21| Max- Il presente

2021, GBR

You saw my pain, washed out in the rain
Broken glass, saw the blood run from my veins
But you saw no fault no cracks in my heart
And you knelt beside my hope torn apart

Quando per lavoro guidi trappole mortali progettate per sfidare tutti i limiti della fisica, sottoponendo il tuo corpo ad uno stress costante all'interno di circuiti tortuosi e claustrofobici con l'unico obiettivo di arrivare prima di tutti gli altri, non puoi permetterti il lusso di avere paura della morte.

Non puoi permetterti il lusso di avere paura di niente, in realtà.

Un pilota deve essere indomito, per natura. Deve fidarsi ciecamente dei freni e del volante e del motore dietro alla sua schiena come si fida dei suoi occhi, dei suoi piedi e delle sue stesse mani.

Non farlo sarebbe paradossale.

Spesso la gente comune trova questo sprezzo per il pericolo folle ed arrogante –miope, nel migliore dei casi. La verità è che nessuno si metterebbe alla guida di una monoposto di Formula uno se non fosse assolutamente convinto che non gli accadrà mai niente.

Il rischio esiste, lo conoscono tutti, ma non li tange.

E niente può andare storto, finché non lo fa.


*


La prima cosa a cui Max pensa dopo l'impatto è: ho mandato tutto all'aria.

Non sa cosa sia successo–dove e come l'abbia persa- né se sia stata colpa sua o colpa di Lewis, ma sa che la sua monoposto è accartocciata contro le barriere, avvolta dalla polvere e dal fumo, e che la sua gara è finita.

Non riesce a rendersi conto se sia normale o se sia in qualche modo prova di quanto lui sia disfunzionale, ma dopo un incidente orribile, mentre il cuore gli martella così veloce da sembrare sul punto di schizzargli fuori dal petto, prima ancora di chiedersi se sta bene o se si sente le gambe, la prima cosa che pensa è questa.

Ho mandato tutto all'aria.

Il vantaggio centellinato gara dopo gara si è più che dimezzato nel giro di una frazione di secondo. Ogni suo sforzo, vanificato in una sola curva.

Oh, sì. Ha rovinato ogni cosa.

Vorrebbe dirsi sorpreso, ma la realtà dei fatti è che c'era da aspettarselo e questo rende ancora più imperdonabile il fatto che non lo abbia visto arrivare.

Non ha il tempo di autoflagellarsi troppo a lungo, però, perché improvvisamente il corpo ha la meglio sulla mente e Max viene investito dal dolore più acuto e totalizzante che abbia mai provato in tutta la sua vita. Non è in grado di rendersi conto di cosa gli faccia male, né dove. È così forte che per un attimo gli fa dimenticare perfino come si faccia a respirare.

Sente la voce di GP e poi quella di Christian, in cuffia, ovattata e lontanissima. Vorrebbe rispondere –rassicurarli- ma non ce la fa. Ha la bocca impastata, la lingua gonfia e pesante, arrotolata. Per un attimo nero è tutto quello che riesce a vedere.

E prima di perdere i sensi pensa che, ancora una volta, ha rovinato tutto.


La successiva cosa che si ricorda è che è disteso sulla barella del centro medico, dove è già stato parecchie volte, con un'infermiera che non conosce che gli spara una torcia dritta in mezzo agli occhi per controllare che sia tutto a posto e che non stia avendo un'emorragia cerebrale.

Ad un certo punto qualcuno deve avergli slacciato la tuta, forse per misurargli la pressione, perché ha un braccio nudo e ricoperto di brividi. Il tessuto della maglietta gli si appiccica al petto come una seconda pelle asfissiante. È completamente zuppo di sudore gelato.

Ai margini del cono di luce che lo avvolge, tutti si muovono concitati ma Max ha come l'impressione di guardare l'intera scena attraverso una spessa lastra di vetro, che attutisce i suoni e intensifica i colori, rendendogli sorprendentemente difficile capire cosa stia accadendo attorno a lui.

Qualcuno gli chiede come si sente.

"Stordito" è l'unica cosa che riesce a dire, ma lo fa così piano che non è nemmeno sicuro che siano riusciti a sentirlo. Ha le vertigini.

