20| Max- Il presente
2021, GBR
All alone in the danger zone
Are you ready to take my hand?
All alone in the flame of doubt
Are we going to lose it all?
Trovare il perfetto punto di staccata, puntare su investimenti ad alto rischio, scegliere le persone giuste di cui fidarsi.
Accade raramente che l'istinto di Max Verstappen si sbagli.
È sempre stata la sua arma migliore, da quando ha memoria, e negli anni non ha fatto altro che affilarla sempre di più, fino a renderla inverosimilmente tagliente, chirurgica, infallibile.
Può contare sulle dita di una mano le volte in cui una sua previsione –per quanto azzardata- non si sia rivelata vera e, probabilmente, si dice, è per questo che gli costa così tanto ammettere a sé stesso quanto si sia sempre sbagliato sul conto di Charles Leclerc.
Nella serata che avevano trascorso insieme in Austria, bevendo Blue Gin liscio da bicchierini sfaccettati e mordicchiando fette di lime, Charles aveva scherzato a lungo sulla sua sfortuna con un'allure caustica e pungente che Max non avrebbe mai pensato potesse appartenergli. Contrariamente a quanto aveva sempre creduto, infatti, il suo rivale di sempre si era rivelato una persona straordinariamente facile con cui parlare. Peggio ancora, si era rivelato una persona piacevole.
Non era stato spocchioso, né supponente. Aveva pagato da bere per entrambi ed aveva avviato la conversazione con scioltezza, mantenendosi sul terreno comune ed evitando agevolmente di addentrarsi in questioni troppo intime. Non c'erano stati silenzi imbarazzanti, né domande invadenti o frasi di circostanza. Charles si era dimostrato genuinamente interessato al suo punto di vista e lo aveva ascoltato parlare dei suoi problemi senza battere ciglio, come se non ne avesse di propri. Come se gliene importasse sul serio qualcosa.
Questo, visti i loro trascorsi, avrebbe dovuto renderglielo ancora più odioso, ma fra un sorso e l'altro Max si era ritrovato a fronteggiare l'insorgenza di un sentimento ben più subdolo ed inatteso, di natura molto diversa –molto più simile alla vergogna.
Mentre Charles provava a suggerirgli qualche esercizio di rilassamento da fare prima di mettersi in macchina, lui a malapena riusciva a concentrarsi su quello che l'altro stava dicendo. Le dita gli tremavano attorno al bicchiere, fredde e sudate, ed il cuore gli batteva contro la cassa toracica un po' troppo veloce. Flash di quella notte a Monaco, in Boulevard d'Italie, continuavano a tornargli in mente, insistenti ed intrusivi, assieme alle parole ingiuste e velenose che gli aveva riservato.
Dunque era vero, Charles era sempre stato una persona migliore di lui, in fin dei conti.
Due o tre volte era stato addirittura sul punto di farfugliare qualcosa a riguardo –parole di scuse, sconnesse e impastate- ma fortunatamente era sempre riuscito a trattenersi. All'inizio aveva dovuto mordersi la lingua, poi l'alcol aveva aiutato ad annebbiargli il giudizio. E a sciacquargli la coscienza.
Aveva pagato un altro giro per entrambi, poi uno ancora e poi aveva lasciato che Charles gli parlasse di qualcosa di stupido e ordinario e normale, che lo aveva fatto ridere anche se non riusciva a ricordarsi il perché.
Si erano alzati dal tavolino solo diverse ore dopo, con le ginocchia cedevoli e le guance arrossate, ed erano barcollati fuori, appoggiandosi uno alla spalla dell'altro, come due ombre gemelle nel buio perfetto della notte.
Max ci aveva messo un po' a convincerlo che nessuno dei due era in grado di guidare –Ho fatto di peggio, aveva risposto Charles, con una smorfia sfuggente, e lui era così annebbiato da non essersi soffermato neppure per un istante su quanto allarmante fosse quell'affermazione-, ma alla fine avevano aspettato un taxi seduti sul marciapiede, col naso per aria, a guardare le stelle.
