24| Charles- Il passato

2015, FRA

Mon regard dans les étoiles lentement se noie
J'aimerais y plonger pour dilater le temps
J'ai dans ma collection de souvenirs une image de toi
Ce soir-là tes pupilles brillaient faiblement


La prima volta che Charles scopre l'abbraccio seducente ed anestetizzante dell'alcol è una notte d'agosto punteggiata di stelle, ha da poco seppellito il suo mentore ed è alla disperata ricerca di qualcosa che lo faccia sentire ancora vivo.

Quella non è la prima volta che beve –lo ha già fatto in precedenza, ma sempre timidamente, con la vaga riluttanza con cui gli adolescenti più ubbidienti infrangono le promesse fatte ai genitori: elettrizzati e pieni di vergogna, divisi fra la paura di perdersi qualcosa e quella di deludere le aspettative- ma è la prima volta in cui nell'alcol trova rifugio, torpore e conforto.

Mentre i suoi amici, neppure diciottenni, giocavano a fare gli adulti rubando costose bottiglie di gin ai genitori ed ubriacandosi alle feste, Charles era sempre stato attento a non farsi coinvolgere, a tenersi in disparte.

Mai più di un sorso, mai cose forti, mai abbastanza da sentire qualsiasi effetto.

Non che rinunciare agli alcolici gli fosse costato granché, visto che prima di allora non ne aveva mai compreso appieno l'attrattiva. Lo spauracchio di mettere a repentaglio la sua carriera futura –ancora ipotetica, troppo fragile per lasciargli spazio di manovra- era sempre stato sufficiente a fargli seguire raccomandazioni del suo preparatore atletico col rigore di un monaco.

Per quanto si sforzi, –per quante volte provi a rievocare quel ricordo nella sua testa- non riesce a spiegare cosa gli fosse scattato dentro, quella sera, quando Pierre gli aveva allungato il suo bicchiere. Cosa avesse soffocato la voce della sua coscienza, spingendolo a svuotarlo in un solo sorso, a chiederne un altro, ed un altro ed un altro ancora fino a che tutto era diventato ovattato, e fresco, e rassicurante.

Dolore, forse.

Tormento, quasi certamente.

Qualcosa di crudele e di irrisolto, dentro, in profondità, che aveva preso a crescere in modo incontrollabile e ad agitarsi con talmente tanta veemenza che non riusciva più a tenerlo a bada.

In futuro, anni più tardi, inginocchiato in una pozza del suo stesso vomito nel bagno di un locale di Marina Bay, ripenserà con sorprendente lucidità a quella serata, al modo in cui un singolo momento di debolezza–una singola scelta sbagliata, in mezzo ad una vita programmata alla perfezione- avesse dato il via ad una funesta catena di eventi, un pericoloso effetto domino con cui aveva portato chiunque gli fosse vicino inesorabilmente a fondo con lui.


*


La prima cosa che percepisce, prima ancora di aprire gli occhi e mettere a fuoco la cornice scorticata della finestra, è il rumore delle onde che si infrangono sulla battigia, ed il vago sentore di salsedine che filtra dalle persiane insieme alla luce pallida delle prime ore del mattino.

È un momento perfetto, sospeso come in un'istantanea in cui il tempo si dilata e si restringe con la frequenza del respiro.

Charles si stiracchia mollemente fra le lenzuola con un mugugno sottile, flettendo la punta dei piedi come prima di un tuffo ed inarcando la spina dorsale fino a sentire un piacevole schiocco. Mentre il torpore notturno comincia pian piano ad affievolirsi, strofina il viso sul cuscino per intrappolare i rimasugli del sogno che stava facendo e che sta già sbiadendo dalla sua memoria.

Una schiena nuda, una pioggia di capelli scuri, una casa con le pareti gialle e iris blu.

Ci mette una manciata di secondi a riprendere il contatto con la realtà e a rendersi conto di dove si trova, ingannato dalla strana familiarità che quella stanza continua a trasmettergli dopo così tanto tempo.

Sono in vacanza con la famiglia di Pierre, nello stesso posto in cui vanno da anni: una piccola località marittima dalle parti di Antibes, abbastanza lontana dal glamour scintillante di Monaco, ma ancora affacciata sul golfo più bello della Francia meridionale, la Baia degli Angeli. È una roccaforte di pietra e mattoni, ramificata in sentieri e stradine che si snodano in mezzo alla vegetazione rigogliosa, verso il mare.

Hanno preso in affitto la solita villetta a due livelli con le imposte azzurre, soffocata dalle piante ed incuneata su una leggera collina, ad un nulla dalla Plage de la Garoupe. È piuttosto piccola per loro, – così piccola che un anno in cui i fratelli maggiori di Pierre si erano aggregati per un paio di notti, i più piccoli avevano dovuto dormire gli uni sugli altri su dei materassini gonfiabili sistemati in taverna- ma ormai custodisce talmente tanti ricordi condivisi che sarebbe impossibile anche solo pensare di soggiornare altrove.

Perfino laddove i proprietari hanno cercato di introdurre alcune migliorie, la casa è rimasta sorprendentemente fedele a sé stessa: tenace e refrattaria, come una quercia. La terrazza ha una nuova pavimentazione in pietra lucida, ma è ancora la stessa da cui, anni prima, Hervé ed Jean-Jacques avevano bagnato lui e Pierre a suon di gavettoni e da cui avevano guardato i fuochi d'artificio del quattordici di luglio, abbracciati sotto ad un telo mare sabbioso ed umidiccio.

Anche la scalinata esterna ha un nuovo corrimano, ma il penultimo gradino è ancora sbeccato da quella volta in cui Charles aveva rincorso Arthur con il retino da pesca ed il più piccolo dei Leclerc era caduto bocconi giù dalle scale spezzandosi l'incisivo sinistro. E la camera rivolta a sud, quella affacciata sull'unico triangolo di mare che si riesca a scorgere dalla villa, ha un nuovo letto a castello ma ancora gli stessi copriletti bianchi e blu, con le barche a vela.

Negli anni tante famiglie hanno abitato quegli stessi ambienti, modificandoli più o meno consapevolmente, ma nessuna di loro deve averli mai sentiti propri allo stesso modo –o, almeno, questo è quello che si dice Charles, quello che ha sempre romanticamente pensato.

Quando ha scoperto che le due settimane alla Maison des Agaves si sarebbero sovrapposte parzialmente con la vacanza in Corsica organizzata da Riccardo, aveva piantato un muso senza precedenti –non ci credo, non è giusto, avevate detto che potevo andarci- ma la verità è che Charles è una creatura abitudinaria, e non c'è niente al mondo che ami di più della prevedibilità delle vacanze estive con i Gasly.

Ama il succo d'arancia ghiacciato che sua madre gli lascia sul comodino ogni mattina e l'odore della crema doposole che compra la mamma di Pierre.

Ama svegliarsi con il rumore delle onde fuori dalla finestra, tuffarsi prima ancora di fare colazione e cimentarsi col windsurf nelle giornate di vento, con Pierre che prova a speronarlo ogni volta che si mette in equilibrio. Ama avventurarsi in lunghe escursioni in cui Lorenzo non perde occasione di fare lo sbruffone indicando questo o quello spuntone di roccia –come se quel pezzo di costa non lo conoscessero tutti a menadito- e sedersi sulla terrazza della villa per cenare tutti insieme e godere della frescura della sera.

Ama, più di tutto, il ripetersi ciclico di queste azioni, sempre uguali –immutate e preservate perfettamente, nonostante lo scorrere inesorabile del tempo.

In un anno doloroso come quello appena trascorso, in cui gran parte delle sue certezze sono crollate e i suoi punti fermi svaniti nel fumo dell'incidente che gli ha tolto tutto, gli dà conforto il pensiero che ci sia ancora qualcosa di saldo, da qualche parte, a cui aggrapparsi.

Quell'estate qualcosa di diverso però, effettivamente, c'era stato. Una o due settimane prima della partenza, quando Hervé era ritornato da casa della nonna con una pila di valige vuote, prima che Charles e Lorenzo se la svignassero per andare a giocare a pallone con loro cugino e certi suoi amici, Pascale aveva messo gli uomini di casa alle strette ed aveva insistito moltissimo affinché Frances andasse in vacanza con loro. Le avrebbe fatto bene, aveva detto, prendersi una pausa dal kartodromo e allontanarsi da quel grigio alone di morte che la circondava. Era troppo seria per avere solo appena diciannove anni. Troppo giovane per tutte quelle responsabilità.

A dire il vero, quando l'aveva vista l'ultima volta, al funerale di Jules, –le mani strette sull'altare, il portamento composto, lo sguardo alto e limpido- Charles aveva pensato che Frances se la stesse cavando molto meglio di tutti loro, con quella faccenda del lutto, ma si era guardato bene dal commentare oltre per paura che qualcuno gli facesse notare quanto si stesse sbagliando.

Nonostante il benestare di tutta la famiglia, com'era ovvio, quando avevano proposto a Fanny di partire con loro, lei aveva protestato –irragionevole, caparbia, ottusa-, come se fosse un'idea assurda e fuori luogo e lei non avesse alcun posto in mezzo ai Leclerc. Era stato Pa' Roux ad accompagnarla ad Antibes, di forza, il giorno dopo il loro arrivo, scaricandola come un pacco alle pendici della Maison des Agaves, con niente al seguito se non un vecchio borsone scucito e un grosso cappello di paglia che doveva essere appartenuto a sua madre.

Charles l'aveva guardata percorrere il vialetto dalla finestra della cucina, seguendo lo sfarfallio del prendisole azzurro scosso dal vento. E mentre aspettava che salisse le scale a due a due e lo raggiungesse, si mangiucchiava il labbro, pensoso.

Non avrebbe saputo dire perché ma aveva la sensazione, nel profondo, che col suo arrivo qualcosa sarebbe cambiato per sempre.

E non si sbagliava.


"Charlot?"

Deve essere ancora molto presto quando Frances viene a chiamarlo per scendere in spiaggia, perché la camera non è ancora inondata di luce e la calura è tutto sommato sopportabile. Nel letto sopra al suo, Pierre dorme profondamente, a pancia in giù, con un piede che penzola nel vuoto e la faccia premuta contro al cuscino.

Ad occhi chiusi, ancora avviluppato negli strascichi del dormiveglia, Charles conta i passi sulle travi di legno, attende il cigolio della porta che scricchiola sui cardini prima di aprirsi ed accoglie il refolo di vento che porta odore di fiori nella stanza.

"Charlot" ripete la voce, questa volta più vicina. È poco più di un sussurro, così sottile da confondersi col mormorio degli uccelli. "Tu dors?"

Il materasso si incurva sotto il peso di lei, ed il suo ginocchio aguzzo si incunea facilmente nella piega del suo fianco. Il cuore non gli batte più dentro al petto, ma lì, nel punto esatto in cui i loro corpi si toccano, dove la pelle si increspa e ricopre di brividi.

"Muoviti"

Aspettativa, trepidazione.

"Charles."

Poi, ancora: "Ti ho portato la spremuta."

Charles aspetta immobile di sentire la presa salda e callosa della mano piccola di Frances pizzicargli la pelle e scuoterlo dalla spalla, ma non succede. Al contrario, la successiva cosa che percepisce è il bordo ghiacciato del bicchiere di vetro che lei gli preme direttamente al centro della schiena, facendolo sobbalzare e rovesciando parte del contenuto sulle lenzuola.

"Putain!" si lamenta, soffocando un grido. "Ma che problemi hai?"

Strizza gli occhi per mettere a fuoco la figura minuta che lo sovrasta. Frances porta i capelli legati in una treccia spessa, una maglia maniche corte bianca ed il fiocco del costume che sbuca da dietro al collo. Ha il viso aperto in un sorriso trionfante e lo scruta dall'alto con quei suoi occhi vispi ed enigmatici, come se fosse una preda di caccia.

"Così impari a farmi aspettare." Sentenzia.

Ma Charles sembra non imparare mai.


Frances gli dà appena qualche minuto per infilarsi il costume prima di ricominciare a dare segni di irrequietezza, brontolando a mezza bocca –Ti muovi? Quanto ti ci vuole? Sei peggio di una femmina- e camminando avanti e indietro sull'uscio con lo zaino in spalla e le infradito appese all'indice.

Protetto dallo schermo della porta, Charles non riesce a fare a meno di alzare gli occhi al cielo. Perché- Santo cielo, perché fa così? Perché deve per forza prendere tutto così sul serio? L'orologio sulla parete del bagno segna le sei e diciassette, il sole non è ancora sorto ed è pronto a giurare su quanto ha di più caro che il loro solito posto sotto al bastione sarebbe ancora libero anche se arrivassero in spiaggia fra dieci minuti. O quaranta. O un'ora e mezza, per quel che vale.

A parti invertite, Frances non esiterebbe a farglielo notare, stuzzicandolo per la sua impazienza ingiustificata ed invitandolo ad andare, se proprio ci tiene così tanto, ma Charles si limita a fare una smorfia che lei non può vedere e a borbottare: Arrivo, arrivo.

Si sciacqua il viso, velocemente, e lo tampona con un asciugamano di spugna per cancellare gli ultimi residui di stanchezza dalle occhiaie. Inevitabilmente, si sofferma più del dovuto sul suo riflesso contrito ed imbronciato, ed il suo sguardo si incupisce all'istante.

Da un po' di tempo a questa parte, quella che lo specchio gli restituisce è un'immagine che Charles detesta: non più un bambino, ma nemmeno un uomo, no di certo. Non un accenno di barba (se non due basette lunghe e spelacchiate), il naso a punta arrostito dal sole e pieno di lentiggini, il petto ossuto e le spalle rachitiche. E quella mattina, per non farsi mancare nulla, anche la bellezza di tre brufoli infiammati in fila sul lato destro della mandibola, a scendere fino al mento.

Non dovrebbe essere così sorpreso dal fatto di essere l'unico rimasto vergine in mezzo ai suoi amici.

Due colpi secchi alla porta –più una minaccia, che una richiesta- gli impediscono di crogiolarsi ulteriormente nella sua autocommiserazione quotidiana.

"Cristo Frances, ho detto che arrivo" sbuffa, esasperato, facendo scattare la serratura.

Quando spalanca la porta del bagno, ancora scalzo e con l'asciugamano umido in mano, però, lei non è già più lì.

Fantastico.

Charles la insegue fuori dall'appartamento e giù per la rampa di scale, e poi fino al cancello, ma anche dopo che l'ha raggiunta Frances non sembra intenzionata a degnarlo di alcuna attenzione e tira dritto per la sua strada, imboccando viuzze e sentieri mezzi nascosti dalla vegetazione senza traccia di esitazione, come se conoscesse quelle strade a memoria e non fosse arrivata lì a malapena tre giorni prima.

In realtà, ad essere onesti, la situazione lo infastidisce molto meno di quanto dovrebbe. Anzi, Charles trova in qualche modo rassicurante affidarsi alla guida di Frances, che apre la strada camminandogli cinque o sei passi davanti, senza mai voltarsi, né esitare. Non sente nemmeno il bisogno di riempire il silenzio, e lascia che l'unico rumore sia quello dello scalpiccio delle loro ciabatte sul selciato, nel chiarore gelido del mattino.

Superano l'arco romanico al limitare della proprietà dei Pignon, il Vital all'angolo, due o tre nuove ville in costruzione ed infine costeggiano l'ultimo pezzetto di mura fortificate fino a che la costa non si dipana davanti ai loro occhi liscia e composta come una tavola.

La spiaggia stretta e lunga è deserta, e l'acqua lambisce placidamente la battigia, colorandosi di tutte le sfumature dell'alba imminente. Un piccolo stormo di gabbiani plana sulla linea dell'orizzonte, sollevando spruzzi di schiuma e agitando il mare altrimenti immobile, lì dove il rosa vira verso l'azzurro. È uno spettacolo da spezzare il fiato.

Charles è talmente distratto dalla vista da non rendersi conto che Frances si è finalmente fermata, a un paio di metri dalla riva, e per poco non le finisce addosso, incespicando nei suoi stessi piedi.

Il suo tentativo di mantenersi in equilibrio è comunque piuttosto goffo, e finisce per sbilanciarli entrambi. Nella foga del momento, lui la agguanta per la maglietta e se la stringe al petto, istintivamente, come si fa per proteggere le cose fragili e preziose.

