17 | Max- Il presente
2021, FRA-AUT
Twenty miles from anyone
Set my sights on the setting sun
Heaven talks, but not to me
'Cause heaven knows that nothing good comes freeDesolation tragedy
Is there nothing good in me?
Max passa quel che resta della primavera in uno stato di torpore e semi-incoscienza, sballottolato qua e là come un pupazzo di pezza, separato dal mondo esterno da una patina spessa ma invisibile. Si comporta come se non fosse accaduto nulla, eppure tutto è irrimediabilmente diverso. Qualcosa –da qualche parte, sotto alla superficie- si è incrinato, e qualcos'altro di ben più oscuro minaccia di emergere, con bolle e sbuffi e gorgoglii.
Baku è una sconfitta inattesa e bruciante, Monaco improvvisamente estranea ed ostile.
Le parole di Charles lo perseguitano come una maledizione.
Gli sono rimaste attaccate addosso con ostinazione, collose e stridenti, e non c'è angolo di mondo in cui Max riesca a trovare la pace che sta cercando.
Non c'è conforto neppure nella vittoria schiacciante, nello scroscio dello spumante sui piedi e giù dai capelli, nell'accumularsi vertiginoso di punti iridati accanto al suo nome nella classifica. C'è, anzi, un'inquietudine di fondo che lo avviluppa dall'interno e gli rimesta le budella. Trepidazione, quasi. Timore, misto a qualcosa che somiglia pericolosamente al desiderio, di un ulteriore confronto con lui dopo la clamorosa débâcle Ferrari a Le Castellet.
Prova a figurarsi la delusione, la sconfitta, la rabbia cupa e malcelata dallo sguardo torbido e accigliato dell'altro, e non riesce a reprimere la fitta di compiacimento che gli accende il petto.
Quasi lo aspetta, seduto nel suo stanzino spoglio e anonimo, come se fosse sicuro della sua venuta come si è sicuri di vedere l'alba successiva, giorno dopo giorno. Quasi spera di vederlo comparire di nuovo, nella cornice della porta, a capo chino e con il numero di stoffa rossa in mano, pieno di vergogna e umiliazione. Sarebbe pronto perfino ad una discussione accesa, ad uno scontro all'ultima stoccata alla ricerca di reciproche parti molli da ferire, da cui sanguinare. Si dice che di questi tempi gli andrebbe bene qualsiasi contatto umano, perfino uno schiaffo.
Si accontenterebbe di praticamente qualsiasi cosa, in realtà, purché riesca a bucare la sua solitudine.
Quando qualcuno bussa alla sua porta, per poco Max non inciampa nelle sue scarpe, saltando giù dal lettino per rimettersi in piedi. È solo Vicky, però, con un sacchetto in mano. Le spalle si rilassano, il petto si sgonfia, gli viene fuori una di quelle sue espressioni annoiate e supponenti che la gente non vede l'ora di cancellargli dalla faccia.
Cos'è? Chiede, tentando invano di schiacciare il panico che gli monta dentro e che minaccia di erompere da un momento all'altro. Non ho aperto, risponde lei, con aria di scuse, porgendoglielo. Me lo ha dato Silvia, aggiunge.
Max sente di nuovo quella fitta al petto, ma è diversa questa volta. Un po' più pungente, profonda, incalzante. Le mani praticamente gli tremano mentre scioglie il nodo e riconosce la sagoma ruvida e raggrinzita del numero 7.
E sa che Charles non verrà.
La delusione gli impasta le labbra e gli impedisce di articolare niente che non sia un grazie Vicky, vai pure. E poi è solo solitudine. Nel motorhome, in macchina, lungo la strada e perfino nella camera d'hotel in cui dorme pur di non tornare nel suo appartamento a Monaco.
Kelly ha smesso di seguirlo nei weekend di gara, neppure in quelli vicini come il Gran Premio di Francia –P è la scusa, Max è la ragione. Il piccolo screzio fra di loro si è allargato a dismisura col passare delle settimane ed è diventata una voragine che lui non ha idea di come ricucire.
Nemmeno sa se vuole farlo.
Scrive a Frances, ma il messaggio resta senza risposta come i cinque precedenti. Poi sprofonda con la testa sul cuscino, ad occhi serrati, e si ritrova a pensare che, per certi versi, non è mai stato tanto lontano dall'essere felice di essere Max Verstappen.
*
Sebbene quest'anno le cose non fossero iniziate nel migliore dei modi, quando Max inizia a vincere, non riesce più a fermarsi.