La presenza dell'altro –il tamburellare ritmico della punta delle sue scarpe, il fischiettio mormorato a mezza bocca, il punto preciso in cui la spalla di lui toccava la sua- si era rivelata inaspettatamente confortante. Una comoda via di mezzo fra la solitudine completa ed il tepore emanato dalla vicinanza di un altro corpo umano.
Max aveva pensato che erano settimane che non si sentiva così leggero. Tutti i dolori e le preoccupazioni dell'ultimo periodo erano accumulati alle estremità –dimenticati, intorpiditi. Probabilmente se fosse stato sobrio non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma è piuttosto sicuro di aver ringraziato Charles per la serata, ad un certo punto.
L'altro aveva sorriso e scosso piano la testa: "Avresti fatto lo stesso."
Nelle settimane, nei mesi e negli anni a venire, Max si era chiesto più volte come facesse Charles ad esserne così sicuro. Perfino giorni dopo, quando lo aveva seguito scioccamente in uno dei locali più esclusivi di Monaco, apprensivo e preoccupato come un amico di vecchia data, avvolgendolo con un braccio attorno alle sue spalle per allontanarlo dalla ressa, si era chiesto perché lo stesse facendo.
Se ci fosse, in fin dei conti, un secondo fine nelle sue azioni.
Gli anni hanno cancellato molte cose –le più belle per dispetto e le più brutte per senso di sopravvivenza-, ma non il dubbio.
Quello è rimasto.
*
"Luci spente, Max. Sono le dieci."
Max sopprime a stento la risposta brusca che gli sta affiorando spontaneamente dalle labbra –la inghiotte, acuminata come una manciata di chiodi- e si limita a restituire all'uomo in piedi sulla soglia un'occhiata assente e distaccata, appena oltre il bordo del suo cellulare. Ha imparato a sue spese che non vale la pena mostrarsi apertamente ostili con lui, ma aveva dimenticato quanto fastidioso potesse essere avere suo padre vicino in un fine settimana di gara.
Jos sostiene il suo sguardo senza batter ciglio, a braccia conserte, con la mascella serrata e le sopracciglia bionde piegate in un angolo grave e minaccioso, lo stesso che usava tutte le volte in cui Max provava a ribellarsi e lui voleva ricordargli chi dei due comandava.
Anche se adesso ha ventitré anni, una carriera avviata e un contratto multimilionario, suo padre non fallisce mai nel farlo sentire una nullità.
Gli vuole bene, però –malgrado tutto. E sa che anche lui gliene vuole.
Un po' come un fantino vuole bene al buon cavallo che gli fa vincere le corse, forse, ma Max è ben cosciente di non essere nella posizione di avanzare pretese. È abituato ad accontentarsi, a prendere quello che può, a farsi bastare le briciole.
Negli anni il loro rapporto è stato molto oscillante, alimentato dalla passione comune per lo sport ed inquinato da dinamiche di potere soffocanti, con cui era diventato progressivamente sempre più difficile avere a che fare. Crescendo, Max aveva pensato molte volte di allontanarsi da lui e di tagliare i ponti, ma la verità è che il rapporto con suo padre era per lui ironicamente simile al gioco delle trappole cinesi –in apparenza semplice da allentare ma impossibile da sciogliere, più se ne allontanava.
"Max." ripete l'uomo, perentorio, distogliendolo dai suoi pensieri.
Per una manciata di secondi, si ritrova a prendere in considerazione l'idea di rispondere a tono –Sono grande abbastanza per badare a me stesso, cazzo- ma alla fine cede. Alla fine Max cede sempre.
"Ho capito. Sì." Mormora, in risposta, poggiando il telefono a faccia in giù sul comodino e scivolando in posizione distesa sul materasso. La sua voce è sempre sottile, quando parla con suo padre –insicura spesso, remissiva quasi- e Max si odia sempre un po' per questo.
