11| Max- Il presente
2021, MCO
Non esiste la notte, non esiste il giorno
E non è mai esistito niente al di fuori dello specchio
Di te stesso riflesso nel tuo stesso riflesso
Perché talvolta il mondo dentro la propria testa è talmente piccolo
Che guardando laggiù ti sei visto la schiena
E girandoti indietro ti sei voltato le spalleIl tuo amico, il tuo nemico, tu: la stessa persona
Il segreto per non impazzire, si dice Max, è compartimentalizzare.
Lo ha imparato tempo addietro, quando salire in macchina per lui equivaleva a tirare un respiro profondo dopo una lunga apnea, e i risultati delle gare suonavano definitivi come un'assoluzione o una condanna a morte. All'epoca era difficile –se non impossibile- non farsi influenzare da una sconfitta e mettere a tacere la rabbia che gli appannava la vista e lo corrodeva dall'interno.
Ogni errore era imperdonabile, ogni occasione persa una colpa da espiare.
Passava ore ed ore al simulatore e, la notte, ripercorreva nella sua mente ogni curva di ogni giro di ogni gara che aveva perso, fino all'esasperazione –fino alla nausea-, giungendo sempre alla stessa conclusione. Per quanto si sforzasse, era una battaglia persa: erano tutti contro di lui, ed il nemico numero uno era sé stesso.
L'incontentabile, il perfezionista, l'arrogante.
Adesso non se la cava poi così male, tutto sommato.
Eppure le cose sono state tutt'altro che facili, nell'ultimo periodo, a discapito di quanto aveva immaginato. Dopo la vittoria ad Imola, quando si è trovato ubriaco ad un solo punto di distanza dalla testa della classifica, ha dovuto buttare giù due scomodissimi secondi posti che hanno diluito il distacco da Lewis e lo hanno messo davanti alla dura realtà, quella che in Bahrein non aveva voluto sentire.
O s'inventa qualcosa di magico, o il mondiale è perso in partenza.
Uno come Lewis non si batte solo con il talento.
Solo qualche anno prima sarebbe stato impensabile per lui restarsene stravaccato sul divano di casa a giocare alla play ingollando bevande gassate come un ventitreenne qualunque, non con questa consapevolezza sulle spalle.
Avrebbe continuato a pensare alle strategie di merda della sua squadra, a come Lewis lo aveva sfilato a due giri dalla fine, sbadigliando sonoramente, alla dannata curva sette che non riusciva mai a fare in pieno, ai decimi persi, agli errori di esitazione, alle gomme finite, alle vittorie mancate. Rubate.
Non che ora non lo faccia.
Lo fa, ovviamente.
Ma almeno non è un'ossessione.
Almeno riesce a esistere, a dormire, a scopare.
A fare finta di essere una persona normale.
Da quando Kelly e Penelope sono venute a stare da lui ed il suo appartamento pulito e solitario si è popolato di peluche colorati, giacche di paillette, canzoni in portoghese e risate di bambini, è diventato pericoloso essere la versione più autentica e sincera di Max Verstappen. Per molte ragioni diverse, a dirla tutta, ma principalmente perché quello lì è veramente difficile da avere intorno.
Prima non gli era mai pesato, essere così. Ha imparato con gli anni a fare i conti con i propri spigoli, ad accettare e rispettare i confini dentro ai quali si sente comodo, in controllo. È sceso a patti con le sue dicotomie: il suo silenzio sterile, il suo bisogno di fare casino. Essere il più grande di tutti i tempi, essere completamente e inequivocabilmente invisibile.
Sa di vivere di contraddizioni, ma nessuno che avesse avuto un ruolo attivo nella sua vita –né la sua famiglia, né le sue prime ragazze, né Frances, né Daniel né tantomeno Charles, in un certo senso- si era mai aspettato niente di diverso da lui. Niente di diverso da Max.
È che Kelly è splendida, in ogni senso possibile, e lui sa che –almeno sulla carta- non è alla sua portata. E non solo per il fatto che è bella, ed elegante, e adulta ed incredibilmente risolta. Kelly si prende cura di lui, e lo supporta e con la sua tenerezza riesce ad addolcire anche i momenti peggiori. In pochissimi mesi è riuscita a dargli qualcosa che non aveva mai avuto –un posto in cui tornare, una casa che possa realmente essere chiamata tale. E Max-
Max non ha alcuna intenzione di perderla.
Perciò, compartimentalizza. Imbottiglia le ansie e le frustrazioni, una volta uscito dal circuito. Le chiude a chiave in un cassetto della mente che apre solo quando è lontano dalle persone che potrebbe ferire. Così, quando torna a casa, con la valigia al seguito e le occhiaie sul viso, riesce a sorridere e afferrare P al volo quando la bambina gli si attacca alle ginocchia, e baciare Kelly sulla bocca e addormentarsi la notte stringendosela al petto.
