22| Charles- Il passato
TW: Discussione sul fine vita, lutto ed elaborazione.
(Postilla assolutamente necessaria per eventuali nuovi arrivati che non mi conoscono: tutto quello che segue è fictional ed i riferimenti a persone ed eventi reali sono funzionali alla storia e non vengono né verranno mai usati per p*rnografia del dolore. Né qui, né altrove.)
2014, ESP-FRA
I've seen fire and I've seen rain
I've seen sunny days that I thought would never end
I've seen lonely times when I could not find a friend
But I always thought that I'd see you again
La prima volta che Charles si rende pienamente conto di quanto sia pericoloso lo sport a cui ha promesso di dedicare tutta la sua vita, lo fa nel modo peggiore di tutti –perdendo una persona che ama.
Sotto il sole sfolgorante di Jerez, mentre dall'altro capo del mondo metà della sua famiglia si macerava nella sala d'aspetto di un ospedale giapponese, distrutta dall'attesa e dal terrore –certa, in qualche modo, che la propria vita non sarebbe mai più stata la stessa-, lui si preparava per la prima gara dell'ultima tappa del campionato di Formula Renault.
E nonostante le mani gli tremassero in modo incontrollabile mentre si allacciava il casco sotto al collo, tanto da costringerlo più volte a fermarsi e riprovare, perfino allora non aveva avuto un singolo istante di tentennamento.
In futuro gli chiederanno più volte dove abbia trovato la lucidità ed il sangue freddo, a dieci giorni dal suo diciassettesimo compleanno, per mettersi alla guida dopo aver saputo che il suo mentore lottava per la vita in una sala operatoria a migliaia di chilometri da casa sua. Charles farà per sempre fatica a ripensare a quei momenti, anche a distanza di molti anni, –li percepirà brumosi, distanti, inafferrabili- come se il suo stesso cervello tentasse in ogni modo di proteggerlo da un dolore troppo grande da elaborare.
La risposta, in ogni caso, sarà sempre la stessa: non lo ricorda –non sarebbe pronto a giurarlo- ma deve aver pensato che qualsiasi scelta avesse compiuto dieci anni prima fosse irreversibile e che fosse ormai troppo tardi per cambiare strada. Che perseguire il sogno in cui i suoi genitori e gli sponsor avevano investito centinaia di migliaia di euro e in cui lui aveva profuso tutto il suo tempo e tutto il suo impegno, fosse ormai una sua responsabilità, nonostante i rischi e le circostanze avverse.
In altre parole –quelle che non dice mai, ma che lo tormenteranno fino all'ultimo dei suoi giorni- Charles deve aver scelto, consapevolmente, che se anche fosse dovuto morire così, gli sarebbe andato bene.
*
Quando era Charles era ancora piuttosto piccolo, suo padre una volta gli aveva insegnato un trucchetto per addormentarsi. Lo chiamava il tuo posto nel mondo, e gli era tornato utile in più di qualche occasione, soprattutto nell'ultimo periodo. Era molto semplice, di per sé -e, per questo, efficace.
Si trattava di immaginarsi –esattamente come si era in quel momento, pigiama e calzini e tutto- in un posto in cui si era già stati e che si conosceva abbastanza bene da riuscire a ricostruirne tutti i dettagli con minuzia estrema, per renderlo il più reale possibile. Non doveva essere semplicemente un paesaggio –doveva avere colori e suoni e profumi precisi e distinguibili. Doveva essere familiare, ma non costruito –non un ricordo vero e proprio quanto piuttosto una scena dipinta a memoria, con dentro qualcosa di inaspettato, diverso ogni volta.
Cosa ancora più importante, doveva essere un posto in cui lui si sentiva al sicuro.
E, nonostante fosse un po' come barare, per Charles era sempre lo stesso.
A volte costruire il suo posto nel mondo era un processo così lungo e complicato che crollava addormentato ben prima di immaginarvisi dentro, quando ancora cercava di ricordare esattamente l'odore dell'erba dopo la pioggia e la sfumatura esatta degli aghi di pino che filtravano l'azzurro del cielo. Altre volte il sonno tardava ad arrivare, e lui riusciva addirittura a percorrere metà della pista a piedi, a stendersi sull'asfalto gelato e a guardare dritto in mezzo alle nuvole.
