'ultimo.
E lei è rimasta sola, come aveva sempre sospettato.
Solo che a trent'anni nessuno dovrebbe essere così solo al mondo.
*
L'odore di salsedine spazza via il tanfo fumoso della città, risvegliando la memoria sensoriale con la precisione di una fotografia, eterna e perfetta.
Ogni volta tornare a Monaco porta con sé delle cicatrici difficili da affrontare, cicatrici che provengono da una vita lontana, che lei ha avuto e che ha perso. Una vita che è stata e che non è più.
Non può più essere.
Mentre costeggia il lungomare, confondendosi nella folla di persone che si affrettano verso il centro della città, Frances guarda distrattamente il profilo di Monaco stagliarsi maestoso e ammaliante sul mare, con i raggi del sole autunnale che si infrangono sui vetri dei palazzi più alti, riflettendone la luce tutt'attorno.
Dopo tutti questi anni, pensa ancora che non esista un posto più bello al mondo. Nemmeno i campi di lavanda che avvolgevano il suo paesino d'infanzia riescono a tenergli testa, nemmeno i grattacieli vertiginosi dell'estremo oriente, nemmeno le spiagge bianche che hanno costellato le vacanze estive dei suoi vent'anni.
Un passante la urta con una spallata, distrattamente, spingendola a voltarsi e ad abbracciare con lo sguardo lo scorcio di paesaggio che le si para davanti e che le toglie il fiato.
Quando si sofferma a pensarci, tutto si risolve a Monaco. Alla casa dei Leclerc, in periferia, a quel letto minuscolo in cui lei e Charles si stringevano da bambini in vista di qualche trasferta. Alle terrazze scintillanti sulle quali ballava e beveva la notte a grandi sorsi nel tentativo di anestetizzare il dolore che la stava mangiando viva. Alle tortuose strade del circuito più famoso del mondo, alla finestra da cui hanno guardato decine di Gran Premi, ammassati e febbricitanti, sognando e sperando e indovinando il futuro. Al molo scricchiolante, ai tramonti sul pelo dell'acqua, al bordo del balcone della prima casa di Max, al nono piano di un palazzo signorile che saprebbe ritrovare anche adesso, anche ad occhi chiusi.
Le piacerebbe poter dire di essere andata avanti e di essersi lasciata tutto alle spalle, ma sarebbe una bugia.
Più che di cicatrici vere e proprie, infatti, si tratta una brutta ferita slabbrata, costantemente aperta, in cui saltuariamente qualcuno infila un dito per farla sanguinare ancora un po'.
Monaco, la sua maledizione. La sua perdizione eterna.
Il telefono le vibra nella tasca della giacca, riportandola alla realtà, e Frances se lo porta all'orecchio senza nemmeno controllare chi sia il mittente. C'è un motivo se si trova lì. Non si tratta di una semplice visita di piacere.
"Sì?"
La voce all'altro capo della cornetta è sottile e un po' rauca, vagamente attutita, come se provenisse da molto lontano. È strano cercare di sovrapporla a quella di un tempo, a quando suonava come una carezza sul viso, morbida e rassicurante.
"Tesoro, ciao. Dove sei?"
Tesoro.
"Sto arrivando" risponde lei, meccanicamente, massaggiandosi le palpebre con pollice e indice, in un gesto nervoso. Vorrebbe aggiungere molto altro, confessare che non sa se è pronta a farlo, ma sente qualcosa di irrisolto alla bocca dello stomaco e ha paura che se dice qualcos'altro le verrà da vomitare.
Non la biasima se ha pensato che non si sarebbe presentata. È effettivamente stata sul punto di girarsi sui tacchi almeno dieci volte da quando ha rimesso piede lì.
"Non vedo l'ora di rivederti, chérie"
Il groppo che le ostruisce la gola si fa sempre più ingombrante e difficile da ignorare. Anche adesso, a distanza di anni, nonostante tutte le cose terribili che sono accadute, non c'è traccia di cinismo in quello che dice.
È sempre dolce, misurata, sa di casa in un modo che Frances riesce a trovare a malapena sopportabile.
Quando la vista le si appanna, devia la sua traiettoria e si dirige a passi lenti e traballanti verso il muretto che circonda il marciapiede, la linea di demarcazione fra la città di vetro e cemento e quella di legno e metallo.
È la sua scialuppa di salvataggio, quello che resta immobile quando il resto del mondo non fa che vorticarle attorno. Frances ci si appoggia di peso e guarda in basso, verso l'acqua scura e torbida, concentrandosi sulla corrente che mulina in cerchi concentrici, cercando di calmare il respiro.
"Anche io, davvero." Si costringe a replicare. I capelli le coprono la vista, così finisce per chiudere gli occhi. "Scusami se non vengo più spesso."
La parte successiva la aggiunge più per dovere che per altro, ed il silenzio che segue è un po' troppo lungo per essere piacevole. Quando la voce dall'altro capo della cornetta lo interrompe, però, Frances si ritrova a rimpiangerlo amaramente.
"Sei già stata da Charles?"
Odia il potere che quel nome ha su di lei.
