19| Charles- Il passato

TW: Se non è la prima volta che capitate su questi schermi, sapete bene che non sono solita segnalare il contenuto dei miei capitoli, salvo alcune cruciali eccezioni. Questo sarà il primo di una serie di capitoli (non in successione) incentrati sul tema del lutto e della perdita, e contiene al suo interno una descrizione piuttosto dettagliata di sentimenti complessi derivanti da essa. Come sempre spero di averlo fatto nel modo più rispettoso possibile, e mando un abbraccio a tutte le persone che hanno attraversato o stanno attraversando momenti simili: non esiste un modo sbagliato di reagire ad un trauma, ricordatevelo sempre! <3

2013, FRA

When I was on my own
I had no place to go
All that I've ever known
Where you are, that's why it feels like home


La prima volta che Charles va ad un funerale, non è davvero triste e non capisce fino in fondo il dolore delle persone che lo circondano. È uno spettatore silenzioso, troppo coinvolto per ignorare l'accaduto, ma troppo poco affezionato per soffrire pienamente della perdita, ed odia ogni singolo istante di quella giornata fredda e piovosa di gennaio.

Non sa cosa questo dica di lui, ma arriva anche a pensare che preferirebbe trovarsi in qualsiasi altro posto del mondo, piuttosto che dietro ai banchi di legno scuro della chiesa di Saint-Blaise, schiacciato fra la figura prostrata di suo padre e quella dritta e composta di Lorenzo, ingolfato in un completo scuro troppo grande che gli pizzica ovunque.

Ha solo quindici anni, una famiglia unita, una vita relativamente serena e felice. Lì, in mezzo a tutta quella sofferenza, si sente orribilmente fuori posto e non riesce neppure a guardare la fila di spalle curve dritto davanti a sé senza sentire il bisogno immediato di distogliere lo sguardo. Metà disagio, metà senso di colpa.

Con il senno di poi, avrebbe dovuto fare più attenzione al dolore degli altri. Soprattutto a quello di Frances.

In futuro gli capiterà spesso di riflettere con amarezza sull'ironia che la sorte gli aveva riservato, chiedendosi se tutte le tragedie che avrebbe sperimentato sulla sua pelle da quel momento in poi non fossero scaturite da quel pensiero gretto e meschino che aveva avuto nei confronti di Frances il giorno in cui Maman era morta.


*


La notizia gli era piovuta addosso come una secchiata gelida alle due del mattino, la notte di Capodanno.

Charles aveva aspettato l'inizio del nuovo anno a casa del cugino di Riccardo, che aveva organizzato una festicciola in un appartamento spazioso e confortevole al quindicesimo piano di un palazzo scintillante nel cuore del Principato, da cui si vedevano benissimo i fuochi d'artificio sul porto.

Non ne era stato particolarmente entusiasta, sulle prime. Più di tutto lo infastidiva il pensiero che i suoi amici di sempre, tutt'un tratto, sembrassero annoiati dai loro soliti programmi e volessero a tutti i costi fare le cose in grande. Senza che lui se ne fosse accorto, probabilmente in tutti i weekend che passava lontano da Monaco, sembravano essere tutti diventati troppo adulti per una nottata a giocare alla play su un pavimento di materassi nella tavernetta di sua nonna.

Lui aveva provato ad avanzare timidamente qualche contro proposta, ma erano tutte state seccate sul nascere –no grazie- quindi, alla fine, c'era andato.

La cena era stata chiassosa e piacevole, –un po' troppo pretenziosa per essere davvero divertente e probabilmente più sopra le righe di quanto lui non avrebbe gradito- ma Charles aveva dimenticato molto in fretta tutte le ragioni per cui era stato scettico all'idea di passare il Capodanno con degli sconosciuti. Fra gli invitati –amici di amici, ragazzi più grandi ed una fetta piuttosto variegata dell'élite monegasca- spiccava una ragazza bionda che non aveva mai visto. Era bella, curatissima ed elegante nel suo vestito blu notte con le spalline sottili –decisamente fuori dalla sua portata-, e pronunciava il suo nome in un modo buffo e dolcissimo che gli faceva battere il cuore un pochino più veloce ogni volta.

Si erano ritrovati seduti vicini per caso, e lei aveva attaccato bottone quasi subito, con naturalezza disarmante, parlandogli di viaggi, di capitali metropolitane e di isole sperdute in estremo Oriente. Lui l'aveva guardata ipnotizzato passarsi le dita fra i capelli, non riuscendo a concepire come un essere così etereo ed inarrivabile potesse rivolgere le sue attenzioni ad un ragazzino spennacchiato come lui, con la frangia troppo lunga e le scapole troppo appuntite.