La stanza bianca gira così vorticosamente attorno a lui che è costretto a strizzare gli occhi per impedirsi di vomitare. Lo fa comunque.


Il percorso in ambulanza verso l'ospedale con suo padre è una delle dieci cose più spiacevoli che gli siano mai successe in tutta la sua vita.

La testa gli pulsa in modo insostenibile e riesce a fatica a tenere gli occhi aperti, ma Jos sembra essersi convinto che sia il momento più adatto per lasciarsi andare ad una filippica su quanto Lewis Hamilton stia giocando sporco e su tutti i modi che hanno per battere lui e quel pidocchioso di Toto, costi quel che costi.

Cosa con cui Max sarebbe anche d'accordo, fondamentalmente. È solo che è tutto troppo rumoroso, troppo luminoso. Vorrebbe solo un po' di pace.

Per la prima volta dall'incidente ha un momento di lucidità e pensa a Kelly, che dopo aver rinunciato a seguirlo in Inghilterra lo avrà visto schiantarsi contro le barriere in diretta televisiva. Pensa a sua madre, a Vic. A tutte le raccomandazioni che gli hanno sempre fatto, a quanto debbano essere spaventate.

Per un momento, uno soltanto, pensa anche a Frances.

Con la mano fredda e sudata stringe il polso di suo padre, che lo guarda allarmato, strabuzzando gli occhi.

"Ti senti bene?"

Lui non risponde, ma piuttosto cerca di mettersi a sedere, puntellandosi su un gomito e ricacciando indietro l'ondata di nausea che lo travolge. Non che ci sia una qualche possibilità di dire a suo padre che sta di merda e che si sente male da morire, comunque.

"Chi è in testa?" si sforza di chiedere, con la voce arrocchita, rantolante. L'operatore di primo soccorso che è con loro lo invita a rimettersi disteso, ma lui lo liquida con un gesto stizzito.

Jos si acciglia, con gli angoli della bocca piegati all'ingiù e gli occhi che si chiudono in due fessure giudicanti.

"Leclerc."

Max allenta la pressione sul suo polso quasi inconsciamente.

La sensazione che gli si accende nel petto, che fiorisce improvvisamente da qualche angolo nascosto e dimenticato di lui, è più piacevole di quanto avrebbe mai osato credere.

Meglio te, che chiunque altro.

Mai nella vita avrebbe pensato di augurarsi che il suo rivale di sempre –l'uomo che dorme ogni notte al fianco della donna che Max ama- vincesse una gara con lui fuori pista. Ma si dice che, probabilmente, ormai Charles non è più soltanto un rivale.

Forse non lo è più già da molto tempo.


Il viaggio di ritorno attraverso l'uggiosa brughiera inglese è spettrale e silenzioso, ma nella sua testa God save the Queen risuona ossessivamente, come un monito alla sua ineluttabile e gigantesca stupidità.

Nonostante i medici gli avessero intimato di evitare fonti luminose troppo intense e lui si sentisse piuttosto confuso e disorientato, Max aveva guardato la fine della gara dalla tv nella stanza in cui lo avevano fatto stendere in attesa dei risultati della TAC. Sotto al lenzuolo, continuava a flettere la punta delle dita dei piedi, prima il destro e poi il sinistro, ritmicamente, come se fossero ancora sui pedali –cercando di mantenere la calma, forse, o di assicurarsi di non avere danni neurologici permanenti, più probabilmente.

Suo padre, l'unica persona a cui avevano permesso di entrare in pronto soccorso –e l'ultima che Max avrebbe voluto con sé- non aveva smesso di borbottare e lamentarsi nemmeno per un istante, e quando Hamilton, dopo aver scontato una penalità ridicola, aveva superato Charles strappandogli la vittoria a poche curve dalla fine, aveva lanciato un urlo talmente forte da perforargli il cervello.

Tutta l'adrenalina accumulata nelle ultime ore era evaporata dal suo corpo istantaneamente, lasciandolo del tutto svuotato. Forse i medici avevano ragione. Avrebbe fatto meglio a riposare, dopotutto.