Jos sembra soddisfatto, invece. La consapevolezza di avere ancora una presa così forte su di lui, dopo tutto questo tempo, dopo tutte le vittorie e i soldi e le fiere battaglie in pista, deve gonfiarlo di autocompiacimento. Probabilmente pensa "Io ho fatto questo". E se Max è il Re della savana, Jos è Dio.
I suoi occhi si schiariscono appena, e l'ombra di un sorriso gli si plasma sulle labbra, anche se non ha niente di confortante. Tutto il contrario.
"Devi riposare." Prosegue. "Domani c'è una gara importante."
Max si morde l'interno della guancia fino ad affondare i denti nella carne, ma il suo respiro rimane regolare e la sua bocca serrata.
Non emette un fiato, anche se vorrebbe urlare.
Perché non è più un ragazzino, e non ha certo bisogno che suo padre gli ricordi quanto importante sia vincere il Gran Premio di Gran Bretagna, a casa di Lewis. Quanto cruciale sia rosicchiare ogni singolo punto a sua disposizione, incrementare il suo vantaggio il più possibile per proteggersi da ogni imprevisto a fine stagione.
"Buonanotte, papà."
Jos gli restituisce solo un cenno del capo, prima di premere l'interruttore della luce col palmo della mano, di piatto, e chiudersi la porta alle spalle.
Lo ascolta allontanarsi nel corridoio, con le orecchie tese ed in allerta, come in attesa di un agguato –un ripensamento- ma non arriva, ed è presto il silenzio.
La solitudine è meno piacevole di quello che Max vorrebbe, però, e non fa che amplificare il senso di irrequietezza che gli guizza sotto alla pelle. Neppure l'abbraccio avvolgente dell'oscurità completa della stanza riesce a calmarlo, e dopo essersi girato e rigirato nel letto per quelle che sembrano ore è chiaro che non dormirà.
È in momenti come questi che la mancanza di Kelly si fa sentire più forte –gli scava dentro un vuoto dolente all'altezza del petto, gli risuona nella gabbia toracica come un'eco lontanissima, un canto dimenticato. Lei saprebbe calmarlo, si dice. Gli poggerebbe una mano calda sul viso e lui si sentirebbe a casa. Lo bacerebbe. Intreccerebbe i suoi piedi con i suoi. Gli regalerebbe preziosi minuti di niente.
È in momenti come questi che Max si chiede se, in fondo, amore e bisogno non siano legati a doppio filo. Forse ha sempre sbagliato tutto.
Allunga una mano sul comodino, e prima ancora che possa afferrare la sagoma rettangolare e smussata del telefono, questo inizia a vibrare.
Max annaspa, cercando di liberarsi delle lenzuola il più rapidamente possibile, e si mette a sedere. La luce dello schermo è accecante.
"Sì?" risponde, col cuore in gola.
Sgattaiolare fuori dalla sua camera d'albergo nel cuore della notte sperando che suo padre non se ne accorga non è mai stata in cima alla lista delle cose che gli mancavano della sua vecchia vita, ad onor del vero, ma Max deve ammettere suo malgrado che in momenti come questo, quando si sente così inerme –così senza speranza- è felice perfino di prendersi questo rischio. Almeno lo fa sentire vivo.
Percorre il corridoio in punta di piedi, con la faccia seminascosta sotto al cappuccio della felpa ed il cellulare stretto nel pugno, nella tasca sinistra, pesante. Quando le porte scorrevoli dell'ingresso laterale gli si spalancano davanti, proiettandolo nel buio ignoto del giardino, l'aria frizzante della sera lo investe e gli fa lacrimare gli occhi. Mentre circumnaviga il palazzo, cerca con scarso successo di calmare i battiti cardiaci come gli ha insegnato Brad, di rallentare la frequenza dei respiri.
Non appena la piscina entra nel suo campo visivo, Max la vede.
