Penultima parte di A prima vista...forse
Jessica, almeno così si chiamava la tizia con i capelli impossibili ridacchiò per qualche momento, in un modo simile a quello di una gattamorta che ha ingoiato una lisca di pesce e sta per esalare l'ultimo respiro. Immagino, col senno di poi, che sapesse benissimo quale fosse la causa della mia reazione ma si prese tutto il tempo del mondo per:
· Fissarmi come un idiota.
· Aggrottare la fronte in una posa riflessiva.
· Girarsi nella direzione dove erano paralizzati i miei muscoli facciali.
· Assumere un'espressione estatica.
· Perdere l'espressione estatica e passare a quella corrucciata.
· Scuotere il capo.
Mentre faceva tutte queste mosse, il bronzino rimase perfettamente immobile, tranne per una cosa. Puntò gli occhi verso Jessica, come uno che aspetta il momento buono per svignarsela ma non vuole mostrare all'altro la sua fifa blu. Mi sembrò che avesse alzato gli occhi al cielo, come se si aspettasse una reazione del genere ma non saprei dire perché per quanto fichissimo era una vera sfinge. Finito questo momento romantico, Jessica fece una risatina e, insieme a me, si beò dell'aura di figaggine che quel banco emanava da ogni poro. Guardò anche me ma quando lo fece sembrò uno stitico in attesa della tanta sospirata defecazione. Parola mia, non ho mai visto nessuno fare un'espressione simile per guardarmi. – Sono Edward ed Emmett Cullen, insieme a Rosalie e Jasper Hale. La tipa che si è alzata è invece Alice Cullen – disse, prima di abbassare la voce al livello degli infrasuoni e guardarmi con aria da cospiratrice – vivono tutti insieme al dottor Cullen e sua moglie.-
Mentre diceva queste cose il bronzino sexy che avevo scoperto chiamarsi Edward mangiava lentamente una ciambella, spezzandola in bocconi con le lunghe dita affusolate. Lo faceva ad una velocità di lumaca in un modo che mi ricordava me quando ancora mangiavo i piatti di Renée. Uno schifo, se permettete il termine.
Se le mani andavano al rallentatore, la bocca si muoveva ad una velocità assurda e le labbra si aprivano appena. Non mi pareva che gli piacesse ma era molto meglio degli altri tre che non avevano toccato nulla e, da bravi spreconi, guardavano altrove, anche se mi sembrava che stessero parlando piano tra loro. Come quando ti metti a commentare bastardamente le qualità di un esimio sconosciuto, secondo quanto dice il manuale del perfetto stronzo.
Insomma, cosa avevano da tirarsela, dico io? Voi direte il look, l'aspetto illegale...e invece no. Anche quelle sottospecie di divinità avevano le loro colpe, signori miei: i nomi. Quei cinque avevano dei nomi strani, poco diffusi. Nomi da nonni. Certo, io avrei poco da tirarmela. Le mie nonne, dopo che hanno saputo che Renée era rimasta incinta di me, hanno sputato zolfo e fiamme, pretendendo che io fossi chiamata con il loro nome. Nonna Marie, la mamma di Charlie e Nonna Isabella, la madre di Renée, hanno fatto una guerra infinita per la supremazia onomastica della loro futura erede, forse subodorando il rischio, giustissimo, che io sarei stata l'unica nipote che avrebbero mai avuto. Per evitare spargimenti di sangue, i miei genitori hanno messo i nomi di entrambe alla mia persona. Non senza ulteriori guerre perché per alcuni mesi si discusse sulla precedenza. Dovevo chiamarmi Isabella Marie o Marie Isabella? Non so quali furono i termini dell'armistizio finale ma io ho rimediato molti sfottò per questo nome doppio. Sono ricordi che segnano.
Comunque dovevo essere elastica. Magari a loro era andata meglio. Qui a Forks è tutto all'antica, rallentato, da cittadina di provincia...poi però andavo pensando che Jessica era un nome comunissimo anche a Phoenix. In classe mia ce ne erano due ed era sempre un casino chiamare quella giusta. Erano Jessica Passera e Jessica Fringuelli...inutile dire le prese in giro per il cognome. Per distinguerle, la professoressa le chiamava con il cognome e loro non rispondevano. Lo facevano solo per nome...in simultanea. Insomma, era un casino.