Scapola contro sterno.

Spalla contro clavicola.

Avambraccio contro un seno.

La vicinanza improvvisa dei loro corpi è elettrica e manda il suo cervello in corto circuito. Immagini intrusive della prima volta in cui l'aveva vista in costume, a Hyères, si sovrappongono alla visuale ed un'ondata di calore gli si sprigiona dallo stomaco in ogni angolo del corpo, nell'anticipazione del momento. Dalla bocca semi dischiusa gli viene fuori un suono basso e gutturale. Metà è sorpresa, metà qualcos'altro.

Niente in Frances è soffice e delicato, nemmeno allora –i muscoli del collo sono tesi e il petto è appuntito e turgido nel punto in cui preme contro la sua pelle­ attraverso il tessuto- ma per un istante l'odore della nuca di lei ­è talmente inebriante che Charles si dimentica perfino come si respira.

E- oh.

No, no, no, no, no.

Frances si irrigidisce appena fra le sue braccia, aderendo involontariamente alla curva dei suoi fianchi, ed il modo in cui il corpo di lui reagisce è inatteso e nuovo e travolgente ed è un disastro.

Cos'è cos'è cos'è e perché lei, perché adesso e, soprattutto, se n'è accorta?

Il cuore gli batte così forte da dargli le vertigini e appannargli la vista.

È impossibile che non se ne sia accorta.

Che patetica vita del cazzo.

Charles vorrebbe sprofondare dieci metri sotto alla sabbia per l'imbarazzo ma prima che possa fare o balbettare qualsiasi cosa, Frances si scrolla le sue braccia di dosso come se non pesassero niente e muove un paio di passi verso il mare, finché l'acqua non le arriva alle caviglie.

Tiene la schiena dritta, il capo leggermente inclinato verso l'alto e le braccia parallele lungo i fianchi.

Ha passato tutta la vita a guardarla dal basso –lei era sempre più alta, sempre più in alto- e nonostante negli ultimi due anni l'abbia raggiunta e superata di dieci centimetri buoni, il profilo asciutto ed agile di lei irradia una sicurezza che lo intimorisce.

Quando si rende conto che Frances non farà alcun cenno a quanto appena accaduto, Charles la imita, seguendo timidamente le sue orme sul bagnasciuga, col cuore ancora in gola. I due restano immobili, uno accanto all'altra, per due o tre minuti, guardando il sole sbucare dall'acqua in un'esplosione di luce, squarciando il cielo e costringendoli a strizzare gli occhi per evitarne il bagliore.

Sai, dice lei senza distogliere lo sguardo dalla riga dell'orizzonte, mi manca tantissimo.

Charles gira la faccia quel poco che basta per vedere il viso di Frances rannuvolarsi e diventare improvvisamente adulto.

Forse anche lei pensava a Hyères, dopotutto.

Solo che magari ci pensava per ragioni diverse.

Magari ricordava il tragitto in macchina con Jules, con David Guetta sparato al massimo volume mentre scivolavano lungo la costa, la sabbia fra i capelli, le gare di schizzi, i tuffi dalle spalle. Magari ricordava i muscoli indolenziti, le corse a perdifiato sul bagnasciuga, le traiettorie disegnate con uno stecco sulla sabbia bagnata, i sono sicuro che ce la farai, detti da qualcuno che conta davvero.

A volte si dimentica che Jules era la persona preferita di Charles. E l'unica persona di Frances.

Manca anche a me, Fanny, dice.

Poi, lei gli prende la mano.

Non è strano o del tutto senza precedenti –negli anni si sono presi per mano costantemente, per aiutarsi a scavalcare un muretto o a scendere dal kart, per scacciare l'ansia prima di una gara e per darsi forza nei momenti più difficili, tanto che le loro dita conoscono esattamente i rispettivi solchi in cui intrecciarsi- ma, a differenza del solito, questa volta il contatto sembra fine a sé stesso. Un semplice gesto di affetto, disinteressato.

La stretta di lei –sempre più salda, sempre più sicura della presa molle e scivolosa di Charles- sembra dirgli eccoti, sono felice che tu sia qui.

Ed è questo, inevitabilmente, che cambia tutto.


Nei giorni che seguono, Charles scopre che non riesce a staccare gli occhi di dosso a Frances.

Che sia sul terrazzo della Maison, in spiaggia o in un'altra corsia del supermercato in cui si riforniscono, fa sempre in modo che lei non esca mai dal suo campo visivo per più di una manciata di minuti.

Questo, inevitabilmente, lo porta a notare tutta una serie di piccoli dettagli che aveva sempre ignorato –il modo in cui lei siede a tavola, con una gamba piegata sotto all'altra e la caviglia intrappolata dalla coscia, il gesto con cui si allontana i capelli dalla faccia quando sono bagnati, una piccola fossetta a forma di virgola che le si forma alla base della schiena- e che gli fanno arrossare le guance al solo pensiero.

Giorno dopo giorno, rosicchia lo spazio fra di loro, un centimetro alla volta e prende prende prende quanto può –un tocco casuale sulla spalla, una stretta un po' più lunga del necessario.

Non significa niente. Ha tutto sotto controllo.

Quando escono, alla sera, tiene il fianco di Pierre o di suo fratello, ma non sposta mai lo sguardo dalla figura asciutta e nodosa di Frances, ipnotica sotto la luce fredda delle lampadine neon dei locali e della luna. La guarda ballare, abbandonarsi alla musica come se non avesse alcun pensiero al mondo –come se non fosse neppure lei.

