18| Frances- Il futuro
2027, MCO
There's only one thing left
It's what we tell ourselves
The little lies they help us to remember
How we remember
Non avrebbe mai immaginato che le cose potessero andare così.
Neppure all'inizio, quando ancora la sua vita non era completamente colata a picco e lei non aveva paura di sognare e sperare ben oltre i suoi limiti.
Con il senno di poi, si dice, era scontato che succedesse –prevedibile, perfino.
Chi poteva capirsi e comprendersi più profondamente di due come loro, cresciuti l'uno al fianco dell'altra, plasmati dalle rispettive perdite e galvanizzati dai medesimi sogni? Chi poteva desiderare la reciproca felicità più di due che avevano condiviso ogni sconfitta e ogni successo da quando avevano memoria?
Chi poteva amarsi –e ferirsi- più di due che non erano mai stati l'uno per l'altra niente che non fosse famiglia?
Ma allora non lo sapeva, non se lo era mai chiesto. Lo aveva realizzato solo con il tempo, molto dopo che il sentimento aveva iniziato a germogliare e a mettere radici, quando ormai aveva imboccato una strada senza uscita ed era troppo tardi per fare marcia indietro.
Frances aveva sempre sostenuto di non ricordare con esattezza il momento esatto in cui aveva capito di essere innamorata di Charles, ma quella, per quanto le costi ammetterlo, è una bugia che ha costruito per tutelarsi e a cui non è mai riuscita a credere fino in fondo.
Non dimenticherà mai la notte in cui ha compiuto diciotto anni –il regalo che le aveva fatto Jules prima di partire per il Canada, la tarte tatin calda e appiccicosa di Pascale, il vestito a fiori azzurri di sua madre- né il modo in cui si era sentita fra le braccia ossute e spigolose di Max quando aveva provato a baciarlo.
*
Quando lasciano la sua bocca, le parole hanno un sapore acre, velenoso. Inquinano l'aria tesa fra di loro con le implicazioni oscure che sollevano e i taciti patti che hanno mancato di mantenere.
Il fatto è che –per quanto quel pensiero le abbia attraversato la mente molte volte, nel corso degli ultimi anni- Frances non credeva che sarebbe mai riuscita a dargli voce.
"Quello che volevo dire" prosegue, addolcendo il tono di fronte allo sguardo perplesso che Max le rivolge, all'altro capo del tavolo "è che nessuno è senza colpe." Fa una breve pausa, poi scuote la testa. "E che si può fare del male ad una persona anche se la si ama."
Mentre parla, non può fare a meno di pensare all'espressione smarrita di Charles, una sera di marzo –fresca e ventosa, ancora inverno ma con dentro la promessa della primavera-, alla sua schiena accucciata fra i campi di lavanda di Valensole. Alle sue mani tremanti, con le nocche sbucciate. Al modo disperato che aveva di chiederle perché.
Per quanto ricordare la faccia soffrire, certe volte ha nostalgia di un tipo diverso di infelicità.
"Ci ho messo tanto tempo ad accettarlo." Confessa, serafica, distogliendo lo sguardo dagli occhi irrequieti di Max. "Ti ho odiato tanto e ti ho incolpato di tutto."
Lui tiene le mani intrecciate e col pollice destro si sfiora la cicatrice irregolare che gli taglia in due il dorso della sinistra, in un gesto automatico e ampiamente collaudato. Forse per punirsi, forse per farsi coraggio. Le dita fremono lievemente, colte dagli spasmi, e lui abbassa le palpebre, trattenendo il fiato.
"Siamo in due."
L'inflessione nella sua voce è tetra, arrocchita e vuota come lo sciacquio della risacca. Custodisce un dolore profondo, abissale.
Frances deve ammettere che Max indossa la sofferenza in un modo che non avrebbe mai immaginato. Lo stoicismo e la fierezza che lo avevano sempre caratterizzato nella loro giovinezza hanno lasciato spazio ad una timidezza irrisolta, quasi puerile. Le rughe d'espressione, i fantasmi nelle iridi.
Pensa con orrore, incredibilmente, che adesso più che mai le ricorda Charles.
"Era più facile ridurre tutto a quel momento. Più facile pensare che per te non avesse nessun significato." Balbetta lei, allora, respingendo con forza il nodo alla gola che rischia di farla esplodere in un pianto disperato. "Più facile convincermi che io non abbia avuto un ruolo. Che io non lo abbia mai ferito." Alza la testa, impercettibilmente, cercando il suo sguardo. "Che io non abbia mai ferito te."