A parte questo, però, quei Cullen erano un bello spettacolo. La salivazione si azzerò e le mie ovaie iniziarono a fare il triplo salto mortale indietro carpiato. Per un momento, l'idea di avere una bottarella con loro non mi parve tanto orribile –Però...-dissi, deglutendo a fatica- sono...carini.- dissi, giusto per darmi un tono.
Jessica fece un'altra risatina. –Sì! Però stanno assieme.- disse.
-Ci credo. Abitano nella stessa casa.- risposi.
-No, non insieme. Insieme- sibilò unendo le dita della mano.
-Ho capito. Vivono con il dottore e sua moglie nella stessa casa. Insieme, appunto. Non possono mica stare in una casa diversa ciascuno. Guarda, a me piacerebbe moltissimo vivere da sola ma sai...- cominciai a farla ragionare ma Jessica scuoteva il capo in segno di palese disapprovazione..
-No! Non è questo quello che intendevo. Loro vivono insieme e stanno insieme. Rosalie e Emmett. Jasper e Alice. Insieme.- disse, dopo aver fatto un gesto volgare che finalmente mi rivelò la verità. Sprofondai nella vergogna più marrone. Oddio, e ora come faccio a non passare per una povera sfigata senza speranza? fu tutto quello che riuscii a pensare ma Jessica era tutta presa dalla sua crociata puritana contro i facili costumi dei giovani che non si accorse del mio scivolone perciò, anche questa volta, riuscii a gabbarla. Certo, se le parrucchiere di Phoenix avessero sentito una notizia del genere, si sarebbero posate su di essa come mosche sul letame. Io ero troppo tarda per questo ma poco contava. Tanto ero la prima straniera che vedevano da secoli...potevo starci larga anche con le figuracce. Dovevo approfittarne, più che potevo. Morte tua vita mia, come si suol dire. –Quali sono i Cullen?-chiesi improvvisamente curiosa–Non mi sembrano parenti.-
Jessica stroncò tutte le possibili letture incestuose della cosa. –Oh no no. Il dottor Cullen è molto giovane. Va sulla trentina, forse qualcosa meno. Li ha adottati tutti. Gli Hale però sono davvero fratello e sorella, quei due biondi. Sono gemelli. Il dottore li ha presi in affidamento.-
Mi grattai la testa...e mi partì subito la fantasia zozza. –Sono un po'grandi per essere dati in affidamento no?- dissi.
-Fino a pochi mesi fa. Jasper e Rosalie hanno ora diciotto anni però continuano a vivere con la signora Cullen da quando ne avevano otto. Mi pare che sia una zia o una roba simile. –spiegò la Novella 2000 di Forks.
Io feci un po' i conti. Mi chiesi quanti anni avesse la signora ma poi pensai che era brutto fare una domanda simile. Insomma, come dicono gli Swan, bisogna farsi i cazzi propri sempre, sempre a prescindere. Mi pareva strano che il dottore adottasse gli Hale quando avevano 8 anni. O era un finto giovane o, insomma...che costume era questo? Li aveva adottati quando andava alle medie? Poi però il mantra degli Swan "Fatti i cazzi tuoi" ritornò alla mente e liquidai quelle che pensai che fossero solo fesserie. –Una bella cosa...prendersi cura di tutti quei ragazzi, anche se sono giovani e tutto il resto.- dissi, con innocenza.
Jessica però sembrava pensarla diversamente. –Sì, ok, mi sembra ovvio- disse con l'entusiasmo che avevo io a fare matematica. Mi parve di capire che i Cullen non gli piacevano...e visto come passava ai raggi x con gli occhi i loro figli, pareva rosicare di brutto. –Io penso che la signora Cullen non possa avere bambini- fece Jessica, storcendo la bocca. E pensai che dovevo lasciar perdere. Era inutile. Avere davanti tanta grazia e poterci fare solo fantasie sconce rendeva la gente parecchio stronza...ed io dovevo allontanarmi. Io ero di Phoenix, non di Forks, e che diamine. Avevo una mia dignità.
Comunque i Cullen non si accorsero di nulla perché non ci cacarono di striscio. Facevano la stessa cosa da almeno un'ora: continuavano a guardare il muro senza mangiare niente e io iniziai a farmi altre domande, prima di risentire il mantra degli Swan "Fatti i cazzi tuoi!" rimbombare nel mio cervello.
-Hanno sempre abitato a Forks?-chiesi. Un gruppo così bello non poteva passare inosservato. Non me li ricordavo.