Se aspettava abbastanza, riusciva perfino a sentire una risata argentina in lontananza, e quella- quella era la sua parte preferita, in assoluto. In tutta la sua vita non c'era stata una singola volta in cui non si fosse assopito subito dopo averla sentita.
Quella notte è ancora nel limbo sottile del dormiveglia -già quasi addormentato, ma ancora sensibile agli stimoli esterni- quando il suo telefono inizia a vibrare rumorosamente, da qualche parte vicino alla sua coscia, costringendolo a cercarlo a tentoni sulla coperta.
"Mh, sì?"
Risponde senza nemmeno controllare il mittente.
"Charlot? Sei sveglio?"
Si stropiccia gli occhi con il palmo della mano, prima di alzare la testa dal cuscino per dare un'occhiata all'orologio digitale sul cruscotto. Sono quasi le due.
"Più o meno" gracchia, cercando di schiarirsi la voce.
Nel cuore della notte, l'unico rumore che si sente è il russare profondo e vibrante di suo padre, addormentato a pochi metri da lui, con un braccio che penzola giù dal materasso. Le rughe sottili sul suo volto sono per lo più distese e lui sembra sereno, in pace.
Charles vorrebbe sapere come si fa.
"Ma che ore sono da te? Mon Dieu." prosegue lei, e la voce è così alta che Charles deve tenere il telefono premuto contro l'orecchio per impedire alle parole di Frances e al cicaleccio che proviene dall'altro capo di disperdersi nell'abitacolo stretto e soffocante del camper. "È tardi vero? È tardi. Mi spiace."
Si tira su, malvolentieri, appoggiandosi allo schienale imbottito e tirando le ginocchia indolenzite verso di sé.
Nonostante sia stato lui a suggerire a Jules di regalare a Frances il pass per il Gran Premio di Suzuka, per evitare che fosse a casa durante l'ultimo weekend del campionato da cui era stata esclusa, Charles non riesce a fare a meno di provare una fitta d'invidia –spiacevolmente precisa, fra il cuore e lo stomaco- a saperla dall'altro capo del mondo, in uno dei circuiti più belli mai progettati.
Con Jules.
Senza di lui.
Sua madre è morta, ha dovuto rinunciare per sempre al sogno di diventare una pilota professionista, non ha un soldo né un titolo di studio, eppure Charles –Charles che ha una famiglia felice, un sedile in Formula 3 per l'anno successivo, un diploma quasi in tasca, e perfino un piano B nel caso in cui tutto andasse storto- la invidia.
O, forse, si dice, è solo che vorrebbe essere lì insieme a lei.
"Non essere sciocca, Fanny" dice, soltanto. Fissa fuori dal finestrino, nel buio della notte, fino a che gli occhi non gli iniziano a lacrimare per lo sforzo. Poi prende fiato, come se si preparasse ad un intenso sforzo, e aggiunge: "Com'è? Bello?"
Il suo tono è più brusco di quanto volesse e coglie Frances in contropiede.
"Bello?" gli fa eco, quasi indispettita. "Non è Monaco, di sicuro."
Charles si massaggia l'attaccatura del naso, e con le dita preme forte, appena sopra gli occhi –fino a che non vede nero.
"Non intendevo questo, lo sai."
Gli è ancora difficile abituarsi allo strano imbarazzo che percepisce da parte di Frances, quando si parlano. Negli ultimi mesi il loro rapporto ha preso una piega inattesa, attorcigliandosi in punti dove era sempre stato disteso, e lui non riesce a scacciare via la sensazione che tutto abbia iniziato ad andare a rotoli da quando non si è presentato alla sua festa di compleanno.
Si era aspettato rabbia da parte di lei, delusione, cieco rancore. Frances era sempre stata molto brava a fargli capire quando le sue azioni la ferivano. A punirlo, per questo.
Quella volta però era stato diverso. Quando si erano rivisti, un paio di settimane dopo, a Brignoles, Frances non aveva fatto alcun cenno a quanto era accaduto. Lui aveva provato flebilmente ad affrontare l'argomento, a scusarsi perfino, ma lei aveva sempre cercato di sviare la conversazione –Max questo e Max quest'altro- e Charles aveva sentito qualcosa agitarglisi nelle viscere, come un cattivo presentimento che gli era rimasto appiccicato addosso e si era fatto sempre più cupo e stridente, col passare del tempo.