Lui le rivolge uno sguardo grave, cupo e raggelante, e per un istante –uno soltanto- Frances crede di rivedere nell'uomo che ha di fronte il Max del suo passato. Risoluto, diretto, sincero.
"Questo non c'entra niente con quello che è successo, Fran." Replica, duro, con la mascella serrata. "E non cambia le cose."
Lei si massaggia il collo indolenzito, e con la punta dei polpastrelli sfiora la ciocca di capelli bianchi sulla sua nuca. Di nuovo quella brutta sensazione alla bocca dello stomaco.
"Questo ha cambiato tutto, Max." mormora, e la voce quasi le si spezza sul finire della frase. "Ma sono qui anche per questo. Non voglio più conti in sospeso."
E la verità è che di conti in sospeso loro ne hanno fin troppi. Li hanno collezionati per anni, accumulandoli come se potessero impilarsi li uni sugli altri all'infinito senza inquinare il loro rapporto. Come se, ignorandoli, potessero farli sparire.
Hanno finto per anni che il loro rapporto fosse solido ed inattaccabile solo perché si fondava sul presupposto fondamentale che nessuno potesse capirli meglio l'uno dell'altra, ed invece aveva sempre fatto acqua da tutte le parti. Le vengono in mente decine di occasioni in cui non è stata del tutto sincera con Max.
Ma, dal modo in cui lui la guarda, Frances è sicura che abbiano pensato entrambi alla stessa cosa.
*
Si sente bene.
Realizzarlo è una sorpresa insperata. Probabilmente il regalo migliore che potesse desiderare.
È uno dei pochissimi giorni felici dell'anno corrente, forse il primo in cui Frances smette finalmente di sentirsi in colpa per essersi sentita sollevata, quando tutto è finito, e per aver continuato a vivere. È il primo compleanno che festeggia, da quando sua madre non c'è più.
Tira vento. Il sole ha appena avviato la sua inesorabile discesa verso ovest ed incendia i campi con la sua luce calda e dorata, mentre il profumo dolce e persistente dei fiori si diffonde nell'aria. Gli uccelli cantano, e suona come un arrivederci.
Ha odiato Pa' Roux per aver organizzato questa stupida festicciola nel loro giardino, per aver invitato tutti i rimasugli di legami che le sono rimasti ed averla costretta ad avvisare almeno un amico –come se l'amicizia per lei si declinasse al plurale-, ma ora come ora gli è estremamente grata per averlo fatto.
Importa poco che Max non possa nemmeno venirci, a questa festa, –problemi con suo padre, come sempre- ma ha apprezzato il tentativo. È sembrata una cosa normale, per una volta.
C'era stato un tempo in cui vittorie e coppe erano state accompagnate da torte e dolci e piccole feste improvvisate al kartodromo. Un tempo in cui ogni weekend lei e Charles si contendevano la testa della classifica e non c'era spazio quasi per nessun altro. Allora c'erano più celebrazioni che ricorrenze e le sue estati sapevano sempre di bevande gassate e sorrisi.
Ma è stato prima. Prima della Formula Renault, della frustrazione, degli ultimi spiccioli rimasti.
Ormai ci sono talmente poche occasioni per festeggiare che sarebbe un sacrilegio non sfruttarle tutte.
E poi oggi compie diciotto anni.
Ha i capelli più lunghi del solito, liberi nel vento, e indossa il vestito preferito di Maman, quello delle feste importanti. Lei e Pa' hanno cucinato per tutti –zuppa di pesce e ratatouille e pane fatto in casa- Philippe ha comprato il vino, zia Suz il gelato e Pascale si è incaricata di prepararle la torta di compleanno. La stessa di sempre.
Si sente leggera come non le accadeva da tanto, con la prospettiva di un viaggio dall'altro capo del mondo, in autunno, alla fine del campionato. Ha come una timida speranza che le cose, in un modo o nell'altro, possano andare per il verso giusto ed è determinata ad accaparrarsi ogni centesimo di felicità che la vita vorrà concederle. Costi quel che costi.
Le auto iniziano a comparire in fondo al vialetto già nel tardo pomeriggio, in un via vai vivace e piacevolmente insolito. I primi ad arrivare sono sempre i Giroud, due vecchietti canuti e pacifici che vivono da generazioni nel casolare in pietra due o tre curve prima di quello dei Roux. I Bianchi, poi, e la zia Suz col suo terzo marito.
I Leclerc arrivano in ritardo, come sempre.
