14| Charles- Il passato

ITA, 2011

Their win is not my loss
I know it's true
But I can't help gettin' caught up in it all
Co-comparison is killin' me slowly
I think, I think too much



La prima volta che Charles si sente attratto sessualmente da un'altra persona è ancora piuttosto piccolo, e la scoperta, più di tutto, lo ricopre di vergogna e lo fa sentire sbagliato.

Quando sente quel formicolio dietro la nuca –quella strana sensazione di calore, nella pancia-, sa già di cosa si tratta. La maggior parte dei suoi amici ha uno o due anni in più ed è già molto più avanti rispetto a lui, ha già avuto diverse esperienze –Pierre ha perfino una ragazza, accidenti. In diverse occasioni si sono scambiati confidenze, gli hanno raccontato cose, roba che francamente faceva fatica perfino ad immaginarsi.

La verità è che, fino ad allora, Charles non aveva capito fino in fondo a cosa si stessero riferendo. E quando è successo, avrebbe voluto che non lo avesse mai fatto.

In futuro gli capiterà spesso di chiedersi perché si fosse sentito così in colpa, quel pomeriggio, sulla spiaggia dell'Almanarre, a guardare il corpo di Frances –quello stesso corpo che aveva stretto e abbracciato, colpito e spintonato mille volte, quello stesso corpo che credeva di conoscere come le sue tasche- e trovarlo bello. Bello in un modo che gli toglieva il fiato.

A lungo ha creduto che fosse perché aveva sempre pensato a Frances come una di famiglia –una sorella-, e l'idea di nutrire certe pulsioni verso di lei era a dir poco rivoltante.

Ma non era quello. Non è mai stato quello.

Guardandola attraverso lo spazio stretto del corridoio dell'appartamento che dividono –ancora addormentata, a malapena coperta dal lenzuolo bianco, con i capelli scuri sparpagliati sul cuscino- Charles sa che la vera ragione per cui si era spaventato così tanto, quel giorno, a Hyères, è che quella è stata anche la prima volta in cui si è reso conto di un fatto incredibilmente ovvio, a cui non aveva mai pensato prima.

Lui e Frances non erano la stessa persona.

Da piccoli si erano sbucciati negli stessi punti, avevano portato gli stessi vestiti e giocato con le stesse cose. Perfino quando erano cresciuti, seduti nel kart con la visiera abbassata, erano rimasti praticamente indistinguibili. Così tanto che la maggior parte delle volte Charles dimenticava perfino che Frances fosse una ragazza. Parlavano allo stesso modo, guidavano allo stesso modo. Sognavano lo stesso sogno.

Sotto alla tuta, invece, –sotto a quelle stupide magliette informi degli anni ottanta ripescate chissà in che cesto- Frances era cresciuta, cambiata, senza che lui se ne fosse reso conto.

Ripenserà a quel giorno con più dolcezza, poi. Lo ricorderà come il momento in cui ha capito che il suo corpo era stato più veloce del suo cuore anche in quel caso, ad accorgersi di quello che covava dentro di sé. Che era destino che loro stessero insieme. Che non ci sarebbe mai stata nessun'altra per lui.

Non saprà mai quanto letteralmente.


*


Anche a pomeriggio inoltrato, il cielo sopra le loro teste brilla di una sfolgorante tonalità di azzurro e non c'è spazio neppure per una nuvola che attutisca i raggi solari e conceda un po' di pace dalla calura estiva. Dopo le qualifiche, mentre suo padre aiuta Pa' Roux a caricare il kart nel rimorchio, Charles e Frances riprendono fiato, appoggiati alla fiancata del furgone. Per quanto tenti di ingobbirsi, lei è ancora decisamente più alta di lui, anche se nell'ultimo anno Charles è cresciuto di quasi otto centimetri e non entra più nei suoi vestiti.

"Sbagli sempre traiettoria sulle curve lunghe" gli dice Frances, dopo aver tirato un lungo sorso alla sua lattina di Coca Cola. "Perdi tanti decimi, e posizioni."

Charles si toglie il cappello rosso per sistemarsi i capelli, poi se lo ricalca in testa con gesto nervoso.

"Sono solo in seconda fila." Risponde, piccato. Lei gira appena la testa di lato, per scoccargli un'occhiata canzonatoria.

"E con che distacco?"

A quello non risponde, perché è umiliante.

Nicholas gli fa segno di lasciar perdere. Da quando Jules è impegnato con la sua carriera e gira per il mondo venti weekend all'anno, è Nicholas a fargli da meccanico. È simpatico, tutto sommato, e soprattutto bravo nel suo lavoro, ma non sembra nutrire per Fanny quella stima e affascinazione che provano tutti gli altri. Charles deve ancora decidere se questa cosa gli fa piacere Nicholas un po' di più o un po' di meno, ma ha i suoi sospetti.

Per un po' restano in silenzio, e lui ha il tempo di spiare lateralmente il viso lentigginoso e smussato di lei. Negli anni Charles ha imparato a conoscerne ogni angolo, curva e ruga di espressione, a leggerlo come si legge una mappa astrale –distanze, punti fermi, costellazioni.

È contenta, non riesce a nasconderlo. Si vede dal modo in cui arriccia il naso, dalla piega della bocca, da come socchiude gli occhi, lievemente. Ha dominato le qualifiche senza lasciare possibilità di scampo a nessuno, nemmeno a quel ragazzino olandese insopportabile che le aveva soffiato il primato l'anno precedente, e Charles non ha dubbi che dominerà anche la gara del giorno successivo.

Gli piace, questo momento solo loro. Gli piace guardarla. Soprattutto quando lei è così felice.

La quiete del momento, però, viene interrotta dalla madre di Frances, che fa capolino timidamente dal furgone, solo con la testa.

"Chérie?" la chiama, e lei scatta subito, allungando la lattina a Charles senza assicurarsi neppure che lui l'afferri saldamente.

"Maman?" dice, e la voce le cambia quando si rivolge a lei. Si fa sottile, attenta. "Sì, arrivo."

Gli ultimi due anni erano stati piuttosto duri, a casa Roux, per quello che ne aveva capito –che era sempre troppo poco, troppo lontano, troppo difficile da sovrapporre alla sua vita comoda e senza grosse preoccupazioni.

Dopo l'intervento che la madre di Frances aveva subito, la ripresa era stata lenta e faticosa ed erano passati diversi mesi, prima che la incontrasse di nuovo. Quando l'aveva vista –a Valensole, il giorno del quattordicesimo compleanno di Frances- aveva stentato a riconoscerla. Maman portava i capelli scuri piuttosto corti, scoperti, il viso era più pieno e gli occhi molto più luminosi di quanto non ricordasse. Li aveva accolti con un sorriso sfavillante e aveva preso le borse –Tarte Tatin di Pascale inclusa, la più buona del mondo. Era stata con loro tutta la sera, finché non era stata ora di tornare a casa, bevendo e facendo battute e ridendo a crepapelle, tenendosi il petto. In quell'occasione, Charles si era reso conto che non l'aveva mai vista stare bene veramente fino a quel momento.

Soprattutto, non riesce a smettere di pensare a quanto Frances fosse felice, quella sera. Aveva sperato per lei che tutto il dolore che aveva provato negli anni fosse solo un brutto ricordo, e che quella sensazione –quel momento- potesse durare nel tempo.

Non era stato così, ovviamente. Frances aveva perso un paio di corse, sul finire dell'anno precedente –quelle che erano servite a Max Verstappen per allungare nella classifica generale e soffiarle la vittoria. Charles aveva capito troppo tardi che Maman aveva avuto una ricaduta, e che non c'era più molto da fare.

Veniva spesso alle gare, adesso. Se ne stava rintanata nel furgone, avvolta in uno scialle, per la maggior parte del tempo, però, ed aveva perfino iniziato a fumare, a grandi boccate, fino ad annerire i vetri. Alla fine dell'estate Maman avrebbe iniziato delle cure palliative. Le avevano dato sei mesi. Un anno, forse due.

Frances era stata evasiva, non gli aveva detto molto. Loro non parlavano mai di questo genere di cose.

Allora Charles non lo sapeva –nessuno glielo aveva detto- ma sentiva che doveva starle vicino, che non era il momento di lasciarla da sola. Aveva fatto una promessa, dopo tutto.

La guarda arrampicarsi nel retro del van, ascolta i rumori metallici delle chiavi e degli attrezzi, un'imprecazione che si perde nel vento. Quando distoglie lo sguardo dal punto in cui lei è sparita, vede una figura alta e smilza sbracciarsi da lontano.

"Charles!" si sente chiamare, e stringe gli occhi per cercare di mettere a fuoco la figura molleggiante. "Datti una mossa!"

Distende la fronte, quando riconosce Esteban. Dopo le qualifiche erano rimasti d'accordo che avrebbero fatto una partitella veloce, prima di tornare a casa. Loro, Pierre, Tonio e un altro paio di ragazzini italiani che si erano presentati quel fine settimana e che loro non avevano mai visto prima.

Charles si morde il labbro, temporeggiando. Vorrebbe, per certi versi, ma non sa quanto gli sembri il caso di piantare Frances in asso per andare con i suoi amici. Con la faccenda di sua madre e tutto il resto, insomma.

Non ricevendo risposta, Esteban gli corre in contro. Ci mette meno di dieci secondi a chiudere la distanza, perché anche se non ha compiuto ancora quindici anni ha le gambe lunghe ed è già ben oltre il metro e settanta.

"Allora? Vieni?" gli chiede, carico di aspettativa. E la verità è che Charles, ancora una volta, non sa quale sia la scelta giusta da prendere, perché nessuna riesce ad accontentare tutti e fare un torto a chiunque è l'ultima cosa che vorrebbe. Perché vive per compiacere tutti.

È Frances a rispondere per lui, facendo capolino con la testa e cogliendolo di sorpresa esattamente come aveva fatto sua madre per chiamarla. Ha la guancia macchiata di fuliggine, i capelli che sfuggono all'elastico e le coprono gli occhi.

Dice: Vai pure, vi raggiungo dopo.

E mentre Charles si allontana dal parcheggio insieme ad Esteban, dandole le spalle, si ritrova a pensare che sono lontani i tempi in cui sperava con tutto il cuore che lei alla fine non lo facesse.


"Siamo al completo."

Pierre tiene la palla da calcio incastrata sotto l'ascella ed il mento alto, mentre la squadra dall'alto in basso. Il tono che usa è pacato, ma fermo. Non ammette repliche.

Frances fa schioccare la lingua contro il palato, e Charles si copre gli occhi con una mano, istintivamente, per non assistere a quello che teme stia per accadere. Dopo essersi liberata, lei aveva seguito le grida e gli schiamazzi fino allo spiazzo dove si erano riuniti, ed aveva pazientemente aspettato che l'azione si interrompesse prima di richiamare l'attenzione del gruppo e chiedere quale squadra avesse bisogno di un giocatore in più.

Nessuna, a quanto pare.

Almeno non se il giocatore in questione era lei.

"Pardon?" chiede Frances, con gli occhi stretti in due fessure. "Non credo di aver capito."

Anthoine, appena dietro di lui, scuote la testa. .

"Siamo in dieci. Cinque contro cinque. Siamo al completo." ripete Pierre e Charles sa che dovrebbe intervenire, dire qualcosa –qualsiasi cosa- ma non ci riesce, non dice niente. E anzi, tiene gli occhi bassi per evitare lo sguardo di Frances –sa che non riuscirebbe a sorreggerlo. Non leggendogli dentro tutte le sue codarde mancanze.

Lui le vuole bene. Lui è suo amico.

Lui dovrebbe difenderla.

Ma non lo fa, e Frances si difende da sola.

"Possiamo cambiare gioco. Andare a chiamare qualcun altro." Afferma, risoluta. Tiene le braccia incrociate al petto ed il piede sinistro proteso in avanti, pronta all'attacco. "Possiamo fare a turno."

Si alza un brusio, alle spalle di Charles. Frances sarà solo una, ma tutti sulle piste di kart hanno paura della fille en feu e se è vero che nessuno di loro vuole esserle amico è anche vero che nessuno vuole averla come nemica. Pierre si gira e si scambia un paio di rapide occhiate concitate con tutti gli altri. Indugia su Charles, più di tutti, alla ricerca di qualche conferma, e lui sente lo stomaco attorcigliarglisi in una morsa.