Quando Lewis aveva tirato fuori la bandiera britannica dall'abitacolo e aveva percorso il giro d'onore sventolandola allegramente per festeggiare la sua vittoria, Max aveva avuto i conati di vomito per il disgusto.

O per la commozione cerebrale, forse.

L'epilogo perfetto per una giornata di merda.

La cosa peggiore è che gli è andata bene, tutto sommato. Considerando l'entità della botta che ha preso, è a dir poco sorprendente che non si sia rotto nulla, a parte un paio di costole incrinate sul lato sinistro del torace che gli fanno un male irreale ogni volta che respira.

Il medico che lo visita nel tardo pomeriggio –un uomo anonimo con un paio di occhialetti sottili, stempiato, sulla sessantina- è molto chiaro quando glielo dice: Max è stato fortunato. Nessuna emorragia interna, nessun danno permanente, almeno in apparenza. Vorrebbero tenerlo sotto osservazione nella notte, per scongiurare ogni dubbio, ma lui non ha la minima voglia di restare in ospedale un secondo di più.

Suo padre sembra soddisfatto della sua scelta –fa un cenno di approvazione, seppur breve, a mascella serrata- e lui si detesta un po' quando sente il primo briciolo di sollievo della giornata farglisi strada nel petto.

È inaspettatamente intimorito al pensiero di cosa diranno i media –degli immancabili titoli sensazionalistici che compariranno l'indomani sulle copertine di tutti i giornali, dei modi perversi e crudeli che si inventeranno per distorcere la realtà e addossargli ogni colpa, ancora una volta- ma si guarda bene dal parlarne con Jos. Sa che non lo capirebbe. Così, firma le dimissioni contro il parere medico e prende un taxi per tornare al circuito.

Si rende conto, con sbigottimento, che può gestire il dolore fisico ma non l'ennesimo tentativo da parte della stampa di mettere il naso nella sua vita e di esporre la sua parte più nuda e vulnerabile, quella che ha cercato così a lungo di nascondere –di preservare.

Sto bene, vorrebbe dire. Non sono morto. Ora, per favore, possiamo fare finta che non sia mai successo?

Durante il tragitto in auto, Max è talmente imbottito di antidolorifici che non sente niente, nemmeno il freddo del finestrino contro la sua guancia. Nonostante non ci vogliano più di tre quarti d'ora, continua ad assopirsi e risvegliarsi a più riprese, e ogni volta che riesce a sollevare le palpebre per più di qualche secondo, la faccia di suo padre si fa sempre più scura.

Decide, per il suo bene, che è meglio saperne il meno possibile.

Quando arrivano a destinazione, per fortuna, sono andati via quasi tutti e non c'è il rischio di venire tallonati dai giornalisti o da qualche fan a caccia di autografi. Il circuito ha riacquisito un'aria piacevolmente familiare, con lunghissime ombre scure e mute proiettate sull'asfalto e bandierine colorate che svolazzano nel vento.

Sono solo lui e suo padre, come ai vecchi tempi.

Appena l'auto si ferma, Max apre la portiera quanto basta per essere investito dalla luce sfarfallante dei lampioni, che lo costringono a portarsi una mano al volto per coprirsi gli occhi. Dietro alle palpebre chiuse, una rete di capillari rossastri pulsa e guizza, sinistra.

"Max?"

Jos lo aspetta nel parcheggio, qualche passo più avanti.

Non si sono scambiati più di qualche parola da quando hanno lasciato l'ospedale, ma Max riesce a percepire chiaramente che suo padre si sta spazientendo dal modo in cui i muscoli del collo si tendono sulla nuca, tozzi ed arrossati. Gli ricorda certe serate di quando era ancora poco più che un bambino, e le cose che poteva offrirgli erano ancora troppo lontane da quelle che lui si aspettava di ricevere.

"Max?" lo richiama, dopo pochi secondi, con una decisa nota di fastidio nella voce che non prova nemmeno a mascherare. "Ce la fai a camminare?"

Lui sospira.

"Sì. Sì." si affretta a dire, ma non appena poggia il peso sul piede destro sente il ginocchio tremare e cedere, e Jos è costretto a tornare indietro per aiutarlo a rimettersi in piedi.

