2010, ITA
So let me go
I don't wanna be your hero
I don't wanna be a big man
I just wanna fight like everyone else
La prima volta che Charles Leclerc incappa in Max Verstappen non ha ancora compiuto tredici anni, eppure non ha alcun dubbio che questa non sarà l'ultima volta che sentirà parlare di lui. Non sa esattamente perché, ma c'è qualcosa nel modo che l'altro ha di imporsi –fiero e sicuro, come se tutto gli fosse dovuto- che lo rende irrimediabilmente diverso da chiunque abbia mai conosciuto. Crudelmente memorabile.
Hanno solo dodici anni e corrono in circuiti disegnati da pile di vecchi pneumatici rovinati, nella periferia del nulla, in mezzo alle erbacce dei parcheggi per camper, eppure Max Verstappen guida come se stesse per vincere un campionato mondiale e tutta la sua vita dipendesse da questo.
Charles è ben lontano dall'avere tutto pianificato –Charles è sogni, paure, aspettative- ma per quanto si sforzi niente riesce a scrollargli di dosso la netta sensazione che questo ragazzino con i capelli pieni di gel, che sembra essere stato disegnato apposta per essere il suo negativo, sarà la sua personalissima spina nel fianco da qui fino all'ultimo dei suoi giorni.
Ripenserà spesso al loro primo incontro, negli anni a venire, benedicendosi e maledicendosi per il suo intuito infallibile. A discapito di tutto, lui più di chiunque altro ha sempre creduto in Max e nel fatto che potesse diventare leggenda. Che fosse solo questione di tempo.
Eppure c'è una cosa per cui non si dà pace.
Nei giorni peggiori, guardando il profilo sinuoso e ammaliante di Monaco dalla terrazza di casa sua, si chiede se non abbia davvero frainteso tutto. Se quelle che ad una prima impressione gli erano sembrate differenze inconciliabili non fossero in realtà inevitabili divergenze a valle di punti di contatto. Se lui e Max, in fin dei conti, non fossero stati creati per essere l'uno l'opposto dell'altro, ma la corrispettiva perfetta metà.
Riconduce tutto a quel pomeriggio assolato di aprile e cerca di autoconvincersi che non ha mai avuto davvero scelta. Si dice che, probabilmente, l'epilogo del loro rapporto era scritto già nelle prime battute che si sono scambiati. Che dovessero odiarsi, ferirsi a morte, prima di tutto.
Eppure ha avuto così tante occasioni per redimersi e tornare sui suoi passi, che nel profondo del suo cuore sa che per quanto possa scavare, non riuscirà mai a disseppellire scuse che tengano.
*
La prima gara della stagione porta con sé sensazioni contrastanti, che spaziano dalla pura adrenalina al timore per l'ignoto, e Charles si ritrova ad oscillare come un pendolo impazzito fra l'uno e l'altro opposto, senza sapere come fare a fermarsi.
Il fatto che le sue prime qualifiche in WSK non siano state all'altezza delle aspettative, teme, non ha migliorato la situazione nemmeno un po'.
Quella mattina ha vomitato l'anima sulla strada per il circuito sette laghi, si è perfino sporcato la maglietta nuova. Ha anche pianto. Nessuno si è azzardato a fare alcun commento a riguardo, ma lui avrebbe voluto scavare una fossa in cui seppellirsi per l'imbarazzo.
Per fortuna c'era Jules, con loro, sul furgone, che lo ha aiutato a ripulirsi e a risalire a bordo.
La cosa che Charles preferisce di Jules è che riesce a non farlo mai sentire sbagliato, qualsiasi cosa accada. Sa che i suoi genitori –e perfino quei fessi dei suoi fratelli- gli vogliono bene a prescindere dalle sue debolezze e che gliene vorrebbero anche se si ritirasse dalle corse, anche se corresse per semplice diletto e facesse schifo a farlo, ma con Jules- con Jules è diverso.
Innanzitutto perché Jules non è famiglia e non è tenuto a volergli bene ma, nonostante questo, gliene vuole. Tantissimo.
Per lui le debolezze di Charles –in fondo ha solo dodici anni, per la miseria- sono punti di forza. E non importa se è ansioso prima di una gara importante, perché una volta abbassata la visiera del casco tutte le sue paure spariranno e schiaccerà l'acceleratore fino in fondo e combatterà per la testa del gruppo fino all'ultimo secondo disponibile. Perché Jules crede in lui e nei suoi sogni. Sa che può realizzarli.
Lo testimonia il fatto che in uno dei pochissimi weekend liberi che gli sono rimasti, fra un viaggio intercontinentale e l'altro, anziché rilassarsi con Enzo ed i suoi amici, sia saltato sul van insieme a suo padre per vederlo girare in quel merdosissimo circuito dimenticato da Dio, come se fosse la sola cosa importante al mondo.
Ed è rassicurante, per certi versi, sapere che anche quando i suoi genitori non ci saranno più, avrà per sempre accanto una persona che nutre una tale fiducia nei suoi confronti. Una persona pronta a sostenerlo e a riafferrarlo ogni qualvolta dovesse cadere. A rimetterlo in piedi, a dirgli Charlot per come lo conosco io, non è uno che si arrende.
Non saprebbe come farne a meno.
Charles aiuta suo padre a spostare il kart sul cavalletto, dopo.
I giri di ricognizione sono stati fatti e tutti sono immersi nei preparativi finali in vista della gara imminente. È un fermento chiassoso, fatto di rumori metallici e voci concitate e colpi assestati e rimbombanti –dove accidenti è la pinza a becco, Albert? e Guarda nel furgone, Adan! - che si mescolano in lingue diverse fino a perdere di senso e creare un sottofondo vivace ed indistinto.
Con la mano fa girare le ruote lisce e lucide un paio di volte, mentre aspetta che Hervé ritorni con gli ultimi componenti da fissare, ed osserva il movimento che fanno come ipnotizzato. Sa che è una cosa sciocca da fare –che il suo kart non è un giocattolo e che ci sono tanti soldi investiti in tutto l'armamentario- ma non riesce a fermarsi, ed ogni volta che le ruote rallentano lui dà loro una piccola spinta, così, per non farle smettere di girare. Poi se ne sta lì e le guarda muoversi così veloce da sembrare ferme.
Il bullone dell'anteriore sinistra, però, è lento, e lo pneumatico si sfila di colpo, prima che lui possa afferrarlo, e rotola giù dal supporto e lungo la strada battuta, seguendo la pendenza.
Jules lo ammonisce, sorpreso, ma non è mai severo quando lo fa. Forse è per quello che Charles si sente così in colpa ad averne combinata un'altra delle sue.
Tre furgoni più avanti, l'unica ragazza del gruppo, con la tuta allacciata in vita e i capelli tirati indietro in una coda bassa, guarda suo nonno accigliata e seria, con una ruga di espressione che le taglia in due la fronte. È ai suoi piedi che si ferma la ruota vagante –nerissima e lucente, fuori posto rispetto a tutto quello che circonda il kart dei Roux. Rattoppato, sbiadito e strausato.
Lo sguardo che Charles rivolge a Frances è pieno di imbarazzo. Dovrebbe essere felice di competere in questa categoria, di essersi ricongiunto finalmente alla sua migliore amica e di poter condividere di nuovo con lei i momenti concitati dei weekend di gara. Ha pensato per tutto l'inverno alla prima della stagione, a cosa avrebbe fatto per dimostrarle che era migliorato tanto, a come l'avrebbe stupita con un sorpasso azzardato al primo giro.
Tutto quello che sta facendo, invece, è coprirsi di ridicolo rincorrendo uno pneumatico mal fissato, come uno stupido principiante.
Questo non depone certamente a suo favore.
Il sorriso che Frances gli rivolge, però, è sincero. Le illumina gli occhi e le fa risaltare ancora di più il velo di lentiggini sulle guance.
"Hai perso qualcosa, Charlot?" gli grida, chinandosi per recuperare lo pneumatico, accasciato sul fianco, a mezzo metro da lei. Pa' Roux si tira la cintura un po' più stretta e dà un doppio giro ai bulloni delle ruote montate sul suo kart, per sicurezza. "O devo considerarlo un regalo?"
"Scusa" mormora Charles, di rimando, arrossendo violentemente fino alla punta delle orecchie e allungando le braccia verso di lei.
Frances stringe gli occhi e si picchietta l'indice contro il mento, fingendo di rifletterci su. Nei dieci secondi di silenzio assoluto, in cui gli occhi di tutti gli altri ragazzini e meccanici posizionati nelle vicinanze sono su di lui, Charles si dice che è più o meno fra le dieci cose peggiori che potessero succedergli in tutta la vita.