Ogni volta che qualcuno le si avvicina, una brutta sensazione gli strizza le viscere e gli appesantisce il petto –l'ossessione lo mangia vivo, ed è costretto a cedervi. Allora le va in contro con la sua migliore espressione da cucciolo bastonato e si scusa –si scusa sempre- ma è tardi ed è stanco e devono improvvisamente andare via.

Di notte la sogna, e sono sogni di cui non va fiero, che al mattino lo fanno svegliare scomodo e confuso. All'alba del giorno dopo, però, può seguirla in spiaggia e guardarla spogliarsi nella luce tagliente delle prime ore del mattino. Studiarla da lontano, come una statua in un museo. Illudersi che lo stia facendo per lui.

Nel profondo, Charles sa che quello che sta facendo è pericoloso –no, non pericoloso: sbagliato- eppure, scopre presto, non può farne a meno.

È solo questione di tempo prima che qualcuno se ne renda conto.


I suoi peggiori sospetti vengono confermati appena qualche giorno più tardi, di ritorno dalla spiaggia, quando Pierre gli fa cenno di aspettare che si strofini via la sabbia dai piedi e che si rimetta le scarpe, lasciando andare il resto del gruppo avanti.

Appoggiato alla palizzata che costeggia l'ingresso dello stabilimento, Charles guarda l'amico spazzare via con le dita fino al granello più minuscolo, mettendoci il triplo del tempo necessario, in silenzio religioso, mentre gli altri si allontanano lungo la promenade.

Mentre lo guarda allacciarsi le converse, sente montargli dentro un nervosismo eccessivo ed immotivato –una bolla di stizza che si espande sempre più finché non è sul punto di scoppiare. Sta quasi per sbottare e dirgli di darsi una mossa, quando Pierre richiama la sua attenzione con un fischio, alzandosi di colpo.

"Quindi-"fa, a bruciapelo, mordicchiandosi l'angolo del labbro inferiore. "-uhm, Frances."

Charles sgrana gli occhi, colto alla sprovvista.

"Frances cosa" gli fa eco, cercando di tenere basso il volume della voce anche se le orecchie gli fischiano talmente forte da coprire il rumore dei suoi pensieri.

"Charles, pas avec moi." Dice Pierre, con una smorfia, inclinando appena il capo. L'abbronzatura dorata e uniforme fa risaltare ancora di più i suoi occhi azzurri, rendendogli difficile sostenere il suo sguardo.

"È diventata bella da fare paura" prosegue, calciando un sassolino e mandandolo a scontrarsi col bordo del marciapiedi. "Non me lo avevi detto, che Fanny era diventata così."

Charles sente una strana fitta al petto, profonda e pulsante, che non riesce a decifrare, e si stringe nelle spalle senza commentare oltre, sperando che Pierre lasci cadere l'argomento.

Per forza d'abitudine, la cerca con lo sguardo.

Lei è lì, poco più avanti– in coda insieme ad Arthur per l'ennesimo gelato della giornata–, abbastanza lontana perché non riesca a sentirli parlare, ma ancora sufficientemente vicina perché lui possa studiarne la leggera abbronzatura e la galassia di efelidi che le tempestano il viso e le spalle.

"Andiamo, calamar, seriamente. Non puoi non vederlo." lo rimprovera Pierre, seguendo la traiettoria del suo sguardo.

"È solo Frances" prova a ribattere, ma è piuttosto fiacca come difesa, e non ci crede nemmeno lui.

Frances per Charles non è mai stata davvero solo Frances. Neppure a sei anni, quando l'aveva vista per la prima volta, neppure quando era solo una figlia di nessuno che si allenava sul suo stesso circuito, neppure quando era solo la protegée di Jules Bianchi. Frances, coi capelli lunghissimi e gli occhi grandi ed il corpo forte e nervoso, è sempre stata tante cose per lui, sin dal principio. La più giovane campionessa di Francia, la più veloce in pista, la sua migliore amica. Ingegnosa e dispotica e fiera.

Possibile che fosse, ad un certo punto, diventata anche bellissima? Charles non saprebbe dirlo. Mentirebbe, se dicesse di averci mai pensato.

Pierre sembra sul punto di perdere la pazienza.

"Ci sei andato?"

"No"

"Zero? Niente niente?" lo incalza, alzando un sopracciglio.

La bocca di Charles si fa secca e la lingua rasposa. Ogni parola viene fuori a fatica, a malapena biascicata.

"Ti ho detto di no."

"E ci vorresti andare?"

"Conneries" sbotta, più duro di quanto non vorrebbe, stringendo le mani a pugno lungo i fianchi, fino a farsi sbiancare le nocche.

Pierre lo guarda in un modo strano, come se riuscisse a vedergli attraverso, e Charles si sente sporco. Come se l'umiliazione di nutrire certi sentimenti, certe pulsioni, verso una persona che ha sempre considerato di famiglia non fosse, di per sé, già una punizione sufficiente.

"Quindi non ti da fastidio se ci provo con lei" dice, con aria di sfida. "Non mi appenderai per le palle o cazzate simili, vero?"

E sa che l'amico lo sta solo provocando, ma quello che non si aspetta è la reazione violenta che il semplice pensiero gli provoca.

"Fossi in te mi preoccuperei di più che sia lei ad appenderti per le palle" gli risponde, avvelenato.

Anziché ribattere, l'espressione criptica di Pierre si scioglie in un sorriso sornione a trentadue denti, e Charles ha la netta sensazione di essere caduto in trappola con tutti e due i piedi.