"E sentiamo" risponde Anthoine, dopo una breve pausa, risentito. "Come intendi fare? Vuoi tirare a sorte?"

Frances fa fatica a trattenere il sorrisetto vittorioso che le si dipinge sul viso, e lancia un'occhiata all'imponente quercia al limitare dello spiazzo.

"Io un'idea ce l'avrei."



Ed è un'idea di Frances. Quindi folle, strampalata ed inutilmente pericolosa.

Ma nessuno si tira indietro, perché sarebbe veramente imbarazzante fare la figura dei codardi davanti ad una ragazzina di quindici anni con la faccia sporca e i pantaloncini strappati. Così, uno alla volta, provano a salire, più in alto che possono, arrampicandosi ai rami più bassi per darsi la spinta e inerpicarsi lungo il tronco rugoso, mentre il sole si abbassa lento e inesorabile, a ovest.

Pierre è il primo a provare. Non è uno che si fa impressionare facilmente. Si gira il cappello con la visiera all'indietro e fa un primo tentativo, aggrappandosi ad una sporgenza nodosa con entrambe le mani. Dapprima sale con agilità, poi a metà strada i piedi perdono contatto con il tronco e scivola di qualche decina di centimetri. Una lunga sbucciatura gli si apre appena sotto al ginocchio, rossa e lucida, ma lui non si arrende. Non appena raggiunge un ramo abbastanza largo da reggere il suo peso ci si accomoda e poi grida Avanti un altro!

Charles si arrischia a guardare verso Frances, con lo stomaco in subbuglio ed il fiato sospeso, e nota una cosa strana. Sta sorridendo.

Anthoine non se lo fa ripetere due volte, e a lui si accodano due ragazzi spagnoli che giocavano nella sua squadra. Ma nessuno pensa più alla palla, alle squadre, ai ruoli da assegnare. Vogliono tutti arrivare più in alto degli altri, fino alla cima frondosa della quercia.

Tutti, tranne Charles.

Perché Charles ha un segreto. Una cosa di cui si vergogna molto, una cosa che non ha mai detto a nessuno, nemmeno a Frances. E mentre si avvicina all'albero, con passo tremante, si maledice per non averlo fatto. Se lei lo avesse saputo, non lo avrebbe mai messo in una situazione del genere.

Quando appoggia i palmi delle mani alla corteggia coriacea e grinzosa, percepisce distintamente il battito impazzito del suo cuore, fin dentro alle orecchie, quasi fosse il battito stesso della quercia. Per un attimo è certo che si tirerà indietro –che si girerà di spalle e correrà via a gambe levate nello stupore generale- ma non può farlo. Sente addosso lo sguardo di tutti, deciso ed insistente. Deglutisce, solleva lo sguardo verso lo stralcio di cielo che si intravede fra le fronde gonfie e fruscianti, e inizia la scalata.

Di tutte le cose che terrorizzano Charles –la lista è più lunga di quanto gli piace ammettere-, le altezze sono quella peggiore, la più irrazionale. Non c'è un motivo: ha paura e basta. A volte gli basta sporgersi un po' e guardare giù dal terrazzino di casa di sua nonna per avere le vertigini.

Mentre si inerpica su per il tronco dell'albero, poche decine di centimetri alla volta, Charles tiene gli occhi serrati e avanza alla cieca. Allunga le mani, tasta, afferra, si aggrappa ai rami con tutto il peso finché il suo piede manca un pertugio –una biforcazione fra due fronde- e lui si ritrova a penzolare nel vuoto.

Niente riesce ad impedire ad un urlo strozzato pieno di terrore di sfuggirgli di bocca, mentre con le braccia si avvinghia al ramo più vicino con tutte le sue forze e scalcia nel vuoto.

"Charles?"

"Charles, stai bene?"

E lui vorrebbe rispondere, vorrebbe davvero. Solo che non ci riesce.

Qualcuno cerca di dargli indicazioni –consigli su come scendere, dove mettere i piedi, le mani- ma lui mormora solo un'inconcludente sequela di non ci riesco non ci riesco non ci riesco. E quando apre gli occhi non è come nei suoi incubi più terrificanti. È molto molto peggio.