Non ci sono variabili imprevedibili che rimescolino la situazione, né avversari abbastanza forti per essergli d'intralcio. Il sette volte campione del mondo lo osserva ad un gradino di distanza, attonito e furente, scrivere la sua gloriosa storia personale ed imprimere il suo nome fra quelli dei più grandi, mentre quello che ha sempre considerato essere il suo rivale di sempre arranca nelle retrovie, con ombre sempre più scure ad infestargli gli occhi. Mentre tutti gli altri faticano a stare al passo, la macchina risponde ai suoi comandi come un'estensione del suo corpo, gli sforzi della sua squadra sono concentrati su di lui e Max è il Re Mida della Formula Uno.
Tutto quello che tocca, diventa oro.
Dovrebbe essere il momento più alto della sua carriera –dentro di sé sa che queste cose durano sempre meno di quanto si vorrebbe o ci si aspetta, che sembrano tangibili finché non lo sono più e scivolano fra le dita come granelli di sabbia- eppure più vince, peggio si sente.
È l'ultimo a lasciare il circuito, dopo aver concluso il suo primo weekend perfetto. Il suo primo Grande Slam.
Dovrebbe avere un sapore diverso –più dolce, più appagante- ed invece sa solo di promesse disattese e presagi funesti. Di non sarai mai più bravo di così, e questo è il punto più alto e una volta in cima si può solo cadere. E non può che farsi male.
Non direbbe che si sta facendo prendere dal panico, non proprio.
È più che altro uno stato di tensione costante in cui basta una virgola fuori posto per farlo scattare. Nei pensieri oscuri che gli affollano la mente, certi giorni, si intravedono le venature di una persona che è stato cresciuto per essere ma che non vuole diventare. Compartimentalizzare non è mai stato così difficile come da quando è in testa al mondiale e Max- Max non vuole riversare tutti questi sentimenti negativi sulle persone che ama. Max non vuole farsi odiare.
Così, sta da solo.
Ha declinato accuratamente tutti gli inviti a festeggiare, millantando programmi raffazzonati ed inesistenti, ed ha aspettato rintanato nella sua stanzetta che il resto del team uscisse dall'hospitality, prima di mettere il naso fuori e tirare un sospiro di sollievo.
A volte Max si chiede se sia così difficile anche per tutti gli altri. Se sia così difficile anche per lui. Se non sarebbe meglio essere mediocre e non avere alcuna aspettativa sulle spalle, non portare il fardello di avere possibilità concrete di farcela. A volte si chiede dove sarebbe ora se avesse avuto modo di scegliere la sua vita da solo.
Non qui, pensa, mentre si chiude la porta alle spalle, e non riesce a decidersi se sia una cosa positiva o no.
La sera scende silenziosa e velata sul circuito di Spielberg. I rumori che lo circondano sono stranamente rassicuranti, gli ricordano momenti sereni della sua infanzia. Lo scricchiolio dei carrellini che scorrono sull'asfalto, il tonfo attutito dei portelli che si chiudono, il lento scalpiccio degli scarponi degli addetti alla manutenzione che attraversano il paddock per dirigere gli spostamenti dei veicoli.
Mentre cammina costeggiando la recinzione in metallo che separa il circuito dal parcheggio, sente la tensione nelle sue spalle allentarsi lievemente ed il battito del suo cuore rallentare appena. Fra le maglie larghe della rete, riesce a cogliere un ultimo brandello rossastro, il fanalino di coda del tramonto che stinge nel crepuscolo.
Tira fuori il telefono dalla tasca anteriore dei jeans e apre la chat con Kelly. Il cuore gli si stringe a vedere i brevi messaggi che si sono scambiati negli ultimi giorni, le congratulazioni di lei e P a cui lui non ha risposto. Prima che possa cambiare idea, scatta una fotografia. Le dita esitano appena prima di premere il tasto invia.
Ed è sul punto di chiamarla. Max sarebbe pronto a giurarlo, in momenti come questo –quando una brutta sensazione gli si irradia dall'interno come una malattia- vorrebbe solo sentire la sua voce vellutata e la sua risata squillante. Sa che, se solo glielo lasciasse fare, Kelly saprebbe individuare le corde giuste da tirare per dissipare il terrore che gli attanaglia il petto. Sa che lei gli direbbe che è tutto nella sua testa. Che si sta creando dei problemi che non esistono. Che nessuno è come lui, che nessuno sarà mai come lui.