"Oh, ma che tenerezza! Quindi è vero, ti sei innamorato di quella pazza svitata della fille en feu!"

Stupido, stupido Charles.

"E comunque, non sono cazzi tuoi." Gli risponde, e con quello, se ne va.


Dopo aver parlato con Pierre, Charles si convince che l'unico modo per evitare di rovinare ogni cosa sia cercare di passare meno tempo possibile con Frances, ignorarla ed aspettare che questa cotta assurda faccia il suo corso e che tutta la gamma di nuovi sentimenti che gli sono sbocciati dentro si estingua, veloce com'è arrivata, con la fine delle vacanze.

Il suo piano, tuttavia, si dimostra più difficile del previsto da mettere in pratica, perché più prova a tenerla a distanza –e Dio, lui ci ha provato davvero tanto, fin addirittura a pregare Jean-Jacques e suo padre di portarlo a pesca con loro pur di non farsi trovare a letto alle prime luci dell'alba, per la miseria- più Frances si indispettisce.

Sua madre aveva ragione: per molti versi non è più la ragazzina di un tempo –come potrebbe esserlo? il dolore marchia e rimodella tutti, senza sconto- ma certe cose non cambiano mai.

Scappare da Frances, quanto nascondersi da lei, è una mossa suicida: Frances è cocciuta, risoluta fino all'eccesso e non ha niente da perdere.

Lo inseguirà fino alla fine del mondo, fosse l'ultima cosa che fa.

Così resta in casa ad aiutare Pascale quando lui finge di non sentirsi bene abbastanza per andare in spiaggia, e si stringe per fargli posto sull'amaca dopo pranzo e va a pesca con lui e suo padre alle quattro del mattino. Charles dovrebbe essere lusingato dalle attenzioni che lei gli riserva –ed in un modo distorto e vile, in un certo senso, lo è- ma non riesce ad ignorare la vocina nella sua testa che gli ricorda che questo per Frances non è un modo di mostrargli affetto, interesse e vicinanza.

Frances lo sta mettendo alle strette cercando di fargli sputare il rospo e di forzare un suo errore, come se fossero ancora due ragazzini che si inseguono sui kart per dei trofei in plastica e succo di frutta frizzante.

Una notte, tre o quattro giorni più tardi, Charles si sveglia di soprassalto, in un bagno di sudore, con una brutta sensazione alla bocca dello stomaco. Riesce a sentire l'attacco di panico ribollire appena sotto alla superficie, in attesa di un minimo segnale per scatenarsi in tutta la sua potenza.

Non sarebbe pronto a giurarlo, ma crede di aver visto una figura nascosta nella penombra, accucciata sul pavimento di fronte alla porta, scrutarlo con un'espressione triste e severa.


L'ultima sera prima di tornare a casa, mentre i loro genitori dividono una bottiglia di vino in terrazza guardando i fuochi d'artificio in lontananza, Lorenzo trascina lui, Frances e Pierre ad una serata organizzata da alcuni suoi amici, dalle parti di Juan-les-Pins.

Charles è tentato di inventarsi una scusa di qualche genere per rimanere a casa –è abbastanza stanco e non ha ancora fatto la valigia e non gli interessa assolutamente se Pierre ci proverà con Frances e anche se fosse comunque non sono affari suoi- ma è sua madre, sorprendentemente, a stanarlo dalla sua camera ed insistere perché vada.

Charlot, gli dice, sistemandogli i capelli e provando a dar loro una forma con un po' di gel, stai diventando grande e non è compito mio dirti come comportarti o mettermi in mezzo, ma se hai litigato con Fanny non dovresti isolarti, ma parlare con lei.

Lui è sul punto di ribattere qualcosa, ma Pascale lo strattona con il pettine per intimargli che non ha ancora finito, strappandogli un piccolo gemito.

So che sei arrabbiato per come sono andate le cose e che adesso ti sembra tutto difficile e che nessuno ti capisca, ma lei ti vuole bene, e capirà. Si guardano per qualche istante nel riflesso dello specchio. Sua madre ha le guance arrossate dal vino ma i suoi occhi sono stanchi, incupiti da qualche preoccupazione che resta tacita, sullo sfondo. Il labbro inferiore trema leggermente, come se stesse trattenendo il pianto. Qualsiasi cosa sia, chéri, c'è sempre modo per rimediare.

E Charles sa che ha ragione, in linea di massima. Che se c'è una persona al mondo che può capirlo, quella persona è Frances. Ed è per questo, paradossalmente, che soffre così tanto: perché il suo stupido cervello ha deciso di provare degli stupidi sentimenti per l'unica persona con cui ha sempre condiviso tutto. È sul punto di vuotare il sacco, di togliersi questo macigno dal petto, nascondersi sul petto di sua madre come quando era bambino e aveva fatto un brutto sogno, ma le parole gli muoiono in gola, e non può fare altro che annuire, mesto.

Pascale gli schiocca un bacio sulla guancia, rumoroso, festante, e Charles la segue a ruota fuori dalla stanza e giù per le scale, dove gli altri lo aspettano già pronti e con le chiavi in mano. Lorenzo è sul piazzale esterno, mentre Pierre e Frances sono sulla porta, vicini in modo quasi intollerabile e catturati in un'accesa conversazione. Lei ha ancora i capelli umidi, vagamente arricciati, e le labbra tinte di viola scuro, piegate in un sorriso.

Charles sente di nuovo quella stretta vorace alle viscere e cerca lo sguardo di sua madre, che segue la stessa traiettoria del suo.