Alla fine sono Esteban e Mattia, i più alti del gruppo, a tirarlo giù. Pierre lo guida con le mani, come si fa con i bambini, mentre loro lo prendono per i piedi e lo rimettono a terra. Lui vorrebbe solo che il suolo polveroso si aprisse in due con uno schiocco secco e lo inghiottisse, seduta stante.

La figura di merda peggiore di tutta la sua vita.

Per essersi mosso alla cieca, ad onor del vero, è arrivato anche piuttosto in alto –un metro più in basso di Pierre, due o tre biforcazioni più in alto degli altri- ma quel piccolo momento di debolezza ha rovinato ogni cosa ed ora nella mente di tutti i presenti ci sarà per sempre la sua faccia spaventata, le sue gambette secche che scalciano e la sua stupida voce petulante che dice non ci riesco.

Si sente avvampare.

"Tutto bene Charlot?"

Frances gli indirizza un'occhiata incerta, quasi preoccupata, ed allunga una mano per sfiorargli il gomito escoriato, ma lui la scrolla via con sufficienza.

"Benissimo." Taglia corto, e gira la testa con uno scatto, senza darle possibilità di ribattere. Lei si ritrae, come scottata, e lo guarda in un modo che Charles non capisce. Sembra un animale ferito.

La osserva avvicinarsi all'albero senza una parola, arrotolarsi le maniche e puntare i piedi, veloce e sicura, scalarlo come se fosse una china di sabbia a malapena accennata, metro dopo metro, fino a che è difficile distinguerla, nascosta com'è dalla chioma dell'albero. E tutto, di Frances, non è che qualche macchia di colore in mezzo al verde. Null'altro.

Nessuno dice niente. Tutti gli occhi sono puntati su di lei, la fille en feu, che fa quello che le riesce meglio. Lasciarli di stucco.

Charles strizza gli occhi, schermandosi dal sole ormai basso con la mano, e la guarda sollevarsi, mettersi in equilibrio con un piede davanti all'altro e camminare a braccia spalancate, sospesa nel vuoto, lungo il ramo più alto. Un atto di fede. Quando sente che inizia a piegarsi per il troppo peso lascia andare uno strillo eccitato e fa una cosa che nessuno si aspetta. Si accovaccia, circonda il ramo con le braccia, e si appende, nel vuoto, a dieci metri da terra.

Lui vorrebbe solo urlarle non fare la stupida, Santo Cielo, scendi da lì. Sta per farlo. Non fosse per una cosa che lei fa immediatamente dopo.

Sotto gli occhi di tutti i presenti, Frances si issa con la sola forza delle braccia e si mette cavalcioni sul ramo. Mette le mani a coppa attorno alla bocca e urla, a pieni polmoni: "Verstappen? Che fai, non vieni? Hai paura?"

Solo allora –troppo tardi- Charles si rende conto della figura esile e ingobbita che li osserva, a braccia incrociate, da debita distanza. Sente un pizzicore intenso, dietro lo sterno, ed una sensazione di tensione accenderglisi sulla pelle. Da quanto tempo è lì? Da quanto tempo li stava spiando?

Max fa un passo avanti, e la luce delle sette di sera lo investe con tutto il suo bagliore, illuminandone i capelli biondi come il grano e gli occhi azzurri come il cielo sulle loro teste.

Ogni fibra di Charles prega affinché il ragazzino che odia di più al mondo non colga la provocazione, si giri e se ne vada. Ma le preghiere restano solo preghiere, e Max scala l'albero scivolando e graffiandosi la pelle, conficcando le unghie e lasciando una scia rosso sangue a marcare il suo passaggio. Non si lamenta nemmeno una volta.

Anche Max non è per niente uguale a Charles. Max non ha paura di niente.


Sulla strada del ritorno, quando il sole è già sparito da un pezzo ed il crepuscolo inizia a calare come una nebbiolina impalpabile sui camper, lui e Frances camminano vicini, senza scambiarsi una parola, né un cenno. Si sente solo il frinire delle cicale tutt'intorno e il rumore dei loro passi sul selciato, ritmico e strascinato.

Ci sono tante cose che Charles vorrebbe dire, ma non sa come fare. Gli restano intrappolate nella gola e sulla punta della lingua, nello spazio molle e nascosto in cui si incontrano le labbra. Quando vengono fuori, finalmente, le sue parole sono sorprendentemente avvelenate –acuminate come punte di frecce nella schiena.

"Perché sei amica sua?"

Non serve dire Max, per intendere Max.

Frances fa un verso, poco più di uno sbuffo.

"Che c'è, puoi averli solo tu, altri amici?" ribatte, tagliente.

Una ferita gli sboccia nel petto, e lui tiene lo sguardo dritto davanti a sé, pur di non guardarla. Rancore e vergogna gli montano dentro, mescolate ed indistinguibili.

"Fra tutte le persone al mondo, hai deciso di fare amicizia con la peggiore di tutte." La rimbecca, incrociando le braccia al petto e smettendo all'improvviso di avanzare. Gli viene una voca cattiva, mentre lo fa. Si è sempre cattivi quando si è feriti. "Credevo mi volessi bene."

Lei stringe i pugni fino a conficcarsi le unghie nella carne.

"Gli altri nemmeno riescono a guardarmi" dice, faticando a tenere la voce salda, impastata com'è dalla rabbia e dalla frustrazione. "Cosa credi, che non me ne sia accorta? Che non sappia cosa dicono di me?"

Il silenzio che le restituisce scava un buco nel suo petto.

"Li sento. Vi sento." incalza lei, fronteggiandolo. "E sento come quei riche mec dell'Accademia parlano di lui. Mi spiace dirtelo, essere brutale, ma certe volte sei proprio scemo, Charles. Io e lui siamo uguali. Non ci vuole nessuno, vi facciamo schifo. Quindi che fastidio ti dà, se siamo amici?"

Il cuore gli batte così forte che nemmeno sembra si muova più. Gli pulsa dappertutto, gli occlude la gola, lo fa soffocare. Ed è nel panico adesso, molto più di quando era appeso come un salame nel vuoto. Sta volta non c'è rete di sicurezza. Lui è in caduta libera e nessuno lo prenderà al volo.

"Non è vero, sei ingiusta." Si lamenta. Ti voglio bene, Fanny. Vorrebbe dire, ma suona troppo intimo, come un segreto. "Voglio il tuo bene, Fanny" bisbiglia, invece.

Lei digrigna i denti, feroce. È la brutta imitazione di un sorriso.

"Se vuoi il mio bene, il mio bene comprende anche Max. Se non ti piace, non so proprio cosa dirti."

Le lanterne iniziano ad accendersi, nella sera, come piccole lucciole, indicando la strada di casa.

Riprendono a camminare, a passo più spedito, questa volta. C'è di nuovo silenzio.

Quando arrivano ad un paio di metri dal furgone, Frances si gira per salutarlo. Ha la faccia triste, adesso, come non la vedeva da tanto, e Charles si odia un po' per averle tolto quella contentezza che la faceva brillare.

"Comunque, Charlot" aggiunge, ed è a malapena un sussurro che si perde nel vento. "Fossi in te non mi preoccuperei. Io perdo tutti, perderò anche Max. Resteremo soli io e te, alla fine. Fino alla fine dei tempi."


//Spazio autrice (buonanotte al secchio)

Stava andando tutto troppo bene, no? Questo capitolo ha visto più taglia e cuci di qualsiasi altro dall'inizio della storia ma sono estremamente soddisfatta del risultato finale.

Un passo alla volta, collezioniamo pezzi del puzzle. Alcuni sono più facili, pezzi di bordo, angoli magari: sappiamo immediatamente dove metterli. Per altri è diverso. Altri sono indizi apparentemente inutili che però ci serviranno per comporre il vero cuore di Twin Flames.

Famiglia, amore. Paure, follia.

Ancora una volta un evento che conoscevamo molto bene, visto in modo molto diverso. Un nuovo lato del rapporto di questi personaggi. Finalmente un confronto serio fra Frances e Charles.

Ho scritto initerrottamente per giorni, ed ora vi lascio un po' di tempo per arrovellarvi dietro a queste quasi 4000 parole. Voglio sapere al più presto cosa ne pensate. Leggete, votate, commentate se vi va. E grazie per il supporto e la pazienza, siete preziosi.

Fate bei sogni, mi raccomando.

Vostra per sempre,

T.

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