UN LIBRO APERTO parte 2

La inviai subito e ne scrissi un'altra.

Mamma, è tutto ok. Sono ancora viva e in salute. Aspettavo che succedesse qualcosa perché qui è tutto tranquillo, non sapevo cosa scriverti. La scuola va ma è noiosa. Ho trovato qualche amica simpatica con cui pranziamo insieme. Quanto alla camicetta, sei la solita squinternata. E'in lavanderia e dovevi prenderla venerdì.

Charlie è forte. Mi ha comprato un pick-up. Pensa, è carinissimo anche se vecchio e poi è solido, cosa che non può che farmi bene. Mi manchi anche tu e ti scriverò presto ma ti devi ricordare che non sono attaccata alla posta come una cozza allo scoglio, perciò rilassati e fai un bel respiro. Ti voglio bene.

Bella.

Sbrigati quei doveri, mi dedicai ad una lettura. Una cosina da niente, solo 400 paginette di Cime Tempestose su cui erano basate le lezioni d'inglese. Quando Charlie tornò a casa, avevo ancora il libro tra le mani. Non mi ero accorta del suo arrivo e così andai a corsa in cucina per togliere le patate dal forno e per cuocere la bistecca. Mentre così facevo, Charlie sobbalzò.

-Bella?-domandò incerto.

E chi cazzo poteva essere, tontolone?...oh, metti giù la pistola, amico! –Ciao papà, bentornato.-

Charlie mise a posto la fondina con la pistola e si tolse gli stivali mentre io mi davo alla cucina. –Oh. Grazie- borbottò...ed io tirai un sospiro di sollievo. La sua pistola non aveva mai sparato un colpo in servizio ma mi faceva impressione averla in casa. Charlie la teneva carica anche in casa, tranne quando ero ospite durante le vacanze forzate a Forks. Lo faceva sempre, o perché pensava che fossi troppo demente da spararmi per sbaglio, o che fossi troppo disperata da ammazzarmi di proposito...o tutti e due. –Che c'è per cena?- domandò, guardando allarmato verso la cucina.

Sapevo a cosa stava pensando.

Mia madre Renée era un tipo artistico. Le cose tradizionali non erano adatte al suo estro. Lo dimostrava la sua spericolata esperienza matrimoniale ed il suo lavoro. Una cosa molto bella, da alcuni punti di vista. Da altri, invece, era vagamente discutibile. Avrei preferito qualcosa di tradizionale...soprattutto per la cucina. Invece nulla. Renée era tristemente nota per la sua allergia alle ricette tradizionali e per la propensione a fare esperimenti non sempre commestibili. Mi sorprese e rattristò sapere che Charlie si ricordasse di quel particolare...anche se i piatti della mamma erano così cattivi da essere indimenticabili.

-Bistecca e patate- risposi e lui sembrò rilassarsi, illuminandosi d'immenso. Se ne rimase come un baccalà in cucina, non sapendo cosa fare e quale fosse il suo ruolo in quell'ambiente della casa, mentre io lavoravo come una colf in nero per creare un piatto commestibile. Vedendo che non lo filavo di striscio, si ritirò a testa china in salotto, facendo un casino infernale, per raggiungere il divano. Quando quella naturale divisione dei compiti (io lavoro-tu cazzeggi) ebbe termine, mi sentii davvero a mio agio.

Non appena la cena fu pronta, lo richiamai in cucina. Charlie fece il suo ingresso e, con un filo di selvatica diffidenza annusò l'aria. Il profumo di bistecca lo stordì per qualche momento e, posso giurarlo, mi sembrò di vedergli della bava colargli dalla bocca. Una volta ricollegate le sinapsi, mi ringraziò goffamente e, ognuno in religioso silenzio, iniziò a mangiare la cena. Charlie non mi ammorbò con chiacchiere inutili ed io feci altrettanto. Sembravamo una coppia sposata da ere geologiche, tanto eravamo in sintonia con questo amore per il silenzio...ma, come si suol dire, anche queste cose belle ebbero termine.

Avvenne al secondo giro di patate, quando avevamo ormai riempito un quarto del serbatoio che era il nostro stomaco. – Allora, come è andata la scuola? Ti sei fatta qualche amica?- chiese, dopo aver ingurgitato una porzione abbondante di carne.

-Frequento un po'di lezioni assieme ad una ragazza di nome Jessica. A pranzo mangio con lei. Poi c'è un ragazzo di nome Mike, molto gentile. Tutti sono molto carini con me.- dissi, cercando di essere diplomatica. Avevo infatti omesso il rosso schizzato ma mi resi conto, con un filo di orrore, che l'apprezzamento involontario verso Mike poteva essere fonte di malintesi. Grossi malintesi.