Jessica scuoteva il capo in segno di palese disapprovazione. –No- rispose fissandomi come una decerebrata per la mia infelice uscita – Si sono trasferiti un paio di anni fa, vengono da un qualche paesino dell'Alaska.-
Quel tono da perfetta stronza scatenò in me curiose e vili sensazioni di compassione e sollievo.
Compassione perché quel quintetto di dei scesi in terra, per quanto sexy, viveva come degli emarginati, sottoposti ad occhiate malevole di ogni tipo. Davvero, fa male sapere una cosa simile. E'innaturale, capite? Fin dagli albori dell'umanità, l'essere fico vive in una condizione di perfetta integrazione. Egli è il motore del mondo studentesco, scintilla di nuove mode e mandante supremo delle persecuzioni nei confronti di chi è uno sfigato senza appello. Per tutti questi evidenti motivi vedere quei tipi trattati con lo stesso amore che un bullo ha nei confronti del presidente del club di scacchi era fortemente disturbante.
Sollievo perché, almeno per questa volta, mi trovavo dall'altra parte di quella barricata . Finalmente ero io dalla parte giusta. Forks confermava la mia impressione iniziale. Era una tenera accozzaglia di gentili bifolchi, un universo parallelo dove regnava la pace e la serenità, dove i nerd ossuti mazziavano palestrati a suon di algoritmi di fisica. Un paradiso, un universo parallelo dove i sogni proibiti diventavano realtà. Sapevo di non essere poi tutta questa magia e mi convinsi, grazie a questo deprimente pensiero, che nessuno mi avrebbe tampinato. I bifolchi che si erano messi ad attaccare bottone erano solo un lontano ricordo.
Mentre mi beavo di questi infimi pensieri, il più giovane, il bronzino, alzò il capo e incrociò lo sguardo con il mio. Non era la prima volta che lo faceva ma fino a questo momento la destinataria di questi duelli oculari era stata Jessica. Ora ero io. Io. Io, Isabella Marie Swan. A differenza di quello che era successo alla mia sedicente amica, però, il rosso mi guardava con curiosità...in un modo che mi fece quasi sperare bene, salvo poi farmi ritornare con i piedi per terra. Sì, non mi rivoltava come un calzino come la cara gente di Forks. I miei occhi se la dettero a gambe e quando lo fissai di nuovo vidi che ci era rimasto male. Anche io, se è per questo. Avrei barattato qualsiasi cosa per avere uno sguardo da parte sua. Magari strappamutande, se proprio volevo alzare il tiro.
E invece niente. Il massimo che potevo ottenere erano occhiate affrante, come se volesse toccarmi con un dito ma non osasse farlo. Ma guarda, se ti fai avanti, mica mi tiro indietro eh! avrei voluto dirgli per rassicurarlo.
-Chi è quello con i capelli rossicci?- mi sentii dire, ancora non saprei dire per quale ragione.
Jessica storse la bocca. –Si chiama Edward. E'uno schianto assoluto ma lascia perdere perché lì non si batte chiodo. Non esce con nessuna...e quando dico nessuna, dico nessuna. Pare che non ci siano ragazze abbastanza carine per lui- disse, con un vago disprezzo.
Hai capito la bacchettona? avrei voluto dire. Chiacchiera, chiacchiera, Jessica avrebbe voluto farsi un giro, magari due o tre, con il suddetto rosso...ma da quelle parti c'era solo calma piatta. Era come la favola della volpe e l'uva. Jessica doveva sicuramente essersi fatta avanti ma i risultati erano stati un disastro, a giudicare dalle sue risposte acide. Mi immaginai il due di picche. Lui, bellissimo e perfetto. Lei con quella colonna di capelli tremolante per l'emozione...e niente, quasi scoppiai a riderle in faccia.
Mi girai verso il rosso. Edward aveva gli occhi rivolti altrove ma le guance gli tremavano leggermente, come se stesse facendo uno sforzo erculeo per non sganasciarsi in modo poco sexy e figo.
Pochi minuti dopo lui e i suoi fratelli si alzarono dal tavolo, con un movimento così armonico da fare invidia ad una squadra di nuoto sincronizzato. Tutti e quattro si muovevano con grazia ed eleganza...persino l'armadio dai ricci neri. Quella perfezione mi turbava. Era assolutamente assurdo...ma forse parte del disturbo era dovuta al fatto che Edward, mentre si allontanava, non mi rivolse nemmeno un briciolino di occhiata.
Era ufficiale. L'epidemia della sindrome della volpe e dell'uva aveva colpito pure me.
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