Probabilmente non è il modo più sano in assoluto di affrontare i suoi problemi, ma è sicuramente più sano che scolarsi una bottiglia di Whiskey costosissimo e vaneggiare nei fumi dell'alcol come qualcun altro di sua conoscenza.
Che non ha niente a che vedere con lui, per inciso. Continua a pensarlo.
A prescindere da quanto male gli farà alla fine, scindersi in due, tre, infiniti Max Verstappen è quello che lo manda avanti. Quello che gli permette di avere una giornata di merda in pista, e divertirsi con i suoi amici subito dopo. Quello che gli permette di vedere Frances in controluce sulla Promenade –sentire, nel petto, quella sensazione inequivocabile di appartenenza- e tornare a casa, dalla sua famiglia, senza avere la morte nel cuore.
*
Certe volte, gli manca il silenzio che c'era prima.
In momenti come questo, in mattine importanti come questa, ha nostalgia della sua vecchia routine. Delle imposte ancora chiuse, del buio totale e anestetizzante. Del suono chiaro e distinto dei suoi pensieri come unico sottofondo.
Si sente una persona orribile a pensarlo, perché il silenzio di prima –quello che tanto odiava e che adesso si ritrova a bramare- era il silenzio di una casa vuota, lo stendardo di una vita solitaria e ritirata, fatta di tutto quello che rimaneva una volta tolto il suo lavoro.
Molto poco, quasi niente.
Penelope gli schiocca un bacio sull'orecchio che gli rimbomba fino al cervello, ed è così che si sveglia il mattino del giovedì, fra lenzuola scostate e pennellate di luce abbagliante, come di un diorama. Se la tira sul petto, ancora assonnato, e la spia fra la folta corolla di ciglia chiare –le guance paffute, i capelli che si arricciano sulle spalle e attorno al viso, gli occhi chiari di sua madre- e pensa che un tempo anche lui è stato così. Anche Victoria, anche i suoi fratelli più piccoli. Sembrano passati cent'anni.
Kelly è da qualche parte, fra il soggiorno e la veranda, impegnata a fare cose di cui lui si cura raramente. Per quanto faccia finta di essere diventato un adulto, -con una casa, un lavoro, una famiglia- per certe cose è ancora un ragazzino. Un ragazzino ricco, per giunta. Uno di quelli che non si è mai sentito in dovere di curarsi di niente.
Come sempre, la sente arrivare a ondate. Il fruscio delle posate, in lontananza, prima. La voce colorata, poi. I passi tesi lungo il parquet. La testa che fa capolino dalla cornice della porta, poi i capelli che le piovono a cascata, accarezzandole le spalle.
"Meu Amor?"
Gli occhi chiari di Kelly sono pieni di tenerezza. La bocca dischiusa in un sorriso delicato.
È così bella che Max ha paura di consumarla. È per questo che si copre gli occhi, con il palmo della mano, per proteggerli dalla luce del sole che filtra dalle persiane –dalla luce di Kelly, che filtra da ogni parte di lei.
"Che ore sono?" domanda, allora.
Lei compare interamente, appoggiandosi allo stipite con il fianco e guardandolo di traverso, in controluce.
"Le otto. Ho mandato P a svegliarti." Risponde, e poi fa una vocina piccola, rivolgendosi alla figlia e battendo le mani l'una contro l'altra: "Muito boa, pequenina."
Max abbandona nuovamente la testa all'indietro, affondando nei cuscini, per un secondo appena, prima di darsi lo slancio e tirarsi su dal letto, portandosi dietro Penelope.
È la sua vita, la sua quotidianità. Un giorno come decine di altri giorni.
Mentre percorre il corridoio a piedi nudi, con la bambina in equilibrio sul braccio, riesce persino a non sentirsi in trappola. Riesce a bere mezzo bicchiere di centrifugato al lampone senza avere i conati di vomito, e a sorridere guardando la figlia della sua ragazza disegnare un sole con il pennarello giallo direttamente sul muro. Riesce a fare una battuta, a sorridere nella foto che lei gli scatta, alla finestra. A convincersi di desiderare questo e questo soltanto.
Come quello che ha sempre voluto essere.
Uno qualunque.
Il bacio che gli dà Kelly un'ora dopo, quando lui si butta lo zaino sulla spalla e fa per uscire dall'appartamento e dirigersi verso il paddock, con la promessa di vedersi lì prima di pranzo, fa implodere l'illusione e gli lascia addosso un senso di vuoto.
Più si allontana da casa sua, più è difficile per Max tenere a bada la cortina fumosa dei pensieri intrusivi. Dei cosa accadrà oggi e andrà bene e lei- lei ci sarà?
Come le peggiori domande che uno può porsi, hanno tutte una risposta implicita.