-Deve essere Mike Newton. Un bravo ragazzo, buona famiglia. Suo padre è il proprietario di un negozio di articoli sportivi che sta fuori città. Guadagnano grazie alla gente che viene a fare trekking da queste parti.- disse. Quel ritratto rassicurante mi inquietò. E'risaputo che un genitore vuole il meglio per il proprio figlio e che quando fa i complimenti ad un perfetto estraneo raramente lo fa in modo disinteressato. L'ultima cosa che desideravo era diventare la futura signora Newton e fu così che decisi di correre rapidamente in ritirata. –Conosci i Cullen?- domandai, un po'esitante.

Charlie si bloccò. –La famiglia del dottor Cullen? Certo. Cullen è un grand'uomo.-

Deglutii. –Loro...i figli...sono un pochettino strani. Non sembrano inseriti a scuola.- dissi. Era un linguaggio diplomatico che significava Se non fossero belli e ricchi da fare schifo, passerebbero i loro lieti giorni di liceo con la testa infilata nel cesso.

Charlie ebbe una reazione strana. Si incazzò. – La gente di questa città.- borbottò. – Il dottor Cullen potrebbe tranquillamente lavorare a occhi bendati in qualsiasi ospedale del mondo e guadagnare dieci volte più di quanto farebbe in questo posto. Starebbe in un superospedale superattrezzato e invece è venuto qui. E'una risorsa per la nostra comunità ed i suoi figli sono tutti gentili ed educati. Paga pure le tasse! Io pure avevo dei dubbi quando sono venuti qui. Tutti giovani e con quattro figli adottati...mi ero già visto in prima pagina nella Cronaca dell'Allegra Quercia. Come diceva mio zio, Quattro adolescenti arrapati possono fare zum zum in tre secondi, e rimanere incinti prima che tu possa bestemmiare per bene... e invece nulla! Mai una multa, mai un eccesso di alcol o uno spinello...non mi hanno mai fatto girare i coglioni nemmeno in sogno. Non posso dire lo stesso di molti bravi pargoli di Forks che vivono qui da generazioni. E poi sono uniti. Mangiano insieme. Vivono insieme. Pagano le tasse in anticipo e fanno la raccolta differenziata, come ogni famiglia dovrebbe fare. Il fine settimana vanno pure in campeggio...LA GENTE DEVE ROMPERE I COGLIONI A QUELLI CHE SONO GLI ULTIMI ARRIVATI PERCHE' NON HANNO UN CAVOLO DA FARE!-

Quel panegirico del dottor Cullen mi traumatizzò ma vedendo l'espressione spiritata del mio genitore decisi di omettere le impressioni sul figlio del suddetto medico che non collimavano proprio con questa immagine idilliaca. Se una studentessa del corso avanzato si scontra con una pistola d'ordinanza, la studentessa è una donna morta. Era poi il discorso più lungo che Charlie avesse mai fatto e considerando quanto gli Swan siano seccati dalle chiacchiere, era chiaro quanto i pettegolezzi dei forkiani sul dottore gli facessero girare le palle in senso orario e antiorario. Decisi di correre ai ripari.

-A me sembravano carini. Ho solo notato che stanno in disparte ma sono tutti attraenti.- dissi, con un bel discorso paraculo e sincera come una banconota di Paperopoli. Non dissi quanto mi fosse sembrato stronzo il Cullen che ho avuto il piacere di vedere a pochi cm di distanza né quanto le occhiate omicide che mi aveva rivolto avessero causato al mio corpo curiosi effetti d'incontinenza. La tattica funzionò perché lo sceriffo assunse subito un'aria meno bellicosa.

-Dovresti vedere il dottore- rispose Charlie ridendo – Per fortuna è sposato. Quando passa per l'ospedale, le infermiere fanno una fatica incredibile a fare il loro lavoro e i pazienti fanno gli scongiuri se sono in cura con queste.-

A quella rivelazione pettegola, rimanemmo nuovamente zitti e finimmo di cenare. Charlie sparecchiò ed io lavai i piatti. Ovviamente non c'era la lavastoviglie. Non serviva a Charlie, tornato improvvisamente single...e chi paga? Io, ovviamente. Una volta concluso il mio lavoro di casalinga disperata, salii al piano di sopra e feci i compiti di matematica. Qualcosa mi diceva che quella dinamica da bradipo sarebbe stata la futura routine dei prossimi anni. Che schifo pensai mentre mi addormentavo sfinita.