Hervé e Pascale e Lorenzo con la sua nuova ragazza. Arthur scende per ultimo, sbattendosi la portiera alle spalle con uno scatto secco, e la saluta con un abbraccio un po' goffo prima di annegare il naso di nuovo nella sua PS. Di suo fratello maggiore, invece, non c'è traccia.
L'assenza di Charles è per Frances come il vuoto laddove ci si aspetta uno scalino. Crudelmente inattesa, destabilizzante.
Pascale deve accorgersi della sua delusione perché le rivolge un sorriso dispiaciuto e consapevole, che però non riesce a mitigare la costernazione che si fa strada giù dalla sua gola dentro alle viscere.
Charles si scusa tanto per non essere venuto, ma ha un volo da prendere all'alba, da Nizza, per il Belgio. A differenza sua prenderà parte al prossimo round del campionato ed ha bisogno di concentrazione, di una buona gara. C'è in ballo il suo futuro nello sport: si gioca tutto, lì a Spa. Frances annuisce e dice che capisce, anche se il tradimento le brucia nelle vene con furia indomabile, le pulsa dietro agli occhi e nella pancia con cieco livore.
Non è una motivazione irragionevole, eppure fino a quel momento non avrebbe mai creduto possibile che lui potesse davvero perdersi un momento simile. Mettere lei –la sua migliore amica, la sua famiglia- dopo. No- peggio. Non avere il coraggio di dirglielo in faccia. Anche solo pensare che lei non avrebbe capito.
Frances fa strada agli ospiti verso la tavola apparecchiata, stappa una bottiglia di Champagne e ringrazia tutti i presenti, fra i fischi e gli applausi. Pa' accende le luci del piazzale ed il riverbero delle lampadine a neon nasconde gli angoli arricciati delle sue labbra e lo strano riflesso tremulo nei suoi occhi, che vira verso il pianto. La schiuma le appiccica le dita, quando straborda dal collo e scivola lungo le pareti della bottiglia, ed è una sensazione curiosamente familiare.
Niente, però, riesce a curare la sensazione annichilente di aver perso il suo unico punto fermo.
Il suo telefono squilla con costanza, dimenticato sulla pensilina.
Non che Charles meriti una risposta, comunque.
È poco dopo aver tirato fuori la torta di compleanno –quando la zia Suz è ubriaca marcia e balla con Philippe Bianchi mentre Didier Giroud suona una vecchia canzone bretone con la chitarra- che in fondo al vialetto si intravedono gli aloni brillanti dei fari di un'auto.
Il cuore di Frances salta un battito, e lei scatta in piedi rovesciando la sedia di paglia, giungendo le mani vicino alla bocca quasi in preghiera. Aspettativa ed incredulità ed impazienza.
I secondi che intercorrono fra il momento in cui la portiera del passeggero si apre e quello in cui la figura alta ed asciutta del ragazzo che salta fuori dalla macchina si rivela in tutta la sua interezza, si dilatano nel tempo con lentezza esasperante.
Attraverso una sottile cortina di fumo di sigaretta, Hervé guarda Pa', all'altro capo del tavolo.
E Max Verstappen fa la sua comparsa.
Ha una maglietta blu un po' sgualcita, un pantaloncino corto ed un borsone floscio appeso alla spalla sinistra che gli sbatte contro il fianco ad ogni passo che fa. Tutto nel suo modo di muoversi è teso e irrequieto, come la fiamma ondeggiante di una torcia in mezzo al vento. Sembra uscito direttamente dalla bocca dell'inferno.
Quando si avvicina alla tavola dice "Buonasera" e "Scusate per il ritardo" e "Ho fatto tanta strada" e stringe la tracolla nel pugno fino a farsi sbiancare le nocche. L'auto dietro di lui ha ancora i fari accesi e non accenna a schiodarsi da lì, come un cupo presagio. Il pomo d'Adamo di Max si muove lungo la sua gola scoperta e bianchissima. Le sue labbra mimano "Posso fermarmi qui?" ed il padre di Charles ha un'espressione grave ed angosciata sul volto che stona con tutto il resto.
Frances resta congelata sul posto, con la bocca socchiusa, incapace di spiccicare una parola. Nell'ultimo anno, da quando hanno smesso di correre nello stesso campionato, lei e Max si sono visti davvero di rado, soprattutto quando lui veniva a Marsiglia da amici di famiglia, ma dopo un weekend di gara tutt'altro che brillante ed una lite furiosa con suo padre, lui è venuto. È venuto davvero. È venuto per lei.