Le aveva ronzato attorno tutta la sera, spinto da Alex e dagli altri, cercando in ogni modo di fare colpo su di lei. E anche se Charles era stato semplicemente Charles –un po' timido, vagamente maldestro, tutto fossette- a lei non sembrava dispiacere.

Lo aveva perfino lasciato parlare di corse, per un po', ed avevano bagnato le labbra nel Cognac rubato dalla vetrinetta dei liquori appoggiati contro la balaustra, indicando le barche ormeggiate e le auto che passavano nella via. Osservandone la figura snella ed ipnotica in contrasto col fondo scuro del paesaggio, Charles aveva pensato più di una volta che gli sarebbe piaciuto baciarla, ma gli era mancato il coraggio.

Era stata lei –frivola, gioiosa, spumeggiante- a farsi avanti, allo scoccare della mezzanotte, tirandolo per il bavero della camicia in un bacio fugace e umido, fra i fischi e gli applausi del gruppo, lasciandolo completamente senza parole.

Era stata la prima volta, per lui.

Non solo il suo primo bacio, no. Quella per Charles era anche stata la prima volta in cui si era sentito perfettamente felice lontano dalle piste. La prima volta in cui aveva scoperto che premere il piede destro sull'acceleratore non era l'unico modo per sentire quella scarica di adrenalina che lo faceva sentire così maledettamente vivo.

Non aveva smesso di pensarci neppure per un istante, sulla via del ritorno, seduto sul sedile del passeggero, con la testa abbandonata contro il finestrino e gli occhi persi nel riverbero luccicante delle luci di Monaco. Anzi, se si concentrava abbastanza, era ancora in grado di sentire la pressione leggera delle labbra morbidissime di lei sulle sue, il calore che si era sprigionato nelle sue viscere e in ogni angolo del corpo nell'istante esatto in cui si erano toccate.

Era entrato in casa con la sensazione di camminare ad un metro da terra.

Ricorda di aver pensato: non sono mai stato più felice di così.

Il sorriso ottuso che gli si apriva sul viso, però, si era cancellato immediatamente non appena aveva visto sua madre seduta al tavolo della cucina, con le dita affusolate intrecciate fra loro. Teneva la testa china, ma si vedeva che aveva pianto.

"Mamma?" aveva mormorato Charles, confuso. Le era stato vicino in pochissimi passi. Le aveva appoggiato una mano sulla spalla, aveva stretto leggermente. "Va tutto bene?"

Lei lo aveva guardato con un sorriso triste e pieno di scuse, che non le aveva mai visto, e Charles aveva iniziato a guardarsi attorno con agitazione crescente, alla ricerca di segnali che i suoi cari stessero bene e che niente di terribile fosse successo, quella sera. Quel poco di alcol che aveva bevuto gli era risalito in gola in un istante, acido e pungente.

"Chéri" aveva detto lei, sospirando. "Lo abbiamo saputo un paio d'ore fa."

Il cuore aveva preso a battergli furioso nel petto.

"Purtroppo la mamma di Frances non c'è più."


*


Quando la messa finisce, è come guardare un film muto.

Le poche persone che hanno partecipato alla breve cerimonia si avvicinano all'altare mestamente e stringono le mani a Frances e a Pa' Roux, uno alla volta, baciandogli le guance e mormorando le loro condoglianze ad un tono così basso da essere a malapena percettibile. Non sono più di venti in totale, e nessuno di loro si sofferma più di qualche istante.

Non c'è una gran scena –né lacrime, né urla-, è tutto molto composto. C'è odore di incenso, misto a pioggia.

Nessuno sembra notare il volto scavato della ragazzina che ha appena perso sua madre, né il tremolio insistente nelle mani dell'uomo che ha appena perso sua figlia, mentre Charles non riesce a staccare gli occhi dalle loro scarpe nere e lucide, le più nuove che abbia mai visto loro addosso.

Ripensa a Maman, all'ultima volta che l'aveva vista, al suo corpo martoriato dalla malattia. Ai suoi occhi, soprattutto, a come lo avevano guardato. L'avvertimento che ci aveva letto dentro.

Ti ricordi? Gli aveva chiesto.

Pensi di potermelo promettere, Charlot?

Vorrebbe non aver detto di sì.

Quando alza lo sguardo, però, i suoi occhi incrociano quelli di Frances e Charles si odia un po', per averlo pensato.

L'ultimo saluto avviene in rigoroso silenzio e l'unico suono che si sente è il rimbombo dei loro passi sulle mattonelle, mentre escono dalla chiesa e si allontanano dalla morte in tutta fretta, come se non li riguardasse.

Prima di voltare le spalle all'altare, lui guarda i banchi vuoti e le finestre colorate, e per ultimo il crocifisso, domandandosi se questo non sia stato il carissimo prezzo della sua felicità.


Siedono sul muretto che costeggia casa Roux, dopo, con gli occhi rivolti ai campi di lavanda e le ginocchia che si sfiorano appena.

Non si dicono niente, ma non è un silenzio piacevole.

Anzi, più tempo passa, più la strana sensazione di malessere che gli dilaga nel petto si fa persistente, come se la sofferenza di lei si allargasse come un'ombra ed inghiottisse tutto ciò che la circonda, Charles compreso.

Lontano dal centro abitato, in aperta campagna, spira un vento pungente che fa lacrimare gli occhi e imporporare le guance, mentre il freddo forma piccole nuvole bianche, con il respiro. C'è aria di neve.

Frances indossa un vestito scuro a coste che puzza di cellophane, e sulle spalle ha una giacca leggera –troppo leggera, per il due di gennaio. Nasconde i pollici nei pugni stretti ed il suo sguardo è gelido e distante, perso nel vuoto.

Alla sua sinistra, Charles non sa dove mettere le mani. Percepisce vividissimo l'impulso di stringersela al petto, consolarla, ma si ritrova a scoprire suo malgrado di non avere la più pallida idea di come si fa –di come si tocca una persona sul punto di andare in pezzi.

Non ha nessuna parola di conforto da offrirle, né conosce alcun incantesimo per rimettere magicamente a posto la sua vita. Niente potrebbe. Perciò si limita a starle accanto, in silenzio, cercando di sincronizzare i loro respiri affannati dal freddo e sperando che il calore della sua vicinanza sia sufficiente, in qualche modo, a darle un po' di sollievo.

Ai loro piedi c'è un piccolo borsone di topolino con le cinghie consumate, con dentro un paio di cambi d'abito, il caricatore del cellulare e lo stretto indispensabile per passare una o due notti a Monaco, a casa dei Leclerc, mentre Pa' cerca di sistemare le cose con l'assicurazione. Lo hanno deciso in fretta e furia dopo il funerale, mentre seguivano con l'auto il carro funebre verso il cimitero.

Philippe e Christine si erano offerti di ospitarla da loro a Brignoles, ma Charles aveva insistito così tanto che nessuno aveva avuto cuore di contraddirlo. Vigliaccamente, lui aveva lasciato che credessero fosse per affetto e attaccamento, più che per mero senso di colpa.

Frances, per parte sua, non sembrava in condizioni di prendere alcuna decisione sul suo futuro ed aveva accettato la notizia passivamente, con una scrollata di spalle.

Qui, a Monaco, a Brignoles, in capo al mondo. Sembrava dire. Nessun posto è dov'è Maman.

Charles ha sempre pensato che Frances fosse molto più forte di lui, molto più matura, più adulta. Ha sempre creduto che fosse dovuto al fatto che era cresciuta senza un padre e senza un soldo, senza quella comodità che ti rende debole e ingrato e che ti induce a dare per scontato che tutto andrà sempre per il verso giusto. Eppure, adesso che la guarda di profilo, col sole che si abbassa in lontananza sfuggendo all'abbraccio cinereo delle nuvole, lei gli sembra così piccola. Ridotta all'osso, quasi da sparire.

Un fruscio, poi una leggera pressione.

E la testa di lei è sulla sua spalla.

"È finita, Charlot" mormora. La voce le viene fuori rauca, come se non parlasse da molto tempo. "È finita"

Non versa nemmeno una lacrima.

Lui allunga un braccio attorno alla sua schiena ossuta –per circondarla, contenerla- e, timidamente, se la schiaccia contro il petto, più vicina che può. La sente rilassarsi nell'abbraccio, anche se solo un po'.

"È normale essere tristi ma non è colpa di nessuno, non c'era più niente da fare." gli sembra l'unica cosa sensata da dire. Ha quindici anni, e questo è il suo primo lutto. Qui ed ora Charles non ha idea che ne seguiranno molti altri, che imparerà a conoscere fin troppo bene queste formule di cortesia, che capirà sulla sua pelle quanto vuote possano suonare alle orecchie di una persona che sta soffrendo. Qui ed ora Charles è solo un ragazzo, e la sua bocca pronuncia parole estranee, impersonali. "Pensa solo che ha smesso di soffrire."

Lei scuote la testa, la strofina contro gli alamari del suo cappotto.

"Non capisci Charlot, non capisci" biascica, concitata. Si aggrappa a lui come se fosse l'ultimo spuntone di roccia prima della fine del mondo. "Sono felice che sia finita. Non ce la facevo più."

Charles ha di nuovo voglia di vomitare.


Quella notte e la successiva, Frances prende possesso del letto di Arthur e lei e Charles si addormentano tenendosi per mano, anche se non è mai un sonno profondo e porta molta poca pace ad entrambi.

Il venerdì mattina Charles si sveglia con un messaggio di Riccardo. Organizzano un'uscita, ci sarà anche l'amica di Léa. Solo a leggerne il nome sullo schermo, lo stomaco gli si annoda e sente calore risalirgli sulle guance.

"Cosa c'è?"

Alza gli occhi dallo schermo, di scatto, come se lo avessero colto in flagrante a commettere un reato. Frances se ne sta seduta sul letto di suo fratello, ancora fra le coperte, con le ginocchia strette al petto, e lo guarda con quegli occhi verde bosco, incerti, diffidenti.

In un altro momento, si dice, avrebbero potuto riderne. Lei gli avrebbe strappato di mano il telefono e avrebbe preteso che lui le raccontasse ogni cosa. Non avrebbe più smesso di prenderlo in giro, amorevolmente, per la sua incapacità di mentirle. Lo avrebbe guardato comprensiva, con quel modo tutto suo di farlo sentire inadeguato, e gli avrebbe detto qualcosa come Oh, piccolo Charlot, hai fatto colpo sulla principessina monegasca? A quando le nozze di stato? con quel suo tono mellifluo, vagamente cattivo, e lui avrebbe messo il muso. Lei lo avrebbe spintonato, giocosamente, e gli avrebbe detto che era molto felice per lui. Lui avrebbe borbottato qualcosa di rimando, ma non sarebbe riuscito a rimanere arrabbiato con lei troppo a lungo –non ce la faceva mai.

Purtroppo, però, le cose non stanno così.

Non può sbatterle in faccia che la vera ragione per cui non ha chiamato, quando sua madre è morta, è che era troppo impegnato a godersi la sua vita perfetta e a crogiolarsi nella felicità del momento. Frances non scherzerebbe amichevolmente, non userebbe il suo tono malizioso, né lo spintonerebbe. Sarebbe solo triste. Perfino più triste di quanto non sia adesso.

Questo gli costa, pianta il seme del risentimento. Ma suo padre gli ha insegnato l'importanza di prendersi le sue responsabilità, e lui, tempo fa, ha fatto una promessa ad una persona che oggi non c'è più.

Così Charles blocca lo schermo e lancia il telefono sul letto.

"Assolutamente niente" dice, e le rivolge una piccola smorfia, che somiglia ad un sorriso.

Dal modo in cui lo guarda, Charles capisce che Frances non gli crede.


//Spazio autrice (arriva lei, bella bella)

La morte di Maman è una cosa che aspettavamo dall'inizio di questa storia, eppure è un evento a cui non riesco a rassegnarmi. Scriverne ha fatto più male di quanto mi aspettassi.

Questa primavera c'è stato un lutto nella mia famiglia -una parente lontana, molto anziana, con cui avevo un bel rapporto ma che non frequentavamo mai- e molte delle sensazioni che ho provato in quel momento si sono riversate su Charles. So che non esce particolarmente bene da questo capitolo, ma mi ha fatta sentire meno sola, per certi versi.

Ci sono pochissimi dialoghi, qui, eppure le scene sono estremamente dinamiche, quasi cinematografiche. Grazie a queste interazioni saltuarie, finalmente possiamo apprezzare il rapporto Charles/Frances da un altro punto di vista: quello del senso di colpa e della sindrome del sopravvissuto. Ça va sans dire, ne parleremo ancora. (A proposito: chi si aspettava che lei non fosse il suo primo bacio?!)

Bando alle ciance: a voi la parola! Vi sarei estremamente grata se poteste lasciarmi un feedback qui o su instagram, dove mi trovate come @/itstods_wattapad: mi aiuta moltissimo ed è il carburante che manda avanti la baracca! Grazie a chiunque lo abbia già fatto in passato, e anche a chi mi legge silenziosamente, facendosi rovinare la vita gratis dalla sottoscritta! <3

I prossimi capitoli saranno belli tosti, ma non vedo l'ora di scriverli. Un bacio, sempre vostra,

T.








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