Si erano visti poco, durante l'estate. Lei aveva partecipato a qualche competizione sui kart –dominando, annoiata, e sperando che il team la facesse partecipare almeno al round del Mugello, prima di scaricarla in via definitiva. Sapevano tutti che non sarebbe mai successo –non c'erano abbastanza soldi, né abbastanza sponsor e, tristemente, il mondo era pieno di ragazzetti con un decimo del suo talento che avevano entrambi in abbondanza. Lo sapeva Charles, lo sapeva Jules e lo sapeva Pa', per quanto lo addolorasse.
Probabilmente, da qualche parte, dentro di lei, lo sapeva anche Frances, ma non l'avrebbe mai ammesso. Non era il tipo di persona che si arrendeva –neppure davanti all'evidenza- e Charles l'aveva sempre ammirata per questo.
Così, mentre lui si destreggiava fra Formula Renault ed Eurocup, Frances aveva passato quel che restava del mese di settembre aiutando Pa' in officina, e da Philippe, nell'afa e nella polvere da cui era venuta. In attesa. E mentre lui andava avanti, lei rimaneva ferma.
Ogni giorno un po' più lontana dal loro sogno.
"Va tutto bene, sì?" chiede, quando si rende conto che lei non gli ha ancora risposto.
Lo dice più perché lo spera, che perché lo creda.
Frances sembra soppesare la domanda, e per una manciata di secondi tutto quello che Charles sente è un vago brusio di sottofondo –il traffico della città, il vociare distante in una lingua che non conosce.
"Sì. Avrei chiamato prima ma-" dice lei, allora, e si interrompe a metà. Sembra che voglia aggiungere qualcos'altro, ma poi ci ripensa, e sospira. "Non importa, volevo solo salutarti. Mi spiace se t'ho svegliato."
"Non stavo ancora dormendo, a dire la verità"
Lei fa un rumore con la bocca, uno schiocco, e Charles immagina un sorriso attraversarle la faccia, fugacemente. Quando parla di nuovo ha un tono diverso, pieno di affetto.
"A che parte eri arrivato?"
Lo chiede in modo quasi casuale –senza bisogno di spiegazioni- e lui si sente un'idiota per aver anche solo pensato che un legame come il loro potesse davvero spezzarsi per una cosa così sciocca –per qualsiasi cosa, a dir la verità.
Certo. Certo che avrebbe capito. Certo che si sarebbe ricordata.
Un calore balsamico gli si irradia nel petto –come oro colato direttamente nelle spaccature della ceramica. Sana la gelosia, la stanchezza e la preoccupazione.
"Steso vicino alle gradinate" dice, con la voce che quasi trema.
"È la mia parte preferita"
"Anche la mia" conferma, anche se non è vero. La parte che preferisce arriva dopo, sempre dopo. Come una ricompensa per aver aspettato così a lungo.
C'è un istante di silenzio, in cui Charles può sentire il cuore battergli un po' più veloce dentro al petto. Non sa perché, ma è notte fonda e non vuole davvero risposte. Solo una mano calda e ruvida che stringa la sua, dall'altro lato del letto.
"Divertiti, Fanny, sono serio." Mormora, dopo poco. "Per tutti e due.".
"E tu vinci, Charlot. Vinci per tutti e due."
*
04/10/2014 22.45 (CET, Barcellona)
Jules
CC Charlot! Sois tranquille et va te coucher. Tout se passe bien. À dem1
*
L'aria profuma di disinfettante ed è densa di una parola che nessuno dice ma che lui percepisce urgente, come un richiamo ancestrale. Morte.
Sta in piedi davanti alla porta accostata, senza avere la forza per spingerla appena in avanti ed entrare nella stanza. Sa bene cosa c'è dall'altra parte, eppure finché non varca la soglia –finché non sono i suoi occhi a mettere a fuoco quella figura- niente riesce a sembrargli reale. È ancora convinto, in una certa misura, che da un momento all'altro qualcuno gli dirà che c'è stato un errore, che ha capito male, che è molto meno grave e definitivo di quanto pensa.
I singhiozzi che provengono dall'interno, però, raccontano una storia molto diversa, e per un attimo Charles si chiede se non sa il caso, per una volta, di assecondare la sua tendenza a scappare dalle cose che gli fanno paura. Girarsi e tornare a casa. Non vedere, non sapere.
Anche se fare finta di niente, questa volta, non sistemerà le cose.
"Quando sei pronto" dice suo padre, poggiandogli una mano pesante sulla spalla e stringendo forte, prima di andarsi a sedere di nuovo accanto a Pa' Roux. A Charles quasi scappa da ridere per l'assurdità di quella frase.