Le voci degli altri le giungono ovattate –Pa' lo invita a sedersi, Pascale gli offre un po' di torta e la zia Suz fa per mettergli in mano un bicchiere di vino senza troppi complimenti- ma tutto quello che lei vede sente e percepisce intorno a sé sono gli occhi azzurri di lui che la guardano attraverso lo spiazzo, con una promessa muta e silenziosa.
Pensa che non ha mai trovato quel ragazzino gracile e spigoloso più bello di adesso.
Mentre mangiano la tarte tatin seduti sotto il porticato, Hervé si alza per parlare con l'uomo nella macchina. Fuma molte sigarette e parla con Pa' sul retro per un bel pezzo, dopo.
E Frances non è così ingenua. Sa che c'è qualcosa che le sfugge, un dettaglio cruciale che non riesce ad afferrare fino in fondo, ma quella sera è triste ed egoista e non le interessa davvero sapere come abbia fatto Max ad arrivare da Marsiglia anche se suo padre gli aveva espressamente vietato di allontanarsi. L'unica cosa davvero importante è il modo in cui lui la guarda –con gli occhi stretti fino quasi a scomparire e le labbra increspate da un sorriso timido. Il modo in cui è presente laddove qualcun altro manca.
Ballano sotto la luce della luna a ritmo di qualsiasi melodia le dita di Didier gli riportino alla mente, mani strette nelle mani e lembi che si scontrano involontariamente. Frances sente una stretta allo stomaco, ma non è del tutto piacevole. E pensa che è diverso da com'è con Charles –più scoordinato e goffo e nervoso- anche se forse è solo perché lei e Max non sono mai stati vicini in questo modo, non sono mai stati amici in questo senso.
Percepisce un'intensità particolare nello sguardo di lui. Tormentato, eppure in qualche modo animato ancora da speranze infantili. Rovinato –ma forse non ancora irrimediabilmente.
Lo trova tenero, e tenero è l'ultima parola che avrebbe pensato di usare per descrivere Max Verstappen.
Quando gli ospiti si congedano, una mezz'ora più tardi, lei li saluta con due baci per guancia. Con le lacrime agli occhi ed una mano arpionata alla giuntura del suo gomito, Zia Suz le dice che Maman sarebbe fiera di lei, mentre Pascale la stringe in un abbraccio accorato e le sprimaccia i capelli prima di lasciarla andare. Si sente morire un po' anche lei, quando lo fa.
Così com'è arrivato, il caos scompare con l'ultima macchina che si tuffa nell'oscurità della campagna. E poi tutto è quiete.
Lei e Max sparecchiano la tavola in silenzio religioso, mentre Pa' sistema la brandina nella stanzetta, accanto al suo letto. Il frinire dei grilli è talmente forte che copre ogni altro suono, perfino quello dei suoi stessi pensieri. Il che è un bene, perché sono talmente confusi. Non saprebbe da dove cominciare a dargli retta.
S'immagina Charles dormire nella sua camera, a Monaco, con una sveglia puntata per le quattro e mezza sul telefonino. Si chiede se sta aspettando una sua chiamata, se Arthur gli ha detto che Max Verstappen, ancora una volta, è riuscito a fare quello in cui lui ha fallito.
Esserci.
È talmente distratta che le loro mani si sfiorano, quando lui le passa i piatti vuoti ed impilati, per metterli nel lavandino. Frances dice "Non credevo che saresti venuto" e anche "grazie per averlo fatto". Le parole le scappano di bocca, prima che le possa fermare, e Max fa una faccia buffa, come se lei avesse appena detto un'assurdità. Risponde "Mi avevi invitato e francamente non penso che rimanendo a Marsiglia stasera avrei migliorato più di tanto il rapporto con mio padre."
Dice "Questo era più importante" e l'impulso di gettargli le braccia al collo è ormai troppo forte per non assecondarlo. Ed è improvviso, violento, talmente inaspettato che i due quasi inciampano l'uno sull'altra, impacciati nell'abbraccio.
Max profuma di colonia maschile, di spezie e di cuoio.
Frances pensa che, forse, potrebbe anche baciarlo.
In fondo lui è lì –vicino, ad un palmo dal suo cuore.
Anche se ha l'odore sbagliato, e gli occhi sbagliati, e la faccia sbagliata.
Anche se lei vorrebbe che ci fosse qualcun altro, al suo posto.
Ed è allora, che capisce.
*
Al di fuori della bolla che si è creata nel Café de Paris, il cielo si scurisce ed il pomeriggio annega nella sera, torbido ed annacquato. Le tazze giacciono sul tavolo ancora mezze piene, dimenticate.
