Capitolo diciotto
La domenica sera, la clinica era più vuota che mai. Harper fissava la strada sottostante dalla finestra, lo sguardo completamente perso nel vuoto, quando Giacomo entrò nella stanza.
Era rimasta sconvolta dalla reazione dell'amica e aveva tutta la sua comprensione.
— Harper? — la chiamò dolcemente.
Lei si volse indietro, aggrottando la fronte. — Sì?
— Sei pronta? — chiese gentile.
Lei annuì grave. Aveva indossato uno degli abiti che aveva portato con sé, un abito color viola melanzana, con sopra una giacca blu prussia.
Si prese del tempo per osservarla meglio. La pelle di Harper era più pallida del consueto, persino i suoi occhi, nonostante fossero arrossati dalle lacrime, sembravano emanare una luce diversa, più fredda e sinistra, e davvero inquietante.
Stava arrivando al culmine della trasformazione, osservò. Eppure, perché non era per nulla lieto?
Era come se una parte di lui si rifiutasse, persino temesse, che lei potesse diventare un vampiro e perdere la sua umanità.
— Sì, andiamo — rispose Harper alla sua domanda.
Quando uscirono dalla stanza e scesero le scale, avviandosi verso la grande porta a vetri dell'entrata, il portiere consegnò le chiavi del motoscafo, ormeggiato al porto di S. Zaccaria, e una carta nautica con le istruzioni per raggiungere l'isolotto.
La gioia della loro vittoria nel contest della maschera era stato oscurato dai recenti avvenimenti, ma Giacomo sperava di distrarre Harper e farla tornare a sorridere come prima.
Per tutta la durata del tragitto dalla clinica al molo, infatti, lei non pronunciò nemmeno una singola parola. Quando si fermarono davanti all'imbarcazione, gli chiese: — Giacomo, ma sai come guidarlo?
Quella domanda lo portò a ridere a crepapelle. — Secondo te?
Harper sospirò spazientita. — Lo sai guidare o no?
L'aiutò a salire a bordo mentre continuava a ridacchiare. — Certo, sono un veneziano! E so anche condurre una barca a vela, oltre che la gondola e la canoa. Ah, dimenticavo: so anche surfare all'occorrenza...
— Va bene, ho capito! — bofonchiò lei, alzando lo sguardo al cielo. — Quanto sei odioso.
— Non vedo perché dovrei nascondere le mie capacità.
— Di certo, ignori il significato della parola "modestia", fattelo dire...
— E tu non dovresti nasconderti, cara — la rimproverò bonario. — Sei una di quel tipo di persone in grado di fare tutto da sola. Non credere che non lo abbia intuito.
Un'espressione malinconica comparve sul viso della giovane. Ma Harper non disse nulla, chinò il capo e si andò a sedere sul sedile del motoscafo in silenzio, con in mano la guida e la mappa.
Lui sorrise. Poi sciolse la cima e mise in moto lo scafo, dirigendosi verso il mare aperto.
Nel mentre superarono l'isola della Giudecca, intanto che distaccavano una quarantina di vaporetti, motoscafi, gondole e puntavano verso la loro meta finale.
— Sulla guida porta che è soprannominata l'Isola del Peccato — affermò lei perplessa.
Giacomo sghignazzò. — Be', un tempo c'era un convento di suore dalla dubbia moralità...
Harper sollevò il volto di scatto, strabuzzando gli occhi. — Prego?
— Diciamo che quando i pescatori tornavano a casa, dopo essere passati casualmente per l'isola di Sant'Angelo del Peccato, erano tutti contenti e appagati.
Lei era sempre più incredula. — Mi stai prendendo in giro?
— No — ribatté divertito. — La cosa però sfuggì di mano: nel millecinquecento le autorità veneziane, assillati dalle proteste delle mogli dei pescatori, mandarono delle truppe per cacciare le suore dal convento. Infine, le sorelle furono portate nell'isola di Giudecca, così da essere più vicine alla città. — Manovrò i comandi, riducendo di poco la velocità di crociera. — Poi l'isola fu convertita in un deposito d'armi: c'è ancora quel che resta della struttura di un tempo, dove era custodita la polvere da sparo, anche se ora è molto pericolante.
— In ogni isolotto c'è sempre qualcosa di pericolante — osservò lei con disappunto. — Possibile che le vostre autorità lascino andare tutto in malora? La laguna, Venezia, le sue isole... sembrano il paradiso!
— Tranquilla, se dovesse caderti qualcosa sulla testa, ci sono io a curarti e a impedire che ciò accada.
Lei sbuffò, scettica.
Giacomo sorrise. — Dubiti della mia parola, Harper?
— Con ogni probabilità, sei tu l'unico pericolo da cui dovrei guardarmi adesso.