I giorni successivi furono il trionfo della linearità. Andò tutto liscio. Mi abituai ai ritmi campagnoli delle lezioni. Il venerdì riuscivo addirittura a riconoscere i visi campestri di tutti gli studenti e quasi tutti i nomi. Non era difficile. Erano quasi sempre gli stessi. Anche i miei compagni iniziarono a conoscermi. Avevano infatti capito la mia pericolosità letale nelle attività sportive e, in modo molto cavalleresco, si paravano davanti a me in un baleno se gli avversari mi attaccavano, sfruttando la mia inettitudine sportiva. Ero ancora una figa...eppure qualcosa mi diceva che lo facevano anche per proteggere le vite del resto della classe. Una palla vagante è un pericolo, posso confermarlo. Io molto misericordiosamente mi facevo da parte, lasciando che i loro corpi si depositassero a terra, come dei caduti sul campo per proteggere il punteggio della squadra.

In tutto questo quadro idilliaco, solo una cosa andò storta.

Edward Cullen non tornò a scuola...ed io mi trasformai. In una stalker. Ogni giorno osservavo con ansia i fratelli del suddetto, facendo ricorso ai dieci decimi di vista in mio possesso, tutte le volte che andavamo in mensa. Vedendo che l'obiettivo E.C. (salute!) era assente, mi rilassavo e potevo così dedicarmi all'ascolto passivo di Jessica & Co. Nulla di particolare. Era come vedere una telenovelas ma bastava un attimo di distrazione e la scena cambiava...come in quel momento. Il tema della discussione era una gita al parco marino di La Push che Mike voleva organizzare da lì a due settimane. Pareva parecchio su di giri e non avrei saputo spiegare se la gioia di quel momento fosse dovuto all'escursione o al fatto che tutti, per farla, avrebbero dovuto comprare qualcosa al negozio dei suoi. Mi avevano invitato ed io, rincoglionita dall'assenza del mio persecutore sexy e represso, avevo finito per accettare, per inerzia più che per reale voglia. La mia scarsa coordinazione scoraggiava ogni possibile fantasia che riguardasse l'allegra corsetta all'aria aperta. Per lo meno, le spiagge sono calde e asciutte.

Lieta e felice di quella quiete, mi avviavi a biologia. Dopo aver appurato che E. C. (salute!) era irreperibile, potevo tranquillamente annoiarmi a lezione senza timore alcuno. In fondo, cosa caspiterina me ne poteva importare? Poteva anche aver lasciato la scuola, per quel che ne sapevo. Oppure poteva essere stato rapito dalle cheerleader di qualche scuola delle città vicine. Stavo divinamente...o almeno cercavo di convincermene. Qualcosa mi diceva che la sua improvvisa latitanza fosse dovuta alla mia persona, malgrado la figaggine del soggetto rendesse illogica una simile spiegazione.

Era come se il grizzly avesse paura del salmone, ecco.

Comunque, malgrado il patema latente, il fine settimana passò in modo tranquillo e sereno. Charlie, fedele alla sua bigia vita da scapolo, lavorava anche sabato e domenica. Qualcuno lo avrebbe definito un maniaco del lavoro, se la vita criminale a Forks non fosse stata da encefalogramma piatto.

Da brava castellana del maniero Swan, mi occupai delle faccende di casa e della diplomazia estera, ovvero della stesura di mail sdolcinate rivolte alla mia paraonoica genitrice...e, ovviamente, studiai. Il sabato feci ricognizione nella biblioteca di Forks ma la penuria di libri mi scoraggiò dal fare la tessera. Così, non potendo vivere senza libri, decisi di prendermi un giorno per andare personalmente a rapinare qualche innocente negozio di volumi in una città più grande, come Seattle o Olympia. Quel disegno idilliaco, tuttavia, aveva una sola pecca: il maggiolino tamarro in mio possesso avrebbe retto il viaggio? E, soprattutto, quanta benzina avrebbe trincato per essere in condizione di andare da Forks alla destinazione X e viceversa? Mi rifiutai di pensare a quanto le mie finanze si sarebbero alleggerite e alla gioia feroce del benzinaio. Tremai, figurandomi la sua risata satanica alla notizia del costo della benzina.

Sabato e domenica venne giù una pioggerella e silenziosa che mi fece dormire tranquillamente.

Era tutto –quasi- meraviglioso.