Durante le prove libere non succede mai nulla di davvero cruciale per il weekend. Il motore è veloce, e dopo qualche tentativo la macchina sarà bilanciata perfettamente per la qualifica del sabato. E Frances, Frances ci sarà. Per forza.
Per Charles, quanto meno.
Alla fine le sue previsioni non si rivelano del tutto vere.
È una sessione caotica e poco brillante, il suo compagno gli sta davanti e la Ferrari sembra –sorprendentemente- avere il passo giusto per portare a casa un risultato importante. Cosa ancora più sorprendente, viste le circostanze, Max ci mette un tempo incredibilmente lungo ad incrociare Frances.
Per poco non va a sbatterci contro, per l'esattezza, mentre lei cammina indemoniata attraverso il paddock con il cellulare incollato all'orecchio e l'aria di una che ha moltissima fretta. Il pass le dondola giù dal collo e contro al petto, e tiene le chiavi di casa strette nel pugno, come se fosse già pronta ad infilarle nella toppa.
"J'y vais tout de suite- ciao" dice brusca, in francese, e quando sono a pochissimi metri di distanza Max si sbraccia, per salutarla. Lo fa spontaneamente, senza pensarci, e un po' se ne vergogna, dopo.
Sulle prime si convince che lei neppure lo abbia visto, perché la sua prima reazione al suo gesto è abbassare immediatamente lo sguardo e interrompere la telefonata.
Quando alza di nuovo la testa, però, Frances fa un sorriso di scuse rivolto a lui e lui soltanto, e l'espressione accigliata che le incupisce il viso si distende.
"Max" dice, come se fosse la sua parola preferita al mondo, e per come arriccia il naso si vede che è davvero contenta di vederlo. Sono diverse settimane che non hanno alcun contatto. Frances è troppo sfuggente perché riescano a sentirsi con costanza quando sono lontani, e dopo il Portogallo è letteralmente svanita nel nulla. Non c'è stata serata o festa a cui lui non l'abbia cercata, ma di lei non c'era mai neanche l'ombra. Ha incrociato Charles, un paio di volte, ma non si è mai convinto ad andare a chiedergli qualcosa, nonostante la ritrovata confidenza di quella notte di qualche mese prima, in Bahrein.
A prescindere da quello che sente –o forse proprio per questo, in fondo- sa di non averne alcun diritto. Chiedere a Charles di Frances, implicare che lui-
"Ti ho visto, prima." Prosegue lei, riscuotendolo dai suoi pensieri. Poi fa un gesto con la mano a mezz'aria e si china lievemente in avanti con fare cospiratorio. "La vedo bene, se posso dire."
Lui deve fare una smorfia, perché Frances gli dà una pacca sul braccio, leggera, per prenderlo in giro.
"Non avrai iniziato a credere a quelle stronzate delle gufate, Max. La scaramanzia è per i perdenti."
Fa fatica a trattenere il sorriso.
"Hai ragione."
Frances si stringe le spalle, incassando la testa nella sua maglietta troppo larga, e per qualche strana ragione lui si fissa su due piccoli nei bruni che lei ha alla base del collo, vicino alla chiusura della catenina dorata che porta sempre al collo.
Il paddock è gremito di gente. Dopo la stagione passata, quasi gli fa strano vedere gli spalti e le terrazze di nuovo piene. Un po' gli dà le vertigini, il viavai per le strade, l'idea di essere costantemente sotto gli occhi di tutti, in tempo reale.
Qualcuno gli fa un cenno, per una fotografia, e lui alza il pollice, rimanendo in posa. Dura appena una manciata di secondi, ma è già più di quanto dovrebbe. Quando riabbassa lo sguardo, Frances è tornata seria.
"Adesso devi scusarmi, ma devo fare un salto a casa." Si spiega, guardandolo di sottecchi. Poi, a mo' di confidenza, aggiunge: "Charles è veramente pessimo, lascia roba in giro e nemmeno sa dove. Roba importante."
Al solo sentirlo nominare gli prende una brutta sensazione alla bocca dello stomaco.
"Non poteva mandare nessun altro?" dice, e sente le guance arrossire perché sa che è una domanda sciocca e che si sta mettendo in ridicolo, impuntandosi su una sciocchezza simile. Che non avrebbe alcun senso che un'altra persona andasse a casa loro a recuperare qualcosa di suo.
Si prenderebbe a schiaffi anche solo per aver aperto bocca, ma il bello di Frances è che lei Max –le sue paure irrazionali, la sua pedanteria, il suo bisogno costante di conferme velate- non lo ha mai giudicato.
"Sono dieci minuti a piedi, per di là"
Max guarda appena la strada alle spalle di lei allontanarsi dal cuore del circuito e serpeggiare verso il mare. Ed è una decisione che prende implicitamente, prima di valutare se sia fattibile o meno, come ogni volta che ci sono di mezzo loro. Che c'è di mezzo lei.
"Ti accompagno" si sente dire.
"Nessun briefing?" gli chiede lei, alzando un sopracciglio. "Ricomincerete fra poco"
Lui la guarda coi suoi occhi azzurri, spettrali.
"Sono dieci minuti a piedi, per di là. No?"
Max la aspetta in piedi, davanti alla vetrata, costringendosi a puntare gli occhi sull'esterno –sullo scorcio più bello del Principato di Monaco. Osserva il diramarsi delle vie, e le persone muoversi dalle spiagge e dal porticciolo per confluire nelle strade principali, verso il cuore pulsante della città. Il circuito. Il Gran Premio.
Cerca con tutto sé stesso di non concentrarsi sull'ambiente che lo circonda, così familiare eppure così estraneo al tempo stesso. Si stente un intruso, uno spettatore non richiesto della vita di qualcuno che credeva di conoscere bene, ma che aveva scoperto essergli, suo malgrado, totalmente sconosciuto.
La giacca di jeans di lei abbandonata casualmente sul tavolino, il telecomando della televisione incastrato nelle pieghe del divano, il pianoforte con lo sgabello ancora scostato, le chiavi della Ferrari di lui nello svuota tasche.
Quello che davvero lo lascia senza fiato, però, sono le mensole in legno scuro e lucido che ricoprono la parete di fronte alla porta d'ingresso, stipate di coppe e trofei e medaglie degli ultimi vent'anni. Alcune sono familiari –alcune le possiede anche lui, da qualche parte, a casa di suo padre- altre del tutto inedite.
La cosa che lo colpisce di più, fra tutte, è che non ci sia nessuna linea di demarcazione fra i trofei dell'uno e dell'altra. Il terzo posto di Silverstone 2019 siede accanto ad un premio oblungo con una targhetta adesiva applicata storta sulla base, e il trofeo di Austria 2020 è schiacciato in un angolo, in mezzo ad altre coppe, lucide e scintillanti. Non c'è modo di dire dove inizi Charles e dove finisca Frances, come se fossero, in fin dei conti, la stessa persona.
Lei non avrebbe potuto ferirlo di più neanche volendo.
Quando riemerge dalla stanza, di tutta fretta, con uno zaino di pelle in spalla e i capelli appiccicati sulla fronte, sembrano passate ore, ed invece non sono trascorsi che una manciata di minuti.
"Possiamo andare" gli fa sapere, attraversando l'ingresso e superandolo, per fermarsi appena prima della porta.
"Bella casa" commenta lui, freddo.
Frances fa un sorriso un po' mesto, prima di dargli le spalle.
"Certe volte faccio fatica a ricordarmi che è casa mia" dice, sincera.
A differenza dell'andata, il tragitto di ritorno è molto silenzioso. Max e Frances camminano con le braccia che si sfiorano, senza dirsi una parola, quasi non ce ne fosse neppure bisogno. Lui si domanda per tutto il tempo se lei non abbia inteso qualcosa dal suo comportamento, e gli si forma un nodo in gola impossibile da mandare giù.
Davanti all'ingresso del paddock, prima di separarsi, Frances lo afferra per un polso e con i polpastrelli gli sfiora il palmo della mano. Il mondo di Max diventa ovattato, quando lo fa. Lei gli dice grazie, grazie per avermi accompagnato. E poi: ci vieni, stasera, alla festa?
Lui piega la testa di lato, improvvisamente attento.
Alla festa?
"Quale festa?" chiede, aggrottando le sopracciglia.
Gli occhi di Frances luccicano di follia, anche nel sole che si abbassa appena, alle due del pomeriggio.
"L'unica che conti".
//Spazio autrice (come promesso)
Nonostante la giornata di oggi sia stata fra le peggiori dell'ultimo anno (e considerato tutte le cose orribili che mi sono successe sono sinceramente stupita di affermarlo), sono riuscita ad ultimare questo capitolo, scritto da zero, di cui sono personalmente molto soddisfatta.
È molto diverso dal progetto originale (inizialmente doveva essere solo una piccola parte di un capitolo molto più lungo) ma sono contenta di averlo gestito così, perché mi ha permesso di approfondire ulteriormente la psicologia di un personaggio che forse avevamo iniziato a lasciare un po' troppo sullo sfondo.
Max inizia a diventare brutalmente sincero: dove ci porterà questo? Aspetto teorie.
Come al solito vi ringrazio per il supporto costante e per i feedback, sono sempre preziosi! Per questo e molto altro mi trovate qui o su instagram (@itstods_wattpad). Senza di voi niente di questo sarebbe possibile (seriamente!).
Colgo l'occasione anche per ringraziarvi ancora per tutto il supporto dimostrato per Mad Max, ufficialmente vincitore dei Wattys 2021!
A prestissimo,
Vostra, T.
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