— Su questo punto, ti do ragione. — Rise ancora divertito. — Anche se credo non saremo soli soletti: probabile che ci siano anche degli ornitologi in cerca di volpole, ora che ci penso.
— Cosa sono le volpole?
— Una varietà di oche che nidifica nelle vecchie tane delle volpi. In questo periodo sono tante le comitive e le associazioni d'ornitologia che si recano sull'isola di Sant'Angelo.
Mentre parlavano, Venezia era scomparsa all'orizzonte e solo l'isola della Giudecca era visibile alla loro vista, un puntino piccolissimo sulla linea del mare. Ci vanno anche di sera e si organizzano in vista per la nottata.
Quando approdarono sull'isola, trovarono una vecchia struttura in mattoni e legno ancora in piedi. Un vecchio recipiente per l'acqua piovana, arrugginito dal tempo, era abbandonato in un angolo.
All'improvviso, si alzò il vento e spruzzi d'acqua si rovesciarono su di loro mentre mettevano piede sulla spiaggia.
— Siamo soli, mi sa — commentò Harper, lanciando qualche breve occhiata in giro. — Sembra non esserci nessuno.
Le lanciò un occhiolino scherzoso. — Non male, allora, no?
— Dipende dai punti di vista...
— Cioè?
— Be', mi sento come l'agnello che andò al fiume per bere, incontrò il lupo che, dopo averlo avvicinato, se lo mangiò in un sol boccone.
Lui le tolse il cestino di mano. — Ho sempre pensato che il lupo non fosse così cattivo.
— Sei serio? Adesso cercherai di convivermi che voleva fare amicizia con l'agnello!
— Oh, no. Il lupo voleva mangiarselo, ma l'agnello lo desiderava tanto quanto il lupo... — rispose malizioso.
Harper avvampò. — Giacomo, sei impossibile!
— Perché? Sto solo dicendo che l'agnello era affascinato dal lupo... altrimenti non avrebbe ingaggiato una discussione con lui, no?
Lei scosse il capo, ancora rossa in viso, e lui si trattenne a stento dal rubarle un bacio.
— Guarda laggiù — riprese deciso, poi, cambiando argomento. — Quelle sono le rovine del vecchio deposito. Andiamo, voglio fartele vedere. — E così la afferrò per mano e s'incamminarono per perlustrare l'isola, l'uno di fianco all'altro.
Su una collinetta, non lontano da un boschetto di eucalipti, giaceva un ammasso di pietre consumate dall'azione del vento, del sole e della pioggia. Insieme esplorarono la zona mentre lei leggeva la guida a voce alta.
— Hai fame? — le chiese Giacomo d'improvviso.
— Sì.
— Cosa ne dici di metterci sotto l'ombra di quegli alberi sulla collina?
— Okay.
Dovettero risalire ancora un po' il dolce avvallamento per ammirare l'orizzonte, ma dall'alto lo spettacolo era splendido: il mare azzurro da un lato; dall'altro un campo di papaveri rossi come il sangue.
Lui distese la coperta, con un sorrisetto triste sulle labbra.
— Cos'hai da intristirti così? — chiese Harper, accortasi del suo improvviso cambiamento di umore.
— Stavo pensando al nostro ultimo incontro da soli.
— Oh, capisco...
— Stavolta non potrai scappare — disse lui tornando a sorridere. — Salvo che non vuoi provare l'ebbrezza di tornare a Venezia nuotando.
— Basta... non prendermi in giro, spaccone! — Dopo fece una pausa, il viso improvvisamente serio. — So bene che il nostro non è un semplice flirt. Non fingere di credere che tra noi non ci sia nulla. Smettila di giocare.
— Harper Lee... — Non sapeva cosa dirle, né spiegarle cosa provava davvero.
Dalla sua reticenza, Giacomo sapeva che era insita nella natura dei vampiri non manifestare l'amore con le parole, ma con i fatti. Il desiderio e la brama di affondare i canini nel collo di lei e succhiare il sangue, era un fatto riconducibile all'amore più vero e puro che potesse instaurarsi tra i suoi simili.
Ma come poteva spiegare a Harper quelle cose? Facendolo temeva di disgustarla, o peggio, impaurirla. E quella era davvero l'ultima cosa che avrebbe voluto...
— È inutile che mi guardi così. — Lei si chinò sorridendo, sfiorandogli la guancia con un bacio. — Per quel che vale, hai uni strano senso dell'umorismo.
Lui avrebbe voluto stringerla con sé, come aveva fatto tante altre volte prima d'allora. E senza desiderare di morderla e di possederla, ma soltanto sentirla tra le braccia e udire il cuore di lei battere forte contro il suo petto muto.