Lunedì tutti i forkiani mi salutavano ed io, come una regina collaudata, dispensavo sorrisi e saluti, anche se non ricordavo una beneamata cippa dei loro nomi. Era un po'più freddo dei giorni precedenti ma nulla di grave. Bastava che non piovesse. Durante la lezione d'inglese, Mike parcheggiò accanto a me e non si schiodò mai da lì, come una pezza attaccata alle chiappe. Il professore ci fece una carognata dandoci un compito a sorpresa di letteratura inglese ma si trattava di un questionario su Cime Tempestose, di cui conoscevo sillabe e punti e virgola. Una cosa facilissima, tanto da permettermi di fargli mentalmente un dito medio, in saluto alla perfidia del prof. Potevano inventarsi tutto...ma io ero una studentessa del corso avanzato di una città come Phoenix e quindi quei compitini di campagna mi facevano una beneamata xxxx.

Era tutto meraviglioso, più di quanto avrei mai potuto sognare. Se avessi avuto anche una schiera di maschi ammiratori, pronti a venerarmi come una dea, avrei raggiunto l'apice dei sensi.

Quando uscimmo dall'aula, tuttavia, qualcosa era cambiato. Nell'aria volteggiava qualcosa di bianco ed urla e schiamazzi allegri allietavano quello strano evento. Il vento, freddissimo, mi frustava viso e naso, lasciandomi inebetita.

-Ehi- gridò Mike giulivo –nevica-.

Immobile fissavo quei dolci batuffoli bianchi che, tramite traiettorie imprevedibili, si depositavano al suolo. –Oh- mormorai aristocraticamente. Ecco cosa occorreva per mandare in vacca la mia bella giornata. La neve.

Di fronte al mio entusiasmo funereo, Mike mi guardò. – Non ti piace la neve?-sputò fuori sorpreso.

-No. Significa che è troppo freddo per piovere.- risposi, acida come uno yogurt scaduto. –Poi pensavo che venisse giù a fiocchi più piccoli...ognuno diverso dall'altro e tutte quelle cose che si sentono dire. Questi non sono fiocchi. Sono palle di cotone.- dissi, un po'farneticando e cercando di darmi un tono.

Purtroppo il freddo aveva attivato le sinapsi del biondo campestre che, di tutto il mio discorso, aveva capito solo una cosa. Quella che meno volevo che si sapesse in giro–Non hai mai visto la neve?- domandò incredulo, toccando con precisione chirurgica i nervi della figura di cacca che stavo facendo.

-Certo che sì- risposi- in televisione.-

Mike rise...ed io lo cancellai mentalmente dalla lista delle persone simpatiche. Non ebbe però il tempo di continuare perché fu centrato da un proiettile di neve grosso e viscido che lo colpì alla nuca. Ci voltammo per vedere da dove venisse...ma del cecchino, manco l'ombra...tranne il fatto che Eric si stava allontanando in modo sospetto in direzione opposta rispetto all'aula dove sarebbe dovuto andare. Mike la pensò alla stessa maniera perché iniziò a creare un nuovo proiettile di neve, tenendo lo sguardo verso di lui. Paventando la futura guerra, decisi di filarmela. – Ci vediamo a pranzo, ok? Io mi rifugio al chiuso, quando qualcuno inizia a tirare roba umida.- dissi, mentre me la svignavo.

Mike non mi cacò di striscio, ormai in modalità cecchino e con lo sguardo fisso verso Eric.

La neve occupò il gossip dell'intera giornata. Pare che fosse la prima nevicata dell'anno e tutti erano impegnati in progetti vari e astrusi. Io stavo zitta, rifiutandomi di esternare il mio dissenso. La neve era un po'meglio della pioggia...finché non ti si scioglieva nelle calze.

Raggiungere la mensa dopo la lezione di spagnolo fu una faticaccia e anche se ero insieme a Jessica, mio scudo umano a sua insaputa, ero comunque guardinga. Le palle volavano come se fossero delle mosche e dubitavo che la cartellina che portavo mi avrebbe protetto a sufficienza. Jessica pensava che stessi esagerando ma la mia espressione omicida la dissuase da ogni proposito di colpirmi con una palla di neve.

Mike ci raggiunse all'entrata, sorridente come un fanciullo e con le punte dei capelli ghiacciate. Pareva un soldato tornato dal fronte. Mentre eravamo in fila per prendere i viveri, lui e Jessica discussero animatamente della battaglia che si era tenuta nel cortile. In quel sottofondo, mi presi la briga di guardare al solito tavolo all'angolo...e quasi trasecolai.

I Cullen erano di nuovo cinque come le guerriere Sailor.

Quella rivelazione mi lasciò di cacca, tanto che Jessica mi tirò per un braccio, con la stessa forza di uno scaricatore di porto. –Pronto, Bella? Tu cosa prendi?- mi chiese.

