2~ Come spille e aghi
«Ricordava le emozioni, ora, e lo ferivano come spille e aghi, come membra morte private di sangue che cominciano finalmente a risvegliarsi.
E, come spille e aghi, facevano male»
~ Shadowhunters, GotSM, "Forever Fallen"
La notizia era giunta come un fulmine a ciel sereno.
Un attimo prima il pensiero più importante che potesse avere il nuovo Console era quello di trovare una sede per il Conclave, un attimo dopo restava attonito appena venuto a conoscenza del fatto che fossero stati trovati una fata e un lupo mannaro seppelliti sotto terra.
La prima domanda che fece riguardò l'assassino, se era possibile che fossero demoni.
Ci sperava, desiderava ardentemente che fosse così.
Rimase deluso.
No, non potevano essere stati demoni: loro non seppellivano i cadaveri, e nemmeno con tanta cura —erano stati trovati mano nella mano, uniti nella morte come lo erano in vita.
Erano giorni che Alec non dormiva.
Giorni rinchiuso in quella sala che Magnus aveva adibito a studio, con una tazza di caffè costantemente accanto, a scrutare libri e consultare i capoclan dei Nascosti di New York.
Non c'era nessuna notizia, nessun appiglio, nessuna informazione o pista da seguire.
E la cosa peggiore era che questa assenza di prove conduceva agli Shadowhunters.
Alec non voleva nemmeno pensare che fossero stati proprio quelle persone di cui era la guida, che lo avevano scelto, che avevano deciso di seguirlo in quel percorso instabile e incerto fuori da Idris.
Passava sempre meno tempo con la sua famiglia, alla disperata ricerca di qualcosa, la testa tra le mani, gli occhi azzurri stanchi circondati da due borse livide, le labbra che spiccavano rosse contro la pelle che diventava sempre più pallida.
Fu Clary a prendere in mano la situazione.
Fu Clary a costringere Alec a staccare da quella che ormai era diventata la sua stressante routine.
Si presentò di fronte alla porta di Alec e Magnus determinata come non mai, l'ombrello gocciolante al fianco, le rune nascoste sotto i vestiti.
Ad aprirle la porta di casa fu Magnus, stanco e preoccupato.
Alle sue spalle, Clary distinse i bambini - Rafael e Max - parlare e scherzare.
-Siete inviati all'Istituto, Magnus. Tu, Alec e i bambini.- scandì la ragazza prima anche del saluto.
Magnus la squadrò per qualche secondo interdetto, poi si passò la mano - pena di anelli colorati, ognuno con una gemma diversa - tra la chioma scura e cosparsa di glitter.
-Sai benissimo che verrei, biscottino, ma non voglio lasciare Alec qui da solo.-
-Non hai capito: viene anche lui.- insistette la ragazza, piazzata davanti all'ingresso.
Doveva convincere Alec a uscire da quello studio.
Doveva farlo per lui, certo, ma anche per Jace, che più passava il tempo più si incupiva pesando al parabatai.
Doveva fare qualcosa per loro, perché poteva farlo e non sarebbe rimasta inerme a guardare le persone che amava mentre soffrivano e venivano schiacciate dal peso delle aspettative.
-Non penso che abbia intenzione di venire.- replicò Magnus, lasciando trapelare la stanchezza.
-Parlerò con lui.- comunicò la rossa, oltrepassando Magnus e marciando spedita verso lo studio.
Aprì la porta senza esitazione, e inquadrò immediatamente Alec, chino sulla scrivania.
Il giovane Console -una maglietta grigia stinta, dei jeans logori, le rune che uscivano dallo scollo della maglia, uno sguardo colmo di preoccupazione- si alzò in piedi e puntò gli occhi su di lei.
-Clary?!- esclamò, stupito.
Il suo primo, folle pensiero fu Ha trovato qualcosa.
L'espressione di Clary, però, lo costrinse a soffocare quella fievole speranza.
-Stasera verrai a cena all'Istituto, insieme a Magnus e ai bambini, ti rilasserai per qualche ora, poi tornerai a casa e dormirai, Alexander Lightwood.- ordinò la ragazza, lapidaria.
-Non posso, Clary.- replicò il ragazzo.
-Alec, non ti fa bene stare rinchiuso qui a rimuginare! Esci, rilassati un po', perfavore! Soltanto il tempo di una cena.- lo persuase.
Alec sospirò, si abbandonò sulla sedia e diede un'occhiata ad un manuale che stava consultando.
Lo osservò per qualche secondo, infine guardò Clary e abbozzò un sorriso.
-Va bene, ci saremo.- rispose, mentre le labbra della ragazza si curvano verso l'alto.
-Fantastico! Jace sarà entusiasta, vedrai! Ci saranno anche Simon e Izzy.-
-Oh, ti prego, dimmi che non cucinerà mia sorella!- inorridì Alec.
Clary rise, poi scosse la testa, i riccioli rossi che le accarezzavano il viso.
-Non ti preoccupare.- lo rassicurò.
Uscì dallo studio, chiuse delicatamente la porta alle sue spalle, salutò i piccoli e poi Magnus, infine uscì dal palazzo.
Diede un'occhiata al cielo carico di nuvole, che facevano cadere ancora qualche goccia sottile, perciò aprì l'ombrello e si diresse verso l'Istituto.
Non notò, accanto ad un palo della luce, un ragazzo incappucciato che la osservava con una mano sul petto, là dove il cuore gli batteva dolorosamente quando vedeva quella ragazza che nel suo mondo era stata uccisa.
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L'unico rumore presente nella sala era il silenzio.
Il silenzio, che non è propriamente un suono, ma che spesso è più rumoroso dei bambini al parco giochi.
Jace continuava a lanciare occhiate circospette ad Alec, seduto a capotavola, che mangiucchiava la propria fetta di pizza, sovrappensiero.
L'umore di Alec contagiava inevitabilmente tutti i commensali, che infatti sedevano silenziosi gli uni accanto agli altri, lambiccandosi il cervello in cerca di qualcosa da dire per rompere quella tensione.
Persino Max e Rafael stavano zitti.
Alla fine, fu Alec a parlare.
-Li avevo visti. Poco prima che venissero uccisi: li avevo salutati e mi ero messo a parlare del perché avessi portato lì Max e Rafe. A pochi passi da me probabilmente c'era un assassino e io non mi sono accorto di nulla.- confidò, atono, lo sguardo basso.
Jace si irrigidì, smise di mangiare e pronunciò quella frase che lui aveva sempre detestato, che aveva sempre trovato ridicola se non stupida.
-Non è colpa tua.-
Be', non poteva trovare frase migliore per intendere che non era colpa di Alec, perché gli assassini non si fanno vedere, non si fanno trovare.
Ebbe lo strano impulso di ricordargli che tempo prima uno dei pericoli più grandi della storia dei Nephilim - Sebastian- si era nascosto sotto il naso di tutti, in bella vista, e nessuno aveva davvero capito chi fosse finché lui non si era mostrato.
Eppure ricacciò indietro quei ricordi amari, perché sapeva che parlarne avrebbe fatto agitare Clary.
Alec alzò lo sguardo e lo puntò su Jace.
Aveva una strana fissità: era come se stesse celando emozioni e parole tanto forti e sconvolgenti che l'unico modo per esprimerle era restare immobili.
Fece per dire qualcosa, ma poi Max parlò, e la sua frase trasformò tutte le certezze in elementi traballanti e insicuri su cui era rischioso poggiare i piedi.
-Ma... c'era anche zio Jace.- disse il bambino.
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