Prologo
Potrei iniziare presentandomi, dire come mi chiamo e cose così.
Ma io non ce l'ho un nome.
Mi correggo: ne ho avuti molti, con storie tutte diverse.
Ce n'è uno che utilizzo più spesso negli ultimi anni, o meglio, che viene utilizzato sul lavoro riferendosi alla mia persona: Ezekiel.
Per ora credo possa bastare.
La prima volta che ho dovuto utilizzare un nome diverso dal mio, una nuova identità, indossare una nuova vita del tutto differente da quella che conoscevo, ho fatto un casino.
Digrigno ancora i denti a pensarci, me ne vergogno. Non riuscivo a calarmi nei mie nuovi, per quanto temporanei, panni.
Mi distraevo in continuazione, non convincevo nemmeno il mio riflesso allo specchio, figuriamoci il soggetto dell'incarico.
Una volta saltata la mia copertura, un altro agente ne ha pagato le conseguenze.
Alcune unghie della mano sinistra non gli sono più ricresciute.
Molte cose sono cambiate da allora. Non è più la paura che mi guida.
Beh, era vero fino a qualche tempo fa.
Qualsiasi nome mi venga affidato oggi diventa mio. Ci vivo dentro, lo personifico, me lo porto addosso come se lo avessi fatto da sempre.
Nessuno di questi è quello con cui sono venuto al mondo, questo è certo. Non lo usa più nessuno da tanto di quel tempo che non ne ricordo quasi il suono.
Mi limito a vestire i panni che mi toