12| Max-Il presente
2021, MCO
Drowning in reverie, waiting for morning
Dim light, I'm drunk at the bar again
Holding a stranger's hand, a crowd with no facesAnd there you are, beautiful just like the first time
You reach out, I'm shaking again
A Max, per inciso, le feste nemmeno piacciono.
Anche se non lo fa mai di sua iniziativa e se la maggior parte delle volte trova scuse ridicole per svicolarsi, può assecondare la pressione sociale di fare qualche comparsata, di tanto in tanto, o sbronzarsi in un locale appollaiato su un divanetto, meglio ancora se appartato. Quello lo può fare, quello è da Max. Il resto –quello che fanno le persone normali per divertirsi-, quello no, non gli riesce.
Non ha mai capito davvero il perché, ma sono pochi i contesti in cui si sente più a disagio che in mezzo a centinaia di corpi che ballano e si strofinano gli uni sugli altri a ritmo di musica EDM. Non sa se sia il rumore, la calca, l'aria pesante o quell'insopportabile sensazione di non riuscire ad avere il controllo –non pienamente. L'unica cosa che sa è che l'ultima volta che è riuscito a farsi convincere ad andare ad uno di quei disgustosi party esclusivi sulle terrazze monegasche, non è finita bene.
È per quello che scuote la testa, quando saluta Frances, e le dice, a denti stretti: Mi dispiace, non credo. Sai come sono, non fa per me.
E non lo fa per posa, lo pensa davvero. Se vuole avere qualche speranza contro Lewis Hamilton, deve restare concentrato, non lasciare niente al caso ed una festa in un weekend di gara gli sembra il modo perfetto per mandare tutto a puttane. Razionalmente, sa che dovrebbe declinare l'invito. Restare a casa, bere qualcosa sulla veranda di casa sua con Kelly e andare a letto presto. Trattare questo Gran Premio come qualsiasi altro, come gli ha insegnato suo padre. Come ha sempre fatto, d'altronde.
È solo che, quando vede gli occhi stanchi di Frances incupirsi, non riesce a togliersi dalla testa il pensiero che lei possa essere dispiaciuta all'idea di non vederlo lì. E questa è una cosa che non è bravo a controllare.
Max Verstappen non è il tipo di persona che fa qualcosa solo per accontentare gli altri. Eppure, davanti allo specchio del bagno, mentre si sistema il colletto della camicia, si dice che ci sono poche cose contro i suoi principi che lui abbia mai fatto, e sono tutte colpa di Frances.
*
Arriva più o meno intorno a mezzanotte, in una nuvola di fumo caldo e speziato, e dopo la discussione che ha avuto con Kelly –Perché non me lo hai detto prima? Sarei venuta volentieri, lasciavo P da suo padre, sei sempre il solito ragazzino- il suo umore non è dei migliori.
C'è fastidio, insofferenza e una buona dose di senso di colpa latente che gli impasta la bocca e gli pungola il petto. È uscito da sì e no venti minuti ed è già pentito.
Niente di questo ha importanza, però, una volta che varca la soglia del locale, perché tutti i pianeti sembrano allinearsi e la prima persona che vede, fra tutti, è Frances. È solo uno stralcio –un brandello di lei- eppure è impossibile da confondere con chiunque altro. Porta un vestito argento fatto di frange che riflette luce tutto intorno, ed indossa il sorriso più vivace e folle del suo repertorio, quello che le accende gli occhi come fuochi d'artificio e per cui lui sarebbe pronto a vendere l'anima al diavolo.
La cosa migliore? Per quanto assurdo possa sembrare, nella foschia del locale, Max sa che è indiscutibilmente rivolto a lui. A lui solo. A lui e a nessun altro.
La sola idea gli mette addosso un'eccitazione palpitante.
Si riconoscono in una frazione di secondo, com'è sempre stato –come se fossero le uniche persone a colori in un locale gremito di gente grigia- e si corrono in contro, sgomitando per raggiungersi senza perdersi mai di vista, neppure per un istante.
"Hai cambiato idea" dice lei, facendo ondeggiare i capelli vaporosi a ritmo di musica, e non suona come una domanda. A Max è sempre piaciuto il modo che Frances ha di far sembrare ogni cosa che dice definitiva e inattaccabile.
"Quando mai non ti sorprendo?" gli sembra la cosa più intelligente da dire, e lei ride, buttando indietro la testa e coprendosi gli occhi con la mano. La sua pelle diafana sembra luccicare sotto le luci al neon e Max ci mette qualche istante a capire che sta ridendo di lui.
Frances è così, senza filtri. Lo fa sentire vulnerabile e vivo in modi inspiegabili.
Qualcuno alle sue spalle lo urta leggermente, e lui si sbilancia in avanti, facendosi pericolosamente vicino al viso di lei.
"C'è tanta gente" commenta, gesticolando per farsi comprendere anche con tutto il rumore in sottofondo. Lei scuote le spalle, smuovendo le frange del vestito. Sembra di un altro pianeta.
"È Monaco, Max"
Lui le fissa il collo, ipnotizzato.
"È casa" risponde, ma a voce troppo bassa perché lei possa sentirlo davvero.
Gli occhi di Frances si fanno improvvisamente tristi, ma dura così poco che per un attimo Max crede di averlo completamente immaginato.
Poi la mano di lei si chiude con uno scatto secco attorno al suo polso –come una morsa- e lui la guarda curioso e affascinato, in attesa della sua prossima mossa. Pensa: andiamo via, portami all'Odèon, guardiamo Monaco scintillare ai nostri piedi, come se fossimo ancora il Re e la Regina del mondo.
Non si stupisce neppure per un istante della fiducia completa che riesce a riporre nei confronti di Frances –di lei, che non ha mai fallito nel lasciarlo senza parole.
È allora che la ragazza lo trascina in mezzo alla pista, con suo sommo terrore. Le sue gambe la seguono senza fare domande, confidando ciecamente della memoria muscolare, ed il cuore prende a battergli frenetico nel petto. Sono così vicini che riesce a sentire l'odore del suo respiro –così vicini che se solo si sporgesse un po' di più le loro labbra si scontrerebbero e forse Max capirebbe cosa si prova a baciare qualcuno che si ama davvero, con l'intensità di un impulso elettrico.
È Fran a sporgersi per prima, piegandosi in avanti, e lui come un idiota chiude gli occhi. Chiude gli occhi, pensando che lei lo baci. È proprio un perdente. Un idiota completo.
La meta della bocca di Frances, però, non è la sua bocca, ma il suo orecchio, e la pista da ballo solo una tappa intermedia.
"Vado a prendere da bere, altrimenti non sopravvivo a questo schifo di festa" sussurra, ed il modo in cui le sue labbra gli sfiorano l'orecchio destro lo mandano al creatore.
Frances è magma e tempesta. Sfugge alle regole. È fatta delle stesse fiamme di cui il suo cuore brucia e che Max respira per vivere.
Gli ha tatuato il suo tocco addosso, e lui la guarda sparire in mezzo alla folla come si guarda sparire la linea della spiaggia quando ci si allontana dalla costa verso il mare aperto. Con la pelle ricoperta di brividi e il petto gonfio di attesa e desiderio e domande a cui non può e non vuole dare risposta.
Domande come: cosa significa questo? E cosa vorrei che significasse?
Max passa i successivi dieci minuti paralizzato al centro della pista, sotto le luci indaco e porpora, intento ad evitare accuratamente avances da chiunque gli si avvicini, ridicolmente ebbro alla sola idea di stringere a sé il corpo flessuoso e tonico di Fanny Roux, anche solo per un istante, come quella volta, quando aveva ancora solo diciassette anni e lei era bella, bella, bella in modo assurdo –neanche la metà di stasera.
È una palla di desiderio. Tutto gli fa male, nell'attesa di lei. Anche solo respirare.
Incontrare di nuovo il suo sguardo guardingo a distanza di sicurezza è una scarica di elettrica che lo fa barcollare. E Max non si è mai drogato in vita sua, ma pensa che dev'essere quella, la sensazione.
Sollievo istantaneo –come uno schiaffo che, anziché fare male, lenisce il dolore.
Poi, qualcos'altro attira la sua attenzione. La mano di lei –quella che non regge un bicchiere di vetro pieno fino all'orlo di un liquido torbido- allacciata ad un altro polso.
I suoi occhi risalgono dal polsino bianco della camicia fino ai bottoni e al colletto per sostare definitivamente sul viso dell'ultima persona che Max avrebbe voluto vedere.
La bocca gli si fa secca. Vede Frances muovere le labbra ma non riesce ad afferrare nessuna delle parole che lei sta dicendo. Si accorge solo del modo in cui le dita dell'altro sono corse ad intrecciarsi alle sue come seguendo una coreografia ben collaudata, e la sola vista di questo piccolo momento intimo gli fa stringere lo stomaco in una morsa.
I brividi che gli affiorano sulla pelle, adesso, sono pieni di sgomento.
Borbotta qualche scusa inconsistente e si allontana immediatamente.
Trova piuttosto patetico il fatto che non riesca a stare in presenza di Charles Leclerc quando c'è di mezzo Frances. Anche perché, al contrario che sulla pista, in questo campo è Max a non spuntarla mai.
Ad occhi chiusi, la musica rimbomba fra le pareti del locale e fra il suo cuore e la cassa toracica. I bassi palpitano nella sua gola, e poi giù, fin dentro al suo petto, caldi e crepitanti.
Max si sente frastornato, e barcolla fino a raggiungere il bancone del bar, a cui si aggrappa come se fosse una zattera vagante nel mezzo dell'oceano in tempesta. Sventola una mano davanti al viso del barista per richiamare la sua attenzione, mentre quello gli risponde con un cenno affermativo e afferra al volo la bottiglia che gli ha appena passato il suo collega.
Sente un dolore sordo, al petto.
È da quando è fuggito da Frances e Charles che beve, e non riesce a fermarsi. Non è una cosa che fa spesso, o quanto meno non è una cosa che fa quanto vorrebbe e quanto ne avrebbe bisogno. Soprattutto quando c'è un weekend così importante davanti a lui.
Stasera, però, il bisogno di lasciarsi andare ed annullarsi fino a perdere il contatto con la realtà è impossibile da ignorare, perché se si sofferma a pensare a certe cose è davvero finita.
Stupido stupido stupido Max, si è lasciato scappare l'unica vera occasione di averla ed ora è persa, persa per sempre. Avrebbe dovuto agire quando ne aveva ancora l'occasione. Cosa pensava? Dopo tutti questi anni? Non si tradisce Charles. Non si accantona Charles. Non si lascia Charles per uno così, uno che non ha un cazzo da offrire.
Uno che è vuoto dentro.
Bere gli è sembrata l'unica scelta possibile. L'unica quanto meno sopportabile.
Il fantasma del suo rivale sembra parlargli all'orecchio, suggerirgli nuovi modi di distruggersi e annegare le sue insicurezze e gli errori del passato. Nemmeno si rende conto che le ultime due volte ha chiesto whiskey al bar, al posto del suo solito gin tonic.
Dopo un po', per fortuna, smette di sentire male dappertutto. Smette di sentire qualsiasi cosa, per la verità.
Il tempo scorre in modo bizzarro. Le luci pulsano e suoni si fanno ovattati.
Il barman diventa antipatico, qualcuno gli parla in una lingua che non capisce.
"On ne peut pas le laisser ici, merde"
E tutto è forma.
Poi nemmeno più quello.
Poi è solo macchie di colore, e buio, e freddo.
E un braccio attorno alle sue spalle, e una mano sul fianco, e aria fresca sul viso, finalmente, e due dita in gola.
Qualcosa di caldo. Acqua di colonia.
Te lo avevo detto, Max, è stata una pessima, pessima idea.
Cazzo.
È la prima cosa che pensa, quando riapre gli occhi e la luce sferzante del primo mattino gli fa strizzare le palpebre e martellare il cervello. Ha tutta l'aria di essere un dopo sbornia epocale, e Max non sa se sarà in grado di rimettersi in piedi in tempo per le interviste.
Le lenzuola si appiccicano in modo fastidioso al petto nudo e nonostante sia maggio inoltrato appena le scosta per mettersi a sedere, la pelle gli si ricopre istantaneamente di brividi, tesa e arrossata.
Lui sospira, rassegnato.
Si copre gli occhi con i palmi delle mani e li preme, forte, sperando di attutire l'ondata di dolore e nausea che lo travolge, all'improvviso, non appena inizia a riprende coscienza di sé.
Flash della notte appena trascorsa si mescolano a ricordi lontani, dei quali non sarebbe pronto a giurare l'autenticità. Tutto, nella sua mente, è confuso e rimaneggiato. Nebuloso, incerto nel migliore dei casi.
Cerca di muoversi lentamente, per tenere a bada le vertigini. Come ogni mattina, scende dal letto dal lato destro, quello rivolto verso la finestra, puntellandosi con le mani, e per poco non sbatte la testa contro una lampada da giorno.
Una lampada che non è mai stata lì.
Max batte le palpebre, un paio di volte, ed è come svegliarsi da un sogno.
Ci ha messo un tempo ridicolmente lungo ad accorgersi che non è a casa sua.
Cazzo.
Questo sì che è un problema. Uno ben più grosso di un po' di mal di testa. Uno che non si risolve con un'aspirina, per lo meno.
Percepisce distintamente il bisogno di vomitare.
Anche se il dolore lancinante alla testa gli rende difficile concentrarsi, cerca di mettere in fila le idee e di ricostruire quello che potrebbe essere successo. Si rende conto con sgomento che non ricorda assolutamente niente.
Ci sono dei segnali abbastanza rassicuranti, però.
Il letto è disfatto da un solo lato, per iniziare. Ed il suo telefono è a faccia in giù sul comodino, accanto al portafoglio, spento. La vista della finestra dà sul mare e quanto meno è sicuro di trovarsi ancora nel Principato. Tutto il resto, invece –i muri bianchi, il grande armadio lucido con le porte scorrevoli, la tela con uno squarcio nel mezzo appesa sopra alla testata del letto-, è freddo ed estraneo.
Non c'è traccia dei suoi vestiti, ma le sue scarpe bianche sono allineate una affianco all'altra ai piedi del letto, e sulla poltroncina in pelle relegata nell'angolo più lontano della stanza, ci sono una maglietta chiara e un pantaloncino nero che non riconosce, piegati accuratamente.
Max si appoggia allo stipite con tutto il peso e pigia il viso di piatto contro il metallo fresco degli infissi. Sta provando a razionalizzare, ma il suo cervello si muove ancora troppo lentamente ed è come se non riuscisse ad afferrare fino in fondo il significato di tutto ciò che lo circonda.
Non sa che fine abbia fatto la sua camicia di seta da cinquecento euro ma, soprattutto, non ha idea di dove abbia passato la notte, né con chi.
L'orologio ancora al suo polso, tuttavia, gli ricorda che sono le sette e quaranta. È stato fuori tutta la notte, Kelly sarà così preoccupata. Kelly-
La sensazione di nausea si mescola a qualcos'altro e Max sente in fondo alla gola il sapore inconsueto delle lacrime. Schiaccia le domande che affiorano in un cassetto angusto della sua mente, e afferra la maglietta, infilandosela dal collo. Profuma di pulito. Mughetto, forse. E magnolia. È un odore che non gli appartiene, ma a differenza del resto non è del tutto sconosciuto.
Ma queste, si dice mentre si allaccia le scarpe, sono cose a cui non ha il tempo di pensare.
Allunga un braccio per recuperare telefono e portafogli, prima di uscire. Si volta giusto un attimo, il tempo che basta per essere sicuro di non aver lasciato altro alle sue spalle, e poi abbassa la maniglia.
Quando si immette nel corridoio stretto, succedono due cose e anche a distanza di anni Max non saprebbe dire quale delle sue si sia verificata prima né quale delle due abbia confermato il sospetto sollevato dall'altra.
Il fatto è che sul muro bianco e liscio, esattamente all'altezza dei suoi occhi, c'è una fotografia che Max conosce molto bene. È un po' sfocata, ma abbastanza luminosa e raffigura una premiazione di molti anni prima. Ci sono tre ragazzi nello splendore dei loro anni, uno per ogni gradino, con in mano una grossa medaglia rotonda. E nonostante il mal di testa epocale e la concitazione del momento, Max non fa fatica a riconoscerli, perché è uno di loro.
Una porta alla sua destra si scosta piano, aprendo un cono di luce sul corridoio e congelandolo sul posto, con la mano ancora a mezz'aria.
"Max?" dice qualcuno. "Max ti senti bene?"
In fondo non è colpa sua. In momenti come questo, è il suo istinto a prendere il sopravvento.
Combatti o fuggi.
Ha solo messo i piedi l'uno davanti all'altro, con un balzo, ed ha iniziato a correre a perdifiato, giù per le scale, per decine e decine di piani, fino a schizzare fuori come un proiettile dal numero 64 di Boulevard d'Italie.
Ha semplicemente corso, senza fermarsi a prendere fiato finché il Larvotto non è diventata un puntolino lontano alle sue spalle. Solo allora si è accasciato a bordo strada, rosso in viso, e ha iniziato a piangere.
//Spazio autrice (finalmente!)
Le ultime settimane della mia vita sono state una corsa contro il tempo. Nonostante avessi ogni minuti contato, nei rari momenti liberi, stavo lavorando a questo. Uno dei capitoli che aspettavo di più di scrivere, in assoluto.
C'è tanto di Max, qui. Finalmente.
E un po' mi ha fatto sorridere, scrivere queste parole alla luce del Campionato Piloti che il Max reale ha vinto, dieci giorni fa. Mi ha dato da pensare parecchio.
Ci sono anche diversi rimandi al passato e diverse domande lasciate aperte. Ad alcune potete già rispondere, se fate attenzione ai dettagli.
Oggi, più di ogni altro giorno, sono curiosa di sentire le vostre impressioni, i vostri feedback e le vostre teorie. Sono preziose per me, e per quello che verrà.
Grazie, davvero. Grazie per tutto il supporto. Leggete, votate, commentate se vi va. Ci sentiamo qui nei commenti o su instagram, dove mi trovate come @itstods_wattpad.
Buone feste.
Vostra sempre, T.
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