È impossibile non notarla, seduta esattamente sotto ad uno dei lampioni rotondi, stretta nella sua vecchia giacca cerata rossa. Sembra ritagliata da una foto d'epoca. Si vede lontano un chilometro.
Tiene il mento incassato ed il viso è per metà nascosto dalla cortina di capelli scuri sciolti nel vento, ma dalla curva ingobbita delle sue spalle Max intuisce immediatamente che c'è qualcosa che non va.
"Fran" la chiama, prima ancora di esserle accanto. Gli esce di bocca con un sospiro. "Stai bene?"
Nel momento in cui lei alza gli occhi e li fissa nei suoi, Max si sente scosso fin dalle fondamenta. Il viso di lei è pallido e spigoloso, riverbera come l'acqua della piscina sotto alla luce fredda del lampione.
Annuisce, aprendosi in un sorriso appena accennato, che ha dentro qualcosa di triste.
"Avevo solo bisogno di un po' d'aria."
Max lancia un'occhiata alle sue spalle, inconsciamente alla ricerca di una luce ancora accesa fra le stanze affacciate sul cortile interno –qualcosa che possa spiegare una circostanza così strana-, ma ciò che gli si para davanti è una fila di finestre buie e silenziose.
"Non riuscivo a dormire, in ogni caso" chiarisce, sedendosi appena accanto a lei. Vicini, quasi a toccarsi. Sufficientemente lontani perché un refolo di vento passi in mezzo a loro.
Frances fa un suono simile ad uno sbuffo.
Ti conosco.
"Me lo sentivo." Dice, tirandosi le ginocchia al petto e abbracciandole. "Ti ho chiamato per quello."
Max fa un piccolo cenno d'assenso col capo senza aggiungere altro, poi distoglie lo sguardo. In lontananza, si sentono vaghi rumori del traffico della città vicina.
"È successo qualcosa?" chiede, dopo poco, non riuscendo a trattenersi. "Con Charles?"
Al nome di lui, Frances non fa una piega, ma il modo in cui si accarezza in cerchi concentrici le palpebre chiuse con i polpastrelli tradisce un'insicurezza che è molto raro vederle addosso e che gli infonde un'opprimente sensazione di disagio.
"È una cosa stupida, Max." mormora, rauca. La voce è ridotta a un filo, come se avesse urlato. "Va bene così."
Il cuore gli batte forte nel petto, nelle orecchie, dappertutto. Dentro di lui, in profondità, percepisce l'importanza e l'intimità del momento: negli ultimi anni non ci sono state molte occasioni in cui si sia trovato così vicino a lei, fisicamente ed emotivamente. Una scossa simile all'adrenalina lo attraversa, d'improvviso, e per un attimo è come se fossero ancora in cima al Four Seasons di Manama e lui avesse appena guardato giù.
"Puoi parlarmi di queste cose, Fran. Lo sai." Ribatte, e deve tenersi le mani strette a pugno nelle tasche per evitare di farle tremare. Per evitare di prenderle il viso. "Io- io ci sono per te."
Le palpebre di Frances si sollevano delicatamente, ed i suoi occhi sono più scuri e cupi nella notte. Hanno le sfumature del fumo di un incendio appena spento, l'ardore delle braci carbonizzate. Max vorrebbe essere in grado di leggere le emozioni che si celano al loro interno, ma non sono che lo specchio delle sue personalissime paure ed insicurezze. C'è un istante di sospensione –una frazione di secondo che si dilata nel tempo- in cui si chiede cosa possa essere successo fra i due di tanto grave da spingerla a chiamarlo.
Quando Frances finalmente parla, dice una cosa che Max non si aspetta.
Dice: "Charles mi sta nascondendo qualcosa."
Ed è la cosa più assurda che lui abbia mai sentito.
"Qualcosa tipo cosa?" chiede, accigliato, e non riesce a fare a meno di suonare scettico, quando lo fa. Questo è un grave errore, perché spinge Frances a ritrarsi.
"Non lo so" risponde, dura, serrando le labbra. Qualsiasi spiraglio di vulnerabilità si fosse aperto, si è appena richiuso con uno scatto secco, e qualsiasi illusione di stabilire una connessione profonda sfumata nel nulla. Nessuno dei due dice niente per un bel pezzo, prima che lei aggiunga, con un filo di voce: "Probabilmente ha ragione lui e sto diventando pazza. In ogni caso, chissenefrega. Non mi deve niente."
Rabbia, dolore. Qualcosa di più subdolo, più definitivo –qualcosa che Max conosce fin troppo bene: rassegnazione.
Allunga la mano, deciso, e la poggia su quella piccola e ruvida di lei.
"Ha detto così? Ti ha dato della pazza?"
Frances si stringe nelle spalle: "Lo ha lasciato intendere." Sospira, lasciando cadere il capo sulla spalla di lui. "La cosa peggiore è che inizio a pensarlo anche io."
Max prova a passare in rassegna le ultime settimane –l'ultima volta che ha visto Charles al Jimmy'z, in giro per il paddock, nella hall dell'albergo. Non gli è mai sembrato fosse con qualcuno. Ripensa alle parole che ha usato per parlargli di lei, al velo di malinconia che aveva negli occhi al pensiero di dover aspettare ancora un altro giorno prima di vederla.
Non conosce veramente Charles –la sua vita, i suoi segreti- eppure non può credere che sia davvero così stupido da voler barattare Frances e tutto quello che significa per lui, con qualsiasi altra donna al mondo.
"A volte sparisce. Non so dove vada. Con chi." Bisbiglia lei, con lo sguardo fisso sulla piscina. "A volte mi sveglio e non è a letto. Tiene il telefono staccato per un po', e poi torna come se non fosse successo niente dicendomi che era con qualcuno della squadra. Il che è una cazzata, perché dopo l'Austria non è tornato a casa e quando ho chiamato Silvia per sapere se c'era stato un cambio di programma e se era con loro a Maranello mi ha detto di no."
E- oh.
Questo spiega tante cose. E, se possibile, lo confonde ancora di più.
Le parole gli si formano sulla punta della lingua ed è sul punto di pronunciarle, di porre fine alle sue sofferenze e mettere a tacere i suoi dubbi –gli basterebbe dirle che Charles era con lui quella sera, che erano insieme anche in Bahrein, che non ha visto Charles con nessuna nemmeno a Monaco- ma qualcosa lo trattiene.
Ripensa alle parole di Charles. Alla fiducia nei suoi occhi. A quello scampolo di rapporto che stanno, maldestramente, provando a costruire su basi lacunose e traballanti. Solo che poi c'è la testa di Frances poggiata sulla sua spalla, il calore della pelle di lei contro la sua. La speranza –remota, quasi irreale, priva di contorni- di poter essere il porto in cui lei si rifugia. Di avere la sua occasione.
Io, io, io.
"Tu non sei pazza." Dice, alla fine, stringendole leggermente la mano.
E lei ricambia la stretta.
Com'era logico, se ne pente. Amaramente.
Per quanto si sforzi di non darlo a vedere, Max tende a rimuginare fin troppo sulle sue azioni, specialmente quando hanno un impatto sulle persone che ama.
Non chiude occhio per il resto della notte, e quando il mattino dopo suo padre bussa alla porta della sua stanza non c'è modo di nascondere le pronunciatissime occhiaie violacee sopra ai suoi zigomi. Fortunatamente Jos si astiene dal commentarle, ma il disappunto nei suoi occhi è già più che sufficiente a farlo sentire ancora più di merda.
Stupido, stupido Max.
Nell'ultimo periodo non fa altro che infilare una scelta pessima dopo l'altra e dio solo sa cosa accadrebbe se dovesse perdere il campionato. Gli viene da vomitare solo a pensarci.
Chiuso nella sua stanzetta, prova a concentrarsi e a spingere il senso di colpa in un angolino minuscolo ed inaccessibile del suo cervello, sforzandosi di trovare un modo più o meno decente per tirarsi fuori dal vicolo cieco in cui si è ingloriosamente infilato.
Un'ora prima della partenza, quando l'eco dell'inno britannico riverbera ancora nell'aria, si avvicina a Charles con discrezione, agguantandolo dal gomito. L'altro sobbalza appena, confuso dall'improvviso contatto fra loro.
"Frances pensa che tu veda un'altra persona."
Il suo naso strofina contro i capelli di lui, tocca appena la piega dietro all'orecchio, e Max riesce a sentirlo irrigidirsi, nella sua stretta, congelarsi sul posto. Lo scambio dura appena una manciata di secondi, e Max si gira senza nemmeno dare all'altro il tempo di formulare qualsiasi domanda. Si sente sollevato, in un certo senso, come se un grosso peso gli fosse stato sollevato dalle spalle.
Adesso sono pari.
Meglio, adesso Charles penserà di dovergli qualcosa.
Non sente più la stanchezza, né l'agitazione. Quando si cala nella macchina posizionata sulla prima casella della griglia, è come entrare in apnea. L'abitacolo è la sua bolla, silenziosa e protetta, e i pedali un'estensione dei suoi piedi.
Appena abbassa la visiera non pensa più a Charles, né a Frances e nemmeno a suo padre. Tutte le preoccupazioni che lo hanno tenuto sveglio sono ridotte a poco più che un brusio di fondo e nella sua mente non c'è spazio che per una cosa: la vittoria.
Staccata di curva uno, decisa, poi morbido aprendo a sinistra. Ancora destra-sinistra prima del rettilineo all'inizio del secondo settore, poco gas in curva sei, tornantino e acceleratore premuto fino in fondo verso il dritto per preparare in pieno la Copse.
//Spazio autrice (no uova no pomodori solo affetto)
Come qualcuna di voi forse saprà, due mesi fa il mio computer ha crashato cancellando per sempre non solo il capitolo 20 ma l'intera Twin Flames, capitoli tagliati e appunti compresi. Non credo ci sia bisogno di specificare che è stato un colpo durissimo per me, e che mi ha fatto meditare a lungo l'idea di abbandonare questo progetto: troppo ambizioso per il mio scarsissimo tempo libero, in ogni caso.
A inizio ottobre mi sono trasferita in Germania ed ho iniziato il primo lavoro della mia vita: un ben-più-che-full time, che mi ha reso impossibile dedicarmi ad altro. Eppure, giorno dopo giorno, un paragrafo alla volta, sono riuscita a mettere insieme questo capitolo, completamente diverso da quelli che erano i piani originali. Un po' come ai vecchi tempi.
Non ci saranno promesse -non posso farvene- ma da parte mia c'è tutta la voglia di finire questa storia, ormai più o meno a metà del suo svolgimento. Mi impegnerò a farlo, per me e per voi. Per Charles e Max e Frances.
Perché il meglio (e il peggio) deve ancora venire, statene certi!
Dunque, once again, sono qui per chiedervi: cosa ne pensate? Le dinamiche fra i tre stanno iniziando a delinearsi con più chiarezza: Max ha fatto la scelta giusta, o no?
Attendo feedback ora più che mai (se siete ancora interessati alla storia, è il momento giusto per farlo presente, il vostro supporto aiuta sempre ad inventarsi il tempo per scrivere, posso assicurare!) Leggete, votate, commentate qui o su instagram se vi va, dove mi trovate sempre come @/itstods_wattpad!
Spero di aver addolcito questo finale di stagione e, soprattutto, il ritiro del 4 volte campione del mondo Sebastian Vettel, che mi ha fatto versare lacrime amarissime.
Vi mando baci esageratissimi,
Vostra T.
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