Specie perché Frances –guardinga, selvatica, impulsiva- gli va in contro brandendo lo pneumatico come uno scudo e non si ferma finché lui non sente la forma rotonda della ruota premergli contro il petto e fra loro non ci sono che quindici centimetri.
È più alta di lui, più grande di lui, senza dubbio più forte di lui.
Nello sguardo lei c'è qualcosa di ferino, calcolatore, come se con gli occhi riuscisse a scandagliare tutti i suoi punti deboli, e Charles si chiede quando sia successo che la sua amica d'infanzia sia diventata così adulta, tutt'un tratto.
Nemmeno si accorge di star trattenendo il fiato.
"Ti prendo in giro" conclude Frances, arricciando le labbra e scoprendo i denti. Certe volte sembra che riesca davvero a leggergli nella mente. Poi, dopo un istante, aggiunge: "Il ne suffira pas. Non basteranno gomme nuove a impedirti di mangiare la mia polvere, Charlot." Vorrebbe essere una minaccia, ma il tono che usa è dolce, e cantilenante, e sembra di nuovo quello di una bambina.
Lei molla la presa all'improvviso, ma questa volta i suoi riflessi sono pronti, e Charles non si fa sfuggire niente dalle mani. L'adrenalina gli fa pompare il sangue più veloce.
"Ci vediamo alla partenza" dice, voltandosi. Ti farò vedere, pensa.
Ed è sovrappensiero, certo. Irrimediabilmente.
Gli scontri con Frances gli rendono sempre impossibile rimanere concentrato su qualsiasi altra cosa.
Mentre cammina in direzione del suo furgone, dove Jules lo aspetta con le braccia conserte e un sorriso divertito spalmato sulla faccia, Charles urta qualcosa con la spalla, e per poco non si lascia sfuggire di nuovo la ruota dalle mani.
"Occhio a dove metti i piedi, imbranato"
Ci mette un po' a registrare quello che ha sentito, ma capisce immediatamente che non si tratta di nulla di buono.
Avendo corso più che altro in Francia, l'inglese per lui è ancora una lingua difficile da padroneggiare. Certo, segue lezioni private ogni martedì e giovedì alle 11, ma non è ancora abituato al modo in cui le frasi si costruiscono e si involvono, al suono aspro delle parole, soprattutto quando provengono da una voce sconosciuta e particolarmente ostile. Le intenzioni, però, sembrano piuttosto chiare.
Il ragazzo che ha parlato deve avere grossomodo la sua età –non più un bambino ma non ancora un ragazzo, non esattamente. Ha il viso rotondo e arrossato, l'apparecchio luccicante e i capelli biondo scuro tagliati a spazzola, cortissimi.
Quando si volta verso di lui, ancora interdetto, nota che lo sta guardando con gli occhi pieni di irritazione e fastidio e qualcos'altro che non riesce ad identificare, sul momento.
"Che c'è, sei sordo? Hai battuto la testa?"
Charles si allontana i capelli lunghi dalla fronte con una scrollata del capo. Tiene il labbro inferiore fra i denti, affondato fino alla carne.
"Cosa vuoi?" balbetta, arretrando.
L'altro lo incalza, facendo un passo in avanti e gonfiando il petto, dicendo: "Che ti togli dalle scatole, sei sempre in mezzo ai piedi."
Ha una strana inflessione, una parlata strascicata e nervosa resa ancora più incomprensibile dal lieve biascichio causato dall'apparecchio.
È in quel momento che Charles unisce tutti i puntini e riconosce il ragazzino che lo sta fronteggiando, con le guance gonfie e purpuree e le labbra piegate in una linea dritta e severa.
È olandese. Il suo nome gli sfugge.
Uno bravo, a quanto pare.
Il giorno prima ha fatto segnare un tempo fenomenale e partirà dalla prima fila. Ricorda improvvisamente l'espressione piccata di Frances davanti al tabellone dei risultati, quando si è resa conto per la prima volta di non essere stata la più veloce. Gli balena nella mente un'immagine rapida e sfocata del piccolo pilota accompagnato da un uomo tarchiato con le sopracciglia ispide, che ha visto più volte nei parcheggi e sulla pista, quel weekend.
"È una gara." Risponde Charles, incerto. "È quello il punto, no?"
Non gli piace il modo che l'altro ha di guardarlo, come se fosse un insetto, piccolo e fastidioso, da schiacciare.