Vorrebbe dirle: ecco, vedi? Perché hai voluto mettermi in questo pasticcio? Ti prego dì qualcosa, ti prego, fammi rimanere.

Le dice: A domani mamma, buonanotte. Ed esce nella notte.


Charles capisce di aver compiuto un grave errore di valutazione nel momento esatto in cui arrivano a destinazione e Pierre si offre di andare a prendere da bere per tutti, e Frances lo segue a ruota, senza nemmeno degnarlo di uno sguardo.

Uno schiaffo in piena faccia avrebbe fatto meno male.

Il bar sulla spiaggia è già affollato e denso di turisti e la coda per i drink arriva fin quasi alla pista mattonata. Li perde di vista quasi subito, risucchiati dalla marea di corpi scintillanti di sudore ed accaldati che si strofinano gli uni agli altri a ritmo di musica, così vicini da non lasciare spazio nemmeno ad un filo d'aria di farsi strada in mezzo alla pista.

Rinuncia quasi subito all'idea di farsi strada a spallate per raggiungerli e si accoda a Lorenzo, che si è fermato a parlare con un gruppo di persone dall'aria familiare, ma che Charles non ricorda assolutamente dove ha già visto.

Suo fratello lo presenta e prova a coinvolgerlo, ma dopo le classiche domande di routine –hai preso il diploma? e ah, ma quindi sei un pilota anche tu?- e i ben peggiori commenti sul suo mentore–sai sei tale e quale a Jules, ci manca tanto, era l'anima della festa- a cui risponde con un sorriso imbarazzato ed una stretta di spalle, Charles si estranea completamente dalla conversazione.

L'aria è irrespirabile, ma il cielo è terso e punteggiato di stelle.

Rabbia e tristezza si mescolano e gli montano dentro al petto come una schiuma vischiosa, e l'unica cosa che può fare è chiudere gli occhi e lasciarsi cullare dalla musica. Nonostante sia circondato di persone, la notte sembra avvolgerlo ed assorbirlo, cancellargli i contorni, renderlo tutt'uno con lo sfondo.

Non saprebbe dire esattamente perché si senta così.

Forse è solo tutto troppo.

Questa vacanza doveva servirgli per ridarsi la carica, per mettersi alle spalle la morte di Jules e le ultime gare piuttosto deludenti, ed invece è solo servita a farlo sprofondare ancora di più nella sua testa.

È per questo che per un istante, quando li vede riaffiorare in mezzo alla marea di gente ammassata sotto alle casse, Charles pensa di starlo solo immaginando. Deve ammettere di averci pensato più di quanto gli piaccia ammettere, nelle lunghe ore di attesa infruttuosa quando era andato a pesca con Hervé e Jean-Jacques.

In fondo, come biasimarlo? Pierre era sempre stato molto più bravo di lui a destreggiarsi nelle situazioni sociali ed aveva un modo di fare che piaceva molto alle ragazze –rilassato, ammiccante in modo un po' pungente. In più, si era ripetuto molte volte, a differenza sua Pierre era in buoni rapporti con Max Verstappen, il nuovo piccolo prodigio della Formula 1, la fastidiosa appendice di Fanny Roux. Se l'era immaginato proprio così, nei suoi incubi peggiori: agguantarla dalla vita e strofinarsi su di lei a ritmo di musica, sussurrandole cose all'orecchio, ridendo e facendola ridere buttando indietro la testa.

Ironicamente, averlo previsto non lo rende minimamente più facile da sopportare.

Il cuore gli pulsa direttamente nella gola, le mani gli tremano in modo incontrollabile.

Non è possibile, cazzo. Non è possibile.

È come trovarsi davanti ad un incidente d'auto: vorrebbe chiudere gli occhi ma non riesce a distogliere lo sguardo, a fare a meno di guardarli. Vorrebbe essere stato onesto con Pierre, vorrebbe aver ammesso i suoi sentimenti, vorrebbe non averne mai avuti.

Le gambe si muovono senza che lui ne abbia il controllo, e in pochi istanti Charles si ritrova a sgomitare in mezzo alla folla per raggiungere le due figure allacciate sotto alla cassa. La musica è talmente forte da rimbombargli nelle orecchie e attutire qualsiasi pensiero.

"Calamar!" lo chiama Pierre, quando si accorge di lui. Ha un sorriso sornione stampato sulla faccia e gli occhi vagamente socchiusi. Con una mano regge il suo drink, mentre con l'altra cinge la vita scoperta di Frances. "C'era un casino assurdo, una fila che neanche ti immagini" continua, poi gli porge il bicchiere mezzo vuoto, dalla cannuccia. "Vuoi?"

L'unica cosa che vorrebbe, è dargli un pugno.

Il petto gli si alza e si abbassa veloce, come poco prima di un attacco di panico, e Charles non è del tutto sicuro di non essere sull'orlo del peggiore che abbia mai avuto in tutta la sua vita. Le ginocchia gli tremano così tanto che se non fosse per la folla crollerebbe a terra.

"Che-" Le parole gli escono a stento dalla bocca, restano mute. Che cazzo, Pierre. Che cazzo.

"Stavamo venendo a cercarti"

Sì, certo, come no.

"Perché quella faccia? Sembra tu abbia visto un-"

Il sangue gli affluisce al cervello e prima che possa realizzare quanto folle sia come cosa, Charles afferra Frances con uno strattone e la trascina via, sotto lo sguardo attonito di Pierre.

"Charles?" fa lei, cercando di sovrastare la musica. "Cosa cazzo sta succedendo?"