Non sente dolore, non più, non esattamente. È uno stranissimo torpore, piuttosto, una debolezza, quasi le gambe attaccate al suo corpo non fossero più le sue.

Il dottore lo aveva avvertito che sarebbe potuto succedere, visto l'alto dosaggio di antidolorifici che gli avevano somministrato e considerata la stanchezza che sembra averlo avvolto da quando è uscito dall'ospedale. A preoccuparlo non è tanto il fatto in sé, quanto l'umiliazione che deriva dal doversi letteralmente appoggiare a suo padre per camminare verso il motorhome e recuperare i suoi effetti personali.

Se dipendesse da lui, Max preferirebbe trascinarsi per terra con i gomiti, piuttosto che farsi aiutare da chiunque, tanto meno da suo padre.

Tiene gli occhi serrati per tutto il tempo, per non rischiare di incrociare il suo sguardo carico di disapprovazione. Non serve che dica niente, Max sa benissimo cosa sta pensando.

Patetico.

Assolutamente inadeguato.

Un perdente.

Ad un certo punto, però, la presa salda sulla sua vita sembra allentarsi tutt'un tratto, e Max si ritrova costretto ad aprire gli occhi ed allargare le braccia per mantenersi in equilibrio e non cadere. La cosa peggiore è che per un istante è quasi certo che suo padre lo abbia fatto apposta per vederlo strisciare e prendersi gioco di lui.

Ci mette un po' a rendersi conto che seduti sul muretto davanti all'hospitality Red Bull, a pochi metri da loro, ci sono quattro persone che Max conosce molto bene, seppur per ragioni diverse. È su di una, però, che i suoi occhi si fissano istintivamente, e non la lasciano andare finché lei non gli è ad un passo e gli butta le braccia al collo, spezzandogli il fiato.

E Max non è mai stato così felice di non riuscire a respirare in tutta la sua vita.

Anche se non si abbracciavano da molto tempo, la nuca di lei ha ancora lo stesso odore di un tempo –sa di cotone fresco e gomma bruciata, di erba bagnata e di benzina. Si mimetizza col circuito come se fosse il suo habitat naturale, la sua casa.

Forse è per questo, si dice, che per lui è sempre stato così familiare.

Il gemito sofferente che gli esce dalle labbra, però, deve metterla all'erta, perché Frances lo lascia andare quasi subito, ed il dolore sordo al petto viene sovrastato istantaneamente dal vuoto lasciato dall'abbraccio saldo e confortante di lei.

"Scusa" farfuglia, e poi allunga di nuovo la mano per cercare la sua, e stringerla. È piccola, e callosa e rassicurante. "Ti ho fatto male?"

Lui accenna un gesto sbrigativo con la testa.

Da questa distanza, Max può contare le efelidi sui suoi zigomi e tracciare la geografia delle sue rughe d'espressione, ma non riesce a dare un nome alle emozioni sul suo volto. Frances sembra allo stesso momento grata che lui sia uscito incolume dall'incidente e pronta a farlo sparire personalmente dalla faccia della Terra.

"Come ti senti?"

"Sono stato meglio" gracchia. Suona un po' melenso, ma tutte le cose che vorrebbe dire gli rimangono impigliate nella gola, come sempre. È il meglio che riesce a mettere insieme.

"Non farlo mai più." Ribatte Frances, allora. La sua espressione si indurisce per un istante, prima di tornare scherzosa e sollevata, provocandogli un brivido lungo la schiena. "Se ti azzardi a farlo di nuovo, Max, ti giuro, dimenticati pure come mi chiamo."

Alle spalle di lei, Christian sta parlando con Sebastian Vettel, col quale non ha mai avuto un rapporto sufficientemente stretto da giustificarne la presenza, ma è il terzo uomo a metterlo più a disagio di tutti perché quando finalmente sposta lo sguardo su di lui, nota che l'altro lo stava già guardando, con insistenza.

Gli occhi di Charles sanno sempre essere indiscreti. Gli guardano attraverso come se fosse fatto d'aria anziché di carne e ossa e come se la corazza che ha assemblato a fatica da quando è nato si liquefacesse seduta stante, lasciandolo nudo e senza difese.