Fissavo il pavimento mentre le orecchie avevano raggiunto la temperatura di un trillione di gradi. Non avevo ragione di essere preoccupata. A parte qualche fantasia zozza, non avevo commesso alcun crimine...e comunque chi mai avrebbe potuto saperlo?

-Cos'ha Bella?-domandò Mike a Jessica.

-Niente- squittii- Oggi prendo soltanto una soda.- E li raggiunsi in fondo alla fila.

Jessica mi fissò. –Non hai fame?-chiese, squadrandomi con occhio clinico.

-A dir la verità, non mi sento molto bene.- risposi, chinando virginalmente la testa e atteggiandomi con un'espressione dolente, corredata da sguardo basso. Aspettai che prendessero il pranzo e, sempre interessata alle punte dei miei piedi, li seguii fino al tavolo. Lo stomaco non apprezzò la mia scelta di vita e per tutto il pranzo protestò vivamente, brontolando peggio di una suocera, malgrado i miei tentativi di zittirlo sorseggiando lentamente la lattina. Avevo una fame maledetta ma ero preda di mille pensieri e paturnie e, come ogni adolescente complessata, sfogai i miei patemi sul corpo, spingendolo ad un digiuno forzato, come quegli eremiti nel deserto. Finii per far preoccupare inutilmente Mike che, per ben due volte mi chiese come stessi. Colpa mia. Avevo finto di stare male ed ora dovevo tenermi la recita. Mentre gli rispondevo che non era niente di grave, iniziai a chiedermi se era meglio dare spago alla cosa, esiliandomi in infermeria per l'ora successiva. Poi però rischiavo di passare per un'appestata. Anche se mi stavo integrando, chi poteva dire che i forkiani non avrebbero finito per fantasticarci sopra? Chi poteva dire che Jessica non ci avrebbe macinato, diffondendo ogni genere di pettegolezzo disgustoso sul mio conto? Mi detti subito della stupida. Quella fuga non aveva senso...mi cadde l'occhio sul tavolo dei Cullen. Se mi lancia uno sguardo anche solo lontanamente omicida, non metto piede all'ora di biologia mi promisi, in piena coerenza con i miei precedenti propositi.

A capo basso, sbirciai con la coda dell'occhio. Nessuno dei Cullen mi guardava. Prendendo un po'di coraggio, alzai un po'la testa, come un timido fiore.

I cinque ridevano. Edward, Jasper ed Emmett avevano i capelli pieni di neve. Alice e Rosalie cercavano invece di scansarsi dal più grosso dei Cullen che, alla stessa maniera di un grosso San Bernardo si scrollava la neve di dosso davanti a loro. Un documentarista, vedendoli, avrebbe detto che stavano passando la giornata come chiunque altro studente...peccato però che i cinque, anche così combinati, parevano usciti da una film. E sti cazzi! fu il mio spontaneo pensiero...tuttavia, quando l'invidia passò, mi resi conto che vi era qualcosa di strano. Cogitai a lungo, senza trovare una soluzione. Poi, da brava studentessa del corso avanzato, dedussi che non potevo trovare una risposta analizzando il caso nel suo insieme ma dovevo dedurre una risposta generale da un caso particolare...e, casualmente, presi come cavia Edward Cullen. Analiticamente, era lievemente meno pallido e aveva meno occhiaie. Le ipotesi furono due. Il colorito lievemente roseo era dovuto ad una reazione fisiologica del freddo sulla pelle.

L'aria riposata, invece, era merito del lungo periodo di sega che si era concesso dopo avermi minacciato di morte con lo sguardo. Aveva senso. Chiunque, dopo aver bigiato a scuola per giorni, torna riposato...eppure non ero persuasa. Quei ragionamenti avevano una pecca...ma quale?

-Bella, cosa stai guardando?-domandò Jessica, rompendo le mie cogitazioni filosofiche e tentando, a suo dire, di capire chi stavo spogliando con lo sguardo. In quel preciso istante, gli occhi di Edward mi fulminarono con lo sguardo. Di colpo, chinai la testa tra le mani, lasciando che i capelli mi calassero nel viso. In quell'istante, tuttavia, ebbi l'impressione che la sua espressione non fosse quella da vergine represso, dura o sprezzante, come l'ultima volta.

Sembrava solo curioso...e pure un po'frustrato, come un vergine represso.

Ennesimo aggiornamento-lumaca di questa parodia di Twilight. Spero di finire il secondo capitolo alla svelta. Mancano alcune pagine e poi è fatta. Intanto ringrazio chi ha letto finora. La storia non è betata e mi riprometto di correggere una volta finito tutto. Ringrazio tutti coloro che mi hanno letto finora.

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