Frances punta i piedi, si dimena, gli conficca le unghie nella carne e tira, strappa, non ha paura di fargli male –non ne ha mai avuta- ma per quanto provi ad opporglisi, non riesce ad avere la meglio. Charles non si era reso conto di essere diventato così forte.

Si fa strada a spallate e spintoni, sgusciando in mezzo alla ressa, pestando piedi e premendosi contro petti e schiene e fianchi di sconosciuti, muovendosi in direzione opposta al flusso, aprendosi una via di fuga nel cuore della pista, fino al parcheggio. Quando sono sufficientemente lontani perché la musica gli giunga attutita, Frances riesce finalmente a scuotersi la mano di Charles di dosso.

Nonostante ormai sia più bassa di lui, lo fronteggia con sicurezza, gonfiando il petto. È furiosa.

"Ma che ti prende? Si può sapere cosa vuoi da me, eh? Pensavo saresti stato felice, putain." praticamente urla, aprendo le braccia e sporgendosi verso di lui come se volesse spingerlo. "Finalmente parlo con qualcuno, finalmente sembro una persona normale"

Le parole di Frances grondano risentimento, si gonfiano fino a riempire lo spazio fra loro.

Charles è costretto a fare un passo indietro, sul brecciolino.

"Ho capito, afferrato il messaggio, me ne sono fatta una ragione. Non sono stupida, lo so che di me non te ne frega un cazzo, che non mi vuoi più intorno, non riesci nemmeno a sopportare di avermi davanti."

"Non è questo-" prova a dire, ma Frances è un incendio divampante, e non c'è verso di fermarla. Brucia in modo così intenso da costringerlo ad abbassare lo sguardo.

"Max non andava bene, Pierre nemmeno, vero?"

No, no, no.

Charles risucchia il labbro inferiore e lo morde fino ad imprimervi il segno dei denti, fino a sentire in bocca il sapore rugginoso del sangue. Nonostante siano all'aria aperta si sente messo con le spalle al muro. Non era così che doveva andare, non era così che aveva pensato di parlarle.

"Pierre non vuole esserti amico, Frances." Le dice di rimando, stizzito, e qualcosa in lei si rompe, con un gemito soffocato.

Tutta la tensione accumulata si prosciuga immediatamente, lasciandolo vuoto e floscio come un calzino, non appena alza lo sguardo ed incrocia gli occhi di Frances, trovandoli pieni di lacrime.

Nonostante abbia subito più lutti di quanti una persona della sua età dovrebbe, Charles l'ha vista piangere solo due o tre volte in tutta la sua vita, e mai con questa intensità.

"Perché è così assurdo che qualcuno voglia essermi amico?"

Sotto le luci al neon la sua espressione è completamente trasfigurata.

"Probabilmente sono io a non andare bene. Non andavo bene abbastanza per mio padre, né per un team di falliti che non ha mai fatto più di 10 punti in una stagione, né per nessuno dei tuoi maledettissimi amichetti del cazzo." gli urla addosso, mettendosi le mani nei capelli, tirandoseli a ciuffi, fino a farsi sbiancare le nocche. "Lo sapevo, lo sapevo, lo sapevo." Ogni parola è una stilettata nel centro del petto. Ormai Frances sta piangendo a pieni polmoni, singhiozzando, con le lacrime che le squarciano le guance, come ferite. "Dimmelo: dimmi se ho ragione. È questo? È che ti faccio schifo? Che non sono abbastanza ricca, o bella o raffinata per quelli come te? Ti disgusta così tanto il pensiero che io- che io-"

Charles la guarda attonito, pensa è impossibile che tu creda davvero questo.

Pensa: non sei abbastanza, sei tutto.

Ed è una stupida, stupida idea.

Anni più tardi, nella quiete perfetta del loro appartamento in Boulevard d'Italie, Charles la guarderà sfogliare un vecchio album di foto e soffermarsi su un'istantanea scattata da Arthur, in quella vacanza alla Maison d'Agaves, un po' sfocata, ma inconfondibile. Avvertirà una piccola fitta, dietro lo sterno, e si pentirà di tutto, ma non di quello che aveva fatto dopo.

La sola cosa che può fare, in quel momento, è prenderle il viso fra le mani e baciarla, forte.


//Spazio autrice (non ci credo nemmeno io, non vi preoccupate)

Dopo 6 mesi, Twin Flames torna con 6500 parole d'amore.

Spero possiate perdonarmi per la lunghissima attesa, ma la verità è che oltre agli impegni sempre più numerosi, gli ultimi mesi, purtroppo, sono stati molto difficili anche a livello personale e il futuro che ho davanti è più incerto che mai. 

Sono stata e sto piuttosto male, quindi purtroppo TF non è riuscita ad essere una priorità, nonostante lavorarci sia una delle poche cose che ancora riesce a darmi gioia. Spero, comunque, di essere riuscita a fare un buon lavoro e a farmi perdonare.

Questo doveva essere (originariamente) un capitolo abbastanza leggero e felice, ma temo di averci messo un po' troppo del mio mood attuale e di averlo reso piuttosto nostalgico (che sorpresa!!). Non vi faccio promesse per il prossimo, tranne una: scriverò fino a quando la mia salute me lo consentirà, spero di poter portare a termine questa storia come merita e come meritate voi.

Grazie per il supporto costante, la pazienza, tutto. Leggete, commentate, votate se vi va. Mi trovate qui o su IG come @/itstods_wattpad, per chiacchiere, aggiornamenti e feedback, che sono sempre sempre apprezzati, specie in momenti come questo.

Adesso mi taccio, bisous!

Vostra, 

T.



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