Frances gira il polso verso l'interno e guarda distrattamente il quadrante sbeccato del suo orologio: è già tardi, non farà in tempo a tornare per cena. Quando aveva programmato il loro incontro si era illusa che sarebbe riuscita a gestire la conversazione e a liquidare il tutto in poche battute –concisa e diretta, senza esclusione di colpi- eppure, ora che gli sta di fronte, sente che qualcosa la trattiene. I fili della memoria tirano corde nascoste e la controllano più di quanto lei sia in grado di controllare loro. Parlare del loro passato, di quello che hanno condiviso e di quello che hanno perso, è a dir poco straziante ma porta in sé una velata nostalgia. Un dolore dolce.
Cerca di racimolare un po' di coraggio, in un ultimo sforzo disperato, ed infila la mano nella tasca del cappotto. Prima che possa tirarla fuori, però, Max la stupisce ancora una volta, colpendola dove fa più male.
"So che questo mi farà sembrare uno stronzo" mormora, all'improvviso "ma non mi è mai interessato delle vittorie o della competizione. Ho passato anni ad invidiare Charles per il rapporto che aveva con te."
Le sue parole prendono forma gradualmente, gli si modellano fra le labbra e costruiscono frasi asciutte e precise, dritte al punto. Al cuore delle cose.
"Per metà della mia vita sono stato convinto, del tutto persuaso, che fossi l'unica persona al mondo capace di capirmi, l'unico altro essere umano a sentirsi come mi sentivo io." Prosegue, con sincerità.
Frances si sente gli occhi pizzicare.
"Ma non era così" conclude per lui, dopo una lunga pausa, dando voce ad un pensiero che è nell'aria dall'inizio del loro incontro. Anzi, probabilmente da molto tempo prima.
Max si stringe nelle spalle, quasi in imbarazzo. L'ombra scura nel suo sguardo sembra parlarle e dirle non è colpa di nessuno, e se anche fosse colpa di qualcuno, sarebbe colpa mia.
"Odiavo quanto fosse importante per te. Ed ho odiato ancora di più scoprire perché lo era."
Frances lo capisce. In fondo, ha scoperto, non può fare a meno di capire Max.
"Charles è sempre stato speciale." Sussurra, e pronunciare il suo nome ad alta voce è un altro tipo di dolore.
Lui scuote la testa, vigorosamente, come per scacciare un pensiero insostenibile. Poi giunge le mani in grembo e distoglie lo sguardo.
"Ho sempre cercato di giustificare i miei sentimenti" dice Max. Dice sentimenti come direbbe errori e questo fa più male di qualsiasi altra cosa. "Mi sono convito che avevo bisogno di averti accanto perché eri l'unica persona come me. Sola, senza una famiglia, svincolata da chiunque."
"Nemmeno questo è vero" lo interrompe lei, con uno sbuffo, stringendo i pugni sotto al tavolo.
Gli occhi di Max si sollevano di scatto, e per un istante sono di nuovo nei suoi. "Lo so" dice. Non volevo accettarlo, intende.
Tutte le cose che vorrebbe dirgli sono imbrigliate nella linea sottile delle sue labbra, strette e mute, impossibili da liberare. A differenza sua, lui sembra aver capito di non avere più niente da perdere.
"La verità è che ero solo innamorato. Innamorato perso, Fran."
Questa è una verità che Frances non è mai stata pronta ad affrontare.
//Spazio autrice (ancora in tempo!)
Avevo promesso un capitolo ed un capitolo è quello che avete avuto. Buon Ferragosto!
Non immaginavo che scriverlo sarebbe stato così difficile, sinceramente, ma ho voluto ancora una volta mettermi alla prova e fare qualcosa di diverso, sperimentare. Qui troviamo finalmente un po' di risposte alle nostre domande, un po' di rivelazioni e di confessioni che definiscono meglio il rapporto Max/Frances/Charles.
Anche se forse non è tutto come sembra.
Sono curiosissima di sentire tutte le vostre teorie in merito, anche perché siamo arrivati più o meno a metà! (Non ci crede nessuno, neppure io)
Qual è la domanda per cui non vedete l'ora ci sia una risposta? Fatemelo sapere qui o su @/itstods_wattpad, dove parliamo profusamente di questa e mille altre storie.
Vi ringrazio come sempre per il sostegno, i commenti e i feedback. Sono preziosissimi!
Vostra sempre,
T.
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