Come se si potesse mai essere pronti per una cosa del genere.
In quel corridoio c'è gran parte di quella che considera la sua famiglia, eppure non si è mai sentito così fuori posto –così solo. Ha sempre pensato che condividere il dolore con altre persone lo alleviasse –che distribuire il peso della perdita su più spalle contribuisse a sollevarne una parte, a non venirne schiacciati. Adesso, di fronte ad un evento così terribile, Charles sa che non è affatto vero. Un dolore così grande, quando è condiviso, si catalizza.
Nessuno ti tiene a galla, se tutti stanno affondando.
Com'è potuto succedere? Perché?
No- Perché lui?
Fissa la porta così tanto che gli occhi iniziano a bruciare, a riempirsi di lacrime che non verserà. Poi inspira, a fondo, e la spinge.
Con la saggezza degli anni, quella che verrà solo in seguito –solo quando l'ultimo chiodo verrà piantato nella bara, e tutti i lutti si ricongiungeranno in un unico, abissale, senso di perdita- Charles capirà profondamente Frances. Il modo in cui stringeva la mano di Jules fra le sue, la faccia serena e distesa, come se fosse lì per accompagnarlo, più che per ancorarlo al suo corpo.
Allora non aveva capito. Si era arrabbiato.
Aveva pensato che lei fosse ingiusta, che non avesse capito la gravità della situazione e che si fosse aggrappata a speranze vane e a numeri –probabilità- che non significavano niente.
L'ultima volta che era andato in ospedale –all'inizio di giugno, sul finire della primavera, con gli uccelli che cinguettavano e i raggi del sole che entravano di taglio nella stanza- le aveva chiesto di accompagnarlo. Lei era andata a prenderlo da Monaco venendo direttamente dal kartodromo, dove aveva iniziato a dare una mano a Philippe a tempo pieno, ed aveva guidato in silenzio fino a Nizza.
Si era sentito in difetto, in difficoltà. Sapeva che Frances andava da Jules quasi tutti i giorni, mentre lui era stato così impegnato con il campionato di Formula 3 da non essere riuscito a fermarsi mai abbastanza a lungo. Questa era la versione ufficiale, quella che lo faceva dormire la notte. Quella vera la teneva per sé.
Niente lo riempiva di panico e tristezza come entrare lì.
Se dovesse indicare un evento scatenante, per tutto quello che è venuto dopo, Charles parlerebbe di quel pomeriggio assolato e silenzioso. Del mormorio incessante e crudele delle macchine, e dello stoicismo con cui la sua migliore amica –la più giovane campionessa di Francia- affrontava lo spegnersi di una vita che aveva significato moltissimo per entrambi.
In futuro cambierà idea su molte cose. Su molte persone.
Non su quello che le aveva detto, dopo, nell'abitacolo familiare della macchina di Pa' Roux, però.
Pensi che lui avrebbe voluto questo? Le aveva chiesto.
Questo espediente. Quest'attesa. Questo dolore inevitabilmente sempre più grande.
Frances non aveva detto nulla, per lungo tempo, limitandosi a guardare la strada sfilare dritta davanti ad i suoi occhi.
J'sais pas.
Charles si era sentito improvvisamente sollevato dalla sincerità di quell'ammissione d'impotenza, e le parole gli erano rotolate di bocca quasi inconsciamente, prima che potesse fermarle.
Aveva detto Io no. Io non vorrei mai farti questo.
Non saprà mai se l'alternativa, in fin dei conti, avrebbe fatto meno male.
//Spazio autrice, silenzioso
Ciao amichette: mi scuso per essermi fatta attendere così a lungo, ma questo è uno dei capitoli più difficili che io abbia mai scritto e ci sono stati diversi momenti in cui ho dovuto allontanarmene un attimo per preservare un po' la mia sanità mentale.
Vi sto lasciando, ancora una volta, un pezzetto di cuore ed emozioni che non sarò più in grado di ricacciare dentro di me. Leggete, votate, commentate se vi va. Qui o su instagram, dove mi trovate come @/ itstods_wattpad, dove farò una colletta per sedute di terapie di gruppo, essenziali dopo questa botta.
Siamo ufficialmente entrati nell'occhio del ciclone, e i pezzi si allineano alla perfezione.
Buon viaggio, e tante lacrime.
Vostra sempre, T
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