Ha imparato a riconoscerne le sfumature più luminose –quelle dei giorni buoni, felici e stupidamente ottimisti- e quelle scure e turbolente dei momenti bui, sempre più frequenti. Stasera, tuttavia, emanano una luce particolare, quasi fosforescente.

Charles non si avvicina, non lo abbraccia, non dice niente.

Si limita ad esserci, e questo è sorprendentemente sufficiente perché Max si senta avvolgere da un inatteso senso di pace.

Quando riprenderà possesso del suo cellulare, poche decine di minuti più tardi, Max leggerà il post che Charles ha pubblicato dopo la gara –qualcosa tipo "La vittoria più grande, oggi, è vedere che Max sta bene ed è al sicuro dopo quel brutto incidente."- e si chiederà che cosa ha fatto per meritare tanta gentilezza da parte di una persona per cui non ha fatto altro che covare rancore da dieci anni.

"Quindi è per questo che Kelly sta facendo la difficile?" dirà suo padre, vedendolo accigliarsi. "Adesso ti scopi quella cagna rognosa dei Roux? Puoi fare di meglio, anche se capisco il fascino. Ho sempre pensato che quella ragazza avesse bisogno di essere castigata."

Max reagirà alle parole di Jos con un sussulto vistoso, sentendo fiotti di rabbia ribollire e raggiungere la superficie con uno scoppio.

"No." Risponderà, brusco come non ha mai osato essere nei confronti di suo padre. "Non è così fra di noi, siamo amici. Lei è la ragazza di Charles."

Pronunciare quelle parole ad alta voce lo rende sempre un po' più vero –Max vive nel rifiuto e nell'illusione che Frances possa ancora, in qualche universo, essere sua- ed è principalmente per questo che evita di farlo e che sua sorella Victoria è l'unica persona che si azzardi ancora a chiedergli, di tanto in tanto, se si sia deciso o meno a provarci con lei.

Suo padre si mostrerà genuinamente sorpreso. Incuriosito, quasi. Se dalle sue parole o dal tono con cui le ha pronunciate, Max non lo saprà mai.

Finché non apre bocca, pensa addirittura che lui stia per fargli delle domande e che stiano per avere una conversazione normale, una volta tanto. Sarà un pensiero molto breve, ovviamente.

"Quel finocchio?" chiederà Jos, allora, con una punta di scherno nella voce, scoprendo i denti bianchi in un sorriso cattivo. "Non pensavo gli piacessero le passere"

C'è stato un tempo, non troppo lontano, in cui Max avrebbe glissato sul commento pieno d'odio di suo padre senza aggiungere nulla, vergognandosi intimamente del senso di sollievo che gli provocava non esserne l'oggetto, per una volta.

Quella sera, però, le cose andranno diversamente. Terrà la testa alta e lo guarderà negli occhi senza sentire il bisogno ustionante di distogliere lo sguardo. Gli dirà Se Frances ha scelto lui un motivo ci sarà e per il futuro ti prego di non parlare così dei miei amici.

Il che presupporrà che lui e Charles siano amici –cosa non vera, non ancora per lo meno- ma è in quel momento esatto che prometterà a sé stesso che proverà seriamente a cambiare le cose.

E Max non è uno che manca alle sue promesse.


//Spazio autrice (come promesso!)

Buonasera! Spero che questo capitolo sia valso la lunga (seppur non eccessiva) attesa. Come promesso, prima di Natale, Twin Flames torna nelle vostre librerie con un capitolo nuovo di pacca, pieno di punti insoluti e temi ricorrenti. Ormai i tasselli vanno infilandosi uno accanto all'altro e delineano un quadro molto preciso.

Il rapporto di Max e Charles muta e muterà nel tempo. Sarà un bene, o no?

Personalmente adoro ogni singolo frammento di questo capitolo, per quanto sia sempre doloroso ricordare il brutto incidente dello scorso anno anche se, per fortuna, non ha avuto conseguenze gravi. Il cameo di Seb non potevo lasciarmelo sfuggire.

Come al solito, ci sono tantissimi Easter Eggs e non vedo l'ora che proviate a scovarli tutti. Ci avviciniamo sempre più alla resa dei conti: ready or not, here I come.