Max Verstappen. Il leone. Il ragazzo d'oro.
Riesce a trovare solo ragioni estremamente valide per chiamarla, ma qualcosa lo trattiene. E quando si porta il telefono all'orecchio, il numero che ha composto è diverso.
Rispondi. Rispondi. Rispondi.
Ma la linea resta muta e, dopo undici dolorosi squilli, va alla segreteria.
"È a Sarno. Per le Euro Series"
Max sussulta, colto di sorpresa. Non si era nemmeno reso conto di star trattenendo il fiato.
Charles lo raggiunge con passo felpato, silenzioso come un animale della notte, e si ferma solo quando gli è accanto. Restano così per un bel pezzo, in silenzio, ad osservare l'ultimo scampolo di colore venire inghiottito dal buio, con la faccia rivolta alla recinzione e le spalle che non si sfiorano per qualche centimetro appena.
Scioccamente, l'unica cosa a cui Max riesce a pensare è che questa è la prima volta che lui e Charles sono da soli dopo settimane. Ci sono così tante cose che vorrebbe dirgli. Chiedergli.
"L'hai sentita?" Parlare di lei è diventato più semplice che parlare di loro, dopo Monaco.
Charles scuote la testa, piano. Ha un sorriso comprensivo sulla faccia che non ha nulla di sarcastico.
"Lo sai, lei è così. È impegnata. Niente di personale"
Niente di personale.
"Credevo che sarebbe venuta" dice lui, allora, mordendosi l'interno della guancia. Avevo bisogno di lei, è la parte che tiene per sé.
L'altro fa un suono secco e aspirato che somiglia ad una risata, ma non fino in fondo.
"Frances ha messo in chiaro fin da subito che non mi avrebbe seguito come un cucciolo spaurito. Ha la sua vita. Il suo lavoro." Spiega, con semplicità. Tiene le mani sprofondate nelle tasche. "Viene quando può. Quando glielo chiedo."
Max scandaglia la sua voce alla ricerca di una crepa, di una sbavatura. Attende di scovare qualcosa nel tono dell'altro che tradisca un fastidio celato, il germe del risentimento che inquina ogni sentimento, anche il più puro e positivo. Ma non c'è che rispetto nelle parole che Charles usa. E questo ferisce Max più di quanto si aspettasse. Suona come un tradimento.
"Non è un grosso problema, so che ha visto la gara e- be'," prosegue l'altro, dopo una breve pausa. Per la prima volta sembra quasi esitare, anche se dura solo una manciata di secondi. "Ci vedremo a casa, comunque."
Max deglutisce. Ha la gola improvvisamente secca, rasposa.
"Capisco" mormora, ma è una bugia. Da come piega la bocca, anche Charles lo sa.
L'oscurità li avvolge in un abbraccio silenzioso e Max riesce a percepire distintamente la presenza di Charles al suo fianco, anche senza vederlo. Gli anni che hanno passato ad inseguirsi sulle piste di tutto il mondo gli hanno fatto sviluppare una sorta di sesto senso, per questo genere di cose.
Anche quando non è nel suo campo visivo, Max sa sempre dov'è Charles. O almeno lo intuisce.
Così come intuisce che sta per congedarsi e, egoisticamente, parla per trattenerlo ancora qualche istante.
"Non mi aspettavo di trovarti qui. Pensavo fossi già partito" gli dice. La voce è piatta e misurata. Monocorde.
Non sa cosa si aspetta che lui gli dica. Forse vuole solo sapere che si sente miserabile tanto quanto lui. Forse vuole solo una prova che quanto Charles gli ha detto mesi prima è effettivamente vero. Che loro sono uguali, in fondo.
"Non mi piace stare a casa, quando è vuota" mormora Charles, e Max percepisce distintamente una fitta al centro della schiena che gli spezza il fiato. "Tu perché sei ancora qui?"
Max continua a fissare dritto davanti a sé il profilo delle auto nel parcheggio, lucide e silenziose, e per un istante appena pensa che potrebbe anche mentire. È diventato molto bravo a farlo.
"Non mi piace stare a casa, quando è vuota." Ripete, invece, suggellando un patto silenzioso.
L'altro si irrigidisce appena, ma forse è solo una sua impressione, perché è davvero difficile leggere i suoi comportamenti, e per un pezzo Charles non dice assolutamente niente.
Una domanda aleggia nell'aria, ma nessuno dei due si arrischia a darle voce. Non c'è abbastanza confidenza per supporre, né alcun diritto di pretendere una risposta. Max si chiede ancora una volta se questa piccola ammissione di debolezza reciproca non li renda più simili o più diversi che mai.
Un faretto si spegne alle loro spalle in una nuvola polverosa, spezzando la quiete del momento e lasciando che il crepuscolo li inghiotta. È l'ora di andare a casa.
Max si sistema le bretelle dello zaino, improvvisamente a disagio, e si schiarisce la gola con un colpo di tosse, come per disincastrare qualcosa.
Adesso devo andare, dice, nello stesso momento in cui Charles propone Allora non torniamo a casa. I loro sguardi si incrociano istintivamente, l'uno di riflesso all'altro, senza bisogno di cercarsi, e Max avverte d'un tratto una curiosissima sensazione di déjà-vu. Inspiegabile, considerando quanto sia raro per loro trovarsi da soli e parlarsi faccia a faccia senza alcun intermediario. Somiglia più ad un presagio, forse. A qual cosa che deve ancora succedere, piuttosto che a qualcosa che è già accaduto.
"Come non detto" concede Charles, scuotendo appena il capo. Ha un tono deluso, ma i suoi occhi verdi sono freddi ed illeggibili. Sfidano Max in modi in cui lui stesso non riesce a capacitarsi.
"Cosa avevi in mente?" ritratta lui, di getto, senza battere ciglio. La smorfia sul viso dell'altro si plasma istantaneamente in un sorriso ampio e beffardo, e Max ha la netta impressione di essere caduto con entrambe le scarpe in una trappola ben architettata.
"Bere finché questa non inizia a sembrarmi una giornata buona."
Max annuisce brevemente.
"Ah, buona fortuna, allora."
"Interessato?" incalza Charles, facendo tintinnare le chiavi della Ferrari che gli hanno lasciato per questo weekend. È un gesto innocuo e pericoloso al tempo stesso, un'esca luccicante per un pesce molto grosso, e molto stupido. "Ti do altri dieci secondi per pensarci, prima di pentirmene."
Non si è mai spiegato, in futuro, neppure dopo anni, perché in quel momento si fosse sentito così esposto e vulnerabile davanti alla proposta di Charles. Max non è uno che esita, uno che soppesa. Eppure, per quanto riesca a trovare solo ottime ragioni per rifiutare l'offerta, non può negare a sé stesso che, nel punto più profondo della sua solitudine, Charles sia l'unica persona con cui non ha paura di essere sé stesso. La versione più cupa e sgradevole di Max Verstappen.
"Se anche dicessi di sì-" inizia, ma l'altro subito lo interrompe.
"Stupendo" dice, lanciandogli le chiavi. Non gli lascia nemmeno il tempo di finire la frase. "Guidi tu."
//Spazio autrice (ancora viva)
Sì, so cosa state pensando. E no, non è un'allucinazione: è proprio un nuovo capitolo di Twin Flames.
Chi mi segue su instagram (utente: @/itstods_wattpad) sa già cosa è successo nel corso degli ultimi burrascosissimi mesi, ma sento di dovere a tutti voi le mie scuse per aver tardato così tanto ad aggiornare, nonostante le promesse. Non sto passando un bel periodo, purtroppo, e anche solo accendere il pc per scrivere mi generava ansie insostenibili. Avevo questo capitolo a metà nelle bozze da aprile, più o meno, ma solo oggi sono riuscita a concluderlo e pubblicarlo. Non so se questo significa che è tutto okay e riprenderò ad aggiornare con cadenza fissa, ma spero di aver sbloccato qualcosa.
Nei miei obiettivi, in ogni caso, c'è di sicuro portare a termine TF, in un modo o nell'altro. Spero voi sarete lì con me, alla fine. <3
Lettori, lettrici, amiche, amici: mi auguro che il capitolo sia di vostro gradimento e che sia valso l'attesa biblica. Vi chiederei di lasciare un commento e di battere un colpo, se ci siete ancora: i feedback sono essenziali e mandano avanti le storie, specie quelle che sono rimaste quattro mesi in stand by! Finalmente entriamo più a fondo nel rapporto Charles/Max, e sono molto curiosa di sapere come si evolverà secondo voi.
Il prossimo capitolo sarà un po' diverso dal solito, so brace yourselves perché sapete già cosa vi aspetta. Nel frattempo vi bacio forte forte.
Vostra sempre,
T.
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