— Umh... pollo arrosto, insalata, patatine fritte e... due sacche di sangue di tipo AB e 0 positivo — annunciò Harper, scoprendo il cestino. — Per essere piccolo, in questo cesto, c'è un sacco di roba impilata!
Giacomo si sentì triste e inquieto, ma cercò di non farglielo capire, mormorando qualche battuta scherzosa, la mente un rimescolio di pensieri che mai aveva avuto prima di quel momento.
"Vorrei conoscerla meglio. Voglio averla accanto. Per sempre. Ma..."
Ma. C'era un ma...
Lei mangiò e lui bevve, ma non se ne accorse nemmeno: il sangue sembrava non avere sapore.
Era totalmente preso da Harper. Gli occhi azzurri dai toni verdi erano luminosi, nonostante la tristezza insita all'interno, simili al mare baciato dal sole durante l'estate. I capelli vaporosi erano resi mossi dalla brezza, la curva del seno era intrigante sotto il tessuto leggero, il modo in cui si tirava su l'unica, minuscola spallina.
Era molto femminile, aggraziata, affascinante; adorava guardarla e sentirla parlare.
Invero, chiacchierarono amabilmente per tutto il tempo. Parlarono delle loro famiglie, delle rispettive esperienze scolastiche, lavorative, persino delle loro passioni e passatempi preferiti.
Dopo un bel po' scoprirono di amare entrambi la musica classica, tant'è che Harper nominò Venezia al tramonto di Alessandro Safina e Giacomo sorrise, intonando una strofa...
"Sarà Venezia al tramonto
come infuocata su noi.
Prima del buio.
Io e te: Venezia al tramonto..."
A poco a poco, la luce della luna si fece più chiara, quasi spettrale. L'irrequietezza era sparita e Giacomo si sentiva in pace e appagato. Peccato che il tempo scorresse troppo in fretta per i suoi gusti...
Fissò l'orologio da polso e controllò l'ora: erano l'una di notte.
"Dannazione."
— È bellissimo stare qui — mormorò Harper, a un certo punto. — Mi dispiace dover andar via.
— Anche a me.
Si sorrisero timidamente e incominciarono a raccogliere i resti del picnic. Dopo Giacomo prese il cestino e Harper afferò la coperta e, infine, si avviarono verso il molo dell'isolotto.
— Non so come andranno le cose — lasciò cadere lei mentre passavano in mezzo alle rovine. — So di non poter tornare indietro se mi tramuterò in vampiro, però ho comunque paura di cosa mi accadrà.
— Tutti abbiamo paura — affermò lui. — Ma se vuoi rinunciare, farò il possibile per aiutarti.
— Lo dici per rassicurarmi... oppure perché pensi davvero di poterci riuscire?
A bruciapelo, Giacomo ribatté: — E se volessi davvero che rinunciassi?
Lei si mise una mano sul fianco, inclinando la testa di lato. — Lo fai sempre?
— Cosa?
— Rispondere a una domanda con un'altra.
— Alle volte...
— Forse è meglio così — rifletté Harper ad alta voce.
— Spiegati meglio.
— Vedi, io... — Ma lei si fermò di botto mentre Giacomo continuò a camminare. Pochi passi e si guardò indietro.
— Cosa c'è? Perché ti sei fermata?
— Tu pensi che io voglia diventare vampiro solo per te, vero?
Lei aveva pronunciato quelle parole con tono addolorato, pensò stupito. Eppure, sapeva aveva asserito la verità...
— Harper, lo penso perché hai la tutta la vita davanti e sarebbe un grande spreco. — E per mettere più in chiaro il suo pensiero aggiunse: — Per me, devi essere libera di scegliere. Libera. Non devi farlo per me, ma per te stessa. Non esiste il tasto reset. E se diventerai un vampiro, morirai da vampiro... Non potrai più tornare indietro, sappilo.
Harper lo fissò incredula, con una luce stupefatta negli occhi. — Io... — Si girò rapida, trattenendo bruscamente il respiro. — Giacomo, ma dov'è la barca? — domandò in tono sconvolto.
— Lì, dove... — Si volse e sobbalzò.
Il piccolo motoscafo era sparito, letteralmente scomparso nel nulla.
Alla velocità di un fulmine durante un temporale, Giacomo si precipitò verso la bitta dove l'aveva legato. Strinse le palpebre. La cima era stata tagliata di netto.
Nascose in fretta il pezzo nel cestino, prima che Harper lo raggiungesse.
Non voleva farla preoccupare; aveva tanti problemi già a cui doveva pensare.
Infuriato, represse un ringhio animalesco. Evidentemente qualcuno li aveva seguiti e sembrava che volesse restassero lì.
In breve, erano bloccati sull'isolotto... E senza la possibilità di tornare indietro!
Cosa avrebbero fatto adesso?
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