"No" dice, e sembra invecchiata di cent'anni. Per un attimo pensa di essere sul punto di piangere, ma si ricompone in fretta. "Passo a prendere un po' di pasticcini, sulla strada. E... Pascale, sto arrivando davvero."
Quando è stato chiaro che nessuno dei suoi figli sarebbe tornato a vivere stabilmente nella vecchia casa di famiglia, Pascale ha venduto tutto ed ha preso un piccolo appartamentino assolato a Fontvieille, in uno di quei palazzi moderni e snob con il portiere in completo elegante e le begonie rosse all'ingresso.
È già stata lì altre volte, eppure Frances fa ancora fatica ad abituarsi a questi nuovi spazi, luminosi, sgombri e curati, così diversi dall'irresistibile caos di casa Leclerc.
Non che non le piaccia, è che non è casa. È un terreno neutrale, asettico, senza ricordi.
Non c'è la vecchia poltrona di Hervé nell'angolo, né il tappeto sfrangiato del salotto. Nemmeno il pianoforte verticale ingobbito e impolverato con quel centrino bianco orrendo a coprirlo. Non c'è il bruttissimo appendiabiti a forma di Pinocchio né tantomeno la porta della cucina, sul cui stipite erano intagliate una fila infinita di tacche per registrare la crescita dei tre fratelli, di mese in mese, di anno in anno. Perfino qualcuna delle sue.
Fanny, 16 ottobre 2006
Fanny, 5 marzo 2007
Fanny, 7 novembre 2009
Fran, 29 agosto 2010, 164 centimetri. La sua altezza per sempre.
Cerca di non farsi attanagliare dalla nostalgia, fedele e strisciante, mentre si sistema davanti a Pascale sul divano di pelle chiara, con le ginocchia strette e le mani a coprirle. Un sottile velo di imbarazzo aleggia nella stanza e Frances non può fare a meno di pensare a quante cose siano cambiate nel corso degli anni. A quanto poco sia rimasto del loro rapporto.
Il silenzio rotondo e artificiale viene spezzato all'improvviso dal fischio del bollitore, ed entrambe sembrano sollevate da questa interruzione.
"Quanto zucchero ci vuoi?" dice Pascale, puntellandosi sui palmi nelle mani.
Lei serra le labbra in un sorriso di circostanza.
"Niente per me."
Frances la guarda muoversi in cucina al di là del bancone, attraverso la finestra che separa i due ambienti. È invecchiata ma nonostante questo non ha perso il suo fascino, anzi, è sempre molto elegante e sembra quasi fluttuare con la sua camicia bianca e i suoi pantaloni blu scampanati.
Per un attimo viene catturata da un ricordo piuttosto sbiadito, lontanissimo nel tempo. Ricorda una domenica di molti anni prima, dopo una gara sfortunata sotto la pioggia battente, lei e Charles imbacuccati sotto ad una coperta di lana infeltrita, mentre sua madre preparava il thé.
Proprio come adesso.
"Ecco, tieni." Le dice lei, con un sorriso nella voce, riscuotendola dai suoi pensieri. Appoggia una tazza fumante sul tavolino basso di cristallo, accanto al vassoio di pasticcini ridicolmente costosi ancora infiocchettato. Frances riconosce subito la tazza in questione: è molto vecchia, col manico crepato e la stampa sbiadita dai lavaggi ripetuti. Un souvenir di Disneyland di quindici anni prima.
L'ipocrisia di quel momento le fa venir voglia di urlare.
"Ti trovo bene" prosegue Pascale, portandosi la sua tazza alle labbra. Ha un trucco leggero che le colora le guance e le fa risaltare gli occhi sottili e brillanti. "Questo taglio di capelli ti dona davvero molto."
Frances si sistema distrattamente la frangetta, in un gesto quasi inconscio, con le mani che tremano un po'. Quindi è così che andrà? Parleranno di cose banali, faranno finta di niente? Le viene da vomitare.
"Avevo bisogno di cambiare qualcosa" si ritrova a rispondere, con lo sguardo basso catturato dal fondo torbido della tazza. "E non c'erano molte cose su cui avessi effettivamente il potere di farlo."
Il viso di Pascale si incupisce, come se vedesse al di là della sua facciata composta e riuscisse a comprendere intimamente il suo stato d'animo. Forse ci riesce davvero.
"Mi è mancato averti qui, Fanny" dice. E lei sa immediatamente che è vero, perché è mancato anche a lei, anche se le costa tutto ammetterlo. Scuote la testa impercettibilmente, senza troppe scene, come se trovasse la cosa irrilevante, e con l'indice sfiora il bordo di ceramica rovente.
"Nessuno mi chiama più così, Pascale, sono ufficialmente troppo vecchia per queste cose."
"Tu? Vecchia?" ribatte la donna, incapace di trattenere una risata, che si trasforma presto in un colpo di tosse attutito dal pugno chiuso. "Mio Dio, signorina, sei sempre la solita."
Però è vero anche questo. Ha compiuto trentun anni.
E poi Fanny non esiste più. Lei è solo Frances da un bel pezzo.
"Il tempo passa per tutti" dice, stringendo i pugni.
O quasi, pensa.
Appena fuori dalla finestra il sole è ormai basso nel cielo, e la fa da padrone sul pelo dell'acqua. Tutto è pace e, dopo il breve scambio, le due donne condividono il silenzio.
Sedute l'una di fronte all'altra sembrano il prodotto di uno specchio distorto che riflette ciò che a loro manca, piuttosto che ciò che hanno. I capelli lunghi e bianchi di Pascale, contro il taglio corto e arricciato di Frances, lo sguardo sereno della vecchiaia e quello irrequieto della giovinezza. Ottimismo, negatività.
Accettazione, perdita.
Il modo in cui stringono la tazza fra le mani, reggendola dal basso con il palmo, però, è lo stesso, e tradisce una somiglianza nutrita dal tempo trascorso insieme. Pascale non ha mai voluto sostituire sua madre, ma ci è riuscita in modi che Frances non sarebbe nemmeno in grado di spiegare, con le sue carezze che ha sempre cercato di evitare, i suoi consigli, i suoi baci della buonanotte. Pascale è la parte di Charles che è sempre stata più difficile da lasciar andare.
"Come stanno i bambini?"
La domanda piove dall'alto, cogliendola alla sprovvista, come un getto d'acqua gelata.
Il sorriso che si apre sul viso di Frances è incrinato.
"I bambini stanno bene." Risponde, nascondendosi dietro al bordo della tazza, lasciando il liquido bollente scottarle la lingua. "Sono con Theo. Io... dovevo venire qui, oggi."
È quello che si è ripetuta per tutto il tragitto, mentre guidava da Valensole a Monaco.
Devi andare. Ce la devi fare. Glielo devi, lo devi a entrambi.
Lo sguardo che le rivolge Pascale, però, è carico di apprensione. Appoggia la tazza e si china verso di lei, allungando un braccio per sfiorarla sulla mano ed è un tocco così delicato da riempirle gli occhi di lacrime.
"Non fraintendermi, chérie, sono felice che tu lo abbia fatto" dice, e la voce suona di nuovo come se le sue corde vocali fossero sul punto di sbriciolarsi. "ma non devi fare nulla, se non ti senti pronta."
"Se aspetto di sentirmi pronta, non lo farò mai." ribatte, brusca, e per un attimo è di nuovo la bambina selvatica e irriverente che la famiglia Leclerc ha cercato di addomesticare con amore e tenerezza.
Fallendo miseramente, si ritrova a pensare. Lei è sempre stata senza speranza.
Pascale ritira la mano, come scottata. Le legge negli occhi che è ci è rimasta male, ma non ha la forza per chiedere scusa.
"A che ora vi vedete?" le domanda, sbrigativa. L'atmosfera familiare sembra essersi esaurita e sono tornate ad essere due donne che non hanno più nulla da condividere.
Frances guarda distratta l'orologio sul polso. Ha il cinturino in pelle scura liso dal tempo e il quadrante sbeccato, ma non se ne libera mai.
"Fra una mezz'ora" risponde, alzandosi. "Devo proprio andare. Grazie per il thè."
Si infila la giacca una manica per volta, sotto lo sguardo impensierito di Pascale. Tutte le volte che i loro occhi si incrociano, Frances legge sul viso della donna emozioni contrastanti, come se volesse dire qualcosa ma non trovasse il coraggio di farlo.
Le da due baci, uno per guancia, mentre la saluta sulla porta, e la trattiene per il gomito in un abbraccio un po' goffo che dura più del previsto.
"Cerca di non essere dura con lui." Le sussurra all'orecchio, e Frances ha la certezza che Pascale stia piangendo.
"Proprio tu lo dici?"
La risposta ha inevitabilmente un sapore amaro, come tutte le cose che non vuoi mai sentirti dire.
"Bisogna andare avanti." Dice, ma la verità è che Frances non è sicura che sia sempre possibile farlo.
//Spazio autrice (I am here once again asking you to read sta roba)
Buonasera amiche e perdonatemi per il mostruoso ritardo, ma scrivere questo capitolo è stato un parto plurigemellare. Ho in mente queste scene in modo molto vivido ma non mi ero mai soffermata su un piccolo dettaglio cruciale: anche se Frances parla dal futuro, dove molte cose sono GIA' successe, forse è bene che voi le scopriate gradualmente.
Si intuisce che in un tempo imprecisato è successo qualcosa di molto importante, Frances ha un appuntamento e la cosa la turba abbastanza. Abbiamo delle idee?
Non so se avete tutti gli strumenti per rispondere a questa domanda, ma vi consiglio di pensarci bene perché la risposta potrebbe arrivare prima del previsto.
Aspetto le vostre teorie e i vostri feedback, preziosissimi e richiesti più che mai visto che mi sono andata a impantanare in un progetto paurosamente ambizioso che finirà col fagocitarmi. Leggete, votate, commentate se vi va, qui e sul mio profilo IG dedicato: @itstods_wattpad.
Grazie per il supporto,
Vostra sempre sempre,T.
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