"Non quando fai schifo" gli risponde, freddo. Le parole che usa sono affilate, sanno ferirlo nel punto in cui fa più male. "Quando fai schifo fai come ieri, ti levi di mezzo e basta"
Mentre lo dice, lo afferra per la tuta e Charles deve premersi lo pneumatico contro il petto per cercare di frenare il suo battito impazzito e, soprattutto, per trattenere il pianto. Durante le prove, il giorno prima, ha commesso un errore ed il suo kart è finito fuori pista. Nonostante suo padre abbia provato in ogni modo a convincerlo del fatto che errori del genere a questi livelli siano comuni e normalissimi, Charles ha passato tutta la notte a rimuginarci su.
Se non sai stare in pista, non meriti di vincere nessuna gara.
Se manchi il punto di frenata, non hai alcuna possibilità di vincere alcun campionato.
Non sarai mai come Jules.
"Stai piangendo?" lo schernisce il ragazzo, e sembra faccia fatica a trattenere il sorriso. È un po' più alto di lui, e deve tirarlo leggermente verso l'alto perché i loro occhi si trovino alla stessa altezza. "Mijn hemel"
Charles sente le guance umide e, in un istante, decide che lo odia.
Vorrebbe dire qualcosa –fare qualcosa- ma qualcun altro lo precede.
"Ehi? Faccia di merda?" dice una voce, alle sue spalle. È così improvviso che perfino l'altro è colto in fallo, ed è costretto a mollare la presa sulla sua tuta, facendogli perdere l'equilibrio e traballare all'indietro.
Prima di rimettersi in piedi, Charles batte le palpebre un paio di volte, col fiato sospeso. Molte emozioni si avvicendano sul viso del ragazzo biondo in successione –sorpresa, confusione, scherno.
"Ti fai difendere da una femmina, sei proprio uno sfigato" commenta, a voce bassa. Lui arrossisce, punto nel vivo ed ancora una volta è solo quello che è. Un ragazzino.
I passi di Frances sono pesanti, sul selciato, alzano nuvole di polvere turbinose e crepitanti come tamburi di guerra. Ha gli occhi fiammeggianti, stretti in due fessure, e la fronte aggrottata. Conoscendola, questo significa solo una cosa. Guai.
"Lascialo in pace" esige, sbrigativa, e Charles si fa da parte, d'istinto, così che i due adesso si fronteggiano a poche decine di centimetri di distanza. L'altro sembra disinvolto e quasi divertito dalla situazione, come se qualcuno avesse fatto una battuta e solo lui fosse riuscito a capirla.
"Altrimenti?"
Frances non ha alcuna voglia di scherzare.
"Altrimenti ti spacco la faccia" dichiara, e la sua voce è così gelida da far accapponare la pelle. Charles la guarda con la coda dell'occhio –il busto sporto in avanti, i muscoli del collo in tensione, la vela pulsante al lato della fronte.
Il ragazzo ridacchia, ed è un grosso errore. È come buttare benzina sul fuoco.
"Non ce la faresti" rincara la dose, ed il giudizio degli altri è ciò di cui Frances si nutre. Dimostrare che si sbagliano, ciò che la rende davvero lei.
"Fanny, ti prego, lascia perdere."
Charles si sente in dovere di blandirla, di fermare la situazione prima che degeneri, prima che-
Lei lo scrolla via, sorda al suo appello.
Ed è vero che questa ragazzina asciutta e nervosa si getterebbe in pasto ai lupi, per lui, in memoria di quella stupida alleanza che avevano stretto quel giorno di molti anni prima, quando erano diventati amici, ma è vero anche che le provocazioni dell'altro stanno stuzzicando una belva molto più pericolosa. Lei e il suo brutto carattere. Lei ed il suo essere indomabile.
"Mi stai sfidando?"
Il momento che precede l'impatto del pugno chiuso di Frances Roux contro la faccia del pilota olandese, è dilatato nel tempo come le immagini dei cartoni che Charles guarda sul Canale 4 a casa di sua nonna, il giovedì e il venerdì.
Il colpo è sordo, vagamente scricchiolante.
La bocca di Charles si spalanca, ma è l'altro ragazzo a gridare, più per lo sgomento che per il dolore, coprendosi il viso con entrambe le mani, come a nascondersi.
Frances scioglie il pugno e sventola la mano arrossata, con la pelle spaccata sulle nocche che urla battaglia. Da lei, invece, non viene fuori nemmeno un suono.
Gli sguardi allarmati di tutti sono fissati sull'insolito trio, al centro della piazza. Si è creato un capannello, da cui fanno capolino genitori preoccupati e adolescenti curiosi. C'è perfino Pa' Roux, con il cappello calcato sui capelli bianchi e un'espressione enigmatica dipinta sul viso.