Spero di avervi allietato questo momento sospeso nel tempo che sono le ore che precedono la cena della Vigilia di Natale e di sentirvi presto. Leggete, votate, commentate se vi va. Qui sotto o su instagram (ò

Quando riprenderà possesso del suo cellulare, poche decine di minuti più tardi, Max leggerà il post che Charles ha pubblicato dopo la gara –qualcosa tipo "La vittoria più grande, oggi, è vedere che Max sta bene ed è al sicuro dopo quel brutto incidente."- e si chiederà che cosa ha fatto per meritare tanta gentilezza da parte di una persona per cui non ha fatto altro che covare rancore da dieci anni.

"Quindi è per questo che Kelly sta facendo la difficile?" dirà suo padre, vedendolo accigliarsi. "Adesso ti scopi quella cagna rognosa dei Roux? Puoi fare di meglio, anche se capisco il fascino. Ho sempre pensato che quella ragazza avesse bisogno di essere castigata."

Max reagirà alle parole di Jos con un sussulto vistoso, sentendo fiotti di rabbia ribollire e raggiungere la superficie con uno scoppio.

"No." Risponderà, brusco come non ha mai osato essere nei confronti di suo padre. "Non è così fra di noi, siamo amici. Lei è la ragazza di Charles."

Pronunciare quelle parole ad alta voce lo rende sempre un po' più vero –Max vive nel rifiuto e nell'illusione che Frances possa ancora, in qualche universo, essere sua- ed è principalmente per questo che evita di farlo e che sua sorella Victoria è l'unica persona che si azzardi ancora a chiedergli, di tanto in tanto, se si sia deciso o meno a provarci con lei.

Suo padre si mostrerà genuinamente sorpreso. Incuriosito, quasi. Se dalle sue parole o dal tono con cui le ha pronunciate, Max non lo saprà mai.

Finché non apre bocca, pensa addirittura che lui stia per fargli delle domande e che stiano per avere una conversazione normale, una volta tanto. Sarà un pensiero molto breve, ovviamente.

"Quel finocchio?" chiederà Jos, allora, con una punta di scherno nella voce, scoprendo i denti bianchi in un sorriso cattivo. "Non pensavo gli piacessero le passere"

C'è stato un tempo, non troppo lontano, in cui Max avrebbe glissato sul commento pieno d'odio di suo padre senza aggiungere nulla, vergognandosi intimamente del senso di sollievo che gli provocava non esserne l'oggetto, per una volta.

Quella sera, però, le cose andranno diversamente. Terrà la testa alta e lo guarderà negli occhi senza sentire il bisogno ustionante di distogliere lo sguardo. Gli dirà Se Frances ha scelto lui un motivo ci sarà e per il futuro ti prego di non parlare così dei miei amici.

Il che presupporrà che lui e Charles siano amici –cosa non vera, non ancora per lo meno- ma è in quel momento esatto che prometterà a sé stesso che proverà seriamente a cambiare le cose.

E Max non è uno che manca alle sue promesse.


//Spazio autrice (finalmente!)

Buonasera amiche! Come promesso, Twin Flames torna prima di Natale con un capitolo nuovo di pacca, come al solito pieno di insoluti, temi ricorrenti ed easter eggs (non vedo l'ora che li scoviate tutti!). L'ho rimaneggiato talmente tante volte che ormai lo pubblico adesso solo perché altrimenti non lo farò mai! Scrivere dell'incidente dello scorso anno mi risulta sempre molto difficile, nonostante l'epilogo fortunato, ma pero sia valsa l'attesa e che abbia allietato le ore che precedono il Cenone della Vigilia di Natale!

Il rapporto fra Max e Charles sta inevitabilmente cambiando e tutti i pezzi del puzzle stanno andando al loro posto. Presto arriveremo alla resa dei conti: ready or not.

Non vedo l'ora di sapere cosa ne pensate: leggete, votate, commentate se vi va. Qui o su instagram (@/itstods_wattpad). Il vostro feedback è sempre importantissimo, specie in momenti come questo in cui purtroppo ho pochissimo tempo da dedicare alla scrittura. Lo faccio per voi. <3

Baci stellari e buon Natale,

T.















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