Quando il ragazzino biondo allontana le mani dal volto, Charles trattiene il fiato. Un filo rosso scarlatto gli scivola muto dal sopracciglio, seguendo il profilo del naso e poi lungo il labbro, fermandosi proprio sopra un piccolo neo che glielo decora. Ma non è quello a sconvolgerlo, quanto l'espressione che ha, il lampo vivo e pulsante nei suoi occhi azzurri. Genuino stupore.
No, –qualcosa di più. Ammirazione.
Le dita di Charles si aggrappano alla tuta di Frances, all'altezza del braccio, quasi a volerla schermire, ed è un gesto inutile dopo quanto è successo, ma lei non le scaccia via. Anzi, appoggia la mano ruvida e affusolata sulla sua, in un contatto fugace e stranamente intimo, che viene interrotto dopo poco da una voce sconosciuta, che chiama un nome ancora più sconosciuto.
"MAX?!"
L'uomo che si fa strada a spintoni per raggiungerli al centro dello stradone è alto appena una quindicina di centimetri più di Frances, porta i capelli tirati indietro col gel e ha la faccia contratta in una smorfia dura.
Il ragazzino biondo, adesso, non ha più nessuna voglia di ridere.
Bianco in volto, si strofina frettolosamente il palmo della mano sulla faccia cercando di nascondere il rivolo di sangue, ma il suo goffo tentativo non fa che peggiorare la situazione, e inzuppargli il polsino della tuta chiara.
"Avete visto tutti?" sbraita l'uomo, afferrando suo figlio per la collottola e puntando un dito accusatorio contro il petto di Frances. "Andrò personalmente ad informare i commissari di gara."
Charles sente la ragazza irrigidirsi e percepisce distintamente il bisogno di vomitare.
Lo sguardo di Max si è spento, puntato per terra. Sembra un giocattolo senza batterie.
Un'altra voce si solleva, nel silenzio. Appartiene ad un uomo sulla cinquantina, con un folto paio di baffi e gli occhiali dalla montatura spessa, che porta un jeans scolorito e una camicia aperta sul petto.
"Abbiamo visto, Jos" dice, strofinandosi le mani sporche di olio su un fazzoletto. "Ma abbiamo visto pure tuo figlio importunare quel ragazzino" aggiunge, indicandolo. "Quindi andiamoci, dai commissari. Ma diciamogli tutto."
Se uno sguardo potesse davvero uccidere, quell'uomo sarebbe morto seduta stante.
Quando Charles è sul gradino più alto del podio, due ore dopo, con una ghirlanda enorme attorno al collo e una coppa oblunga fra le mani, niente riesce a togliergli dalla testa l'idea che non sarebbe mai successo se Max Verstappen e Frances Roux non fossero stati squalificati, quel giorno.
Entrambi per colpa sua, in un certo senso.
Ed il solo pensiero è sufficiente ad azionare il meccanismo oscuro sepolto all'interno del suo cuore, in profondità, e nutre la voce che gli ricorda, giorno dopo giorno, che non merita i suoi successi e che è sempre più lontano dall'essere la persona che vorrebbe diventare.
Ma forse, si dice, non è tanto quello ad allargare il buco nero e pulsante al centro del suo petto, quanto la vista perfetta che ha, dall'alto, di due ragazzini che chiacchierano, con le ginocchia che si sfiorano, ai margini della pista. Una ha i capelli lunghi, l'altro un sopracciglio rattoppato.
Orrore, confusione, tradimento.
Questa volta nemmeno il sorriso orgoglioso di Jules riesce a sanare la ferita sanguinante sotto gli strati della giacca.
//Spazio autrice (comeback definitivo)
Buonasera a tutte, eccomi di nuovo fra voi. Il progetto di TF era stato in standby troppo a lungo, quindi ho dovuto farmi perdonare con un capitolo dalla lunghezza spropositata.
Non mi dilungherò come al solito perché penso parli da sé. Finalmente sappiamo qualcosa di più di Charles, Max e Frances, alle origini. Un piccolo tassello ha trovato il suo posto.
Altri, arriveranno presto.
Scrivete, commentate, votate se vi va. Mi trovate sempre su @itstods_wattpad, su IG.
Grazie mille per essere ancora qui con me e assecondare i deliri di questa pazza.
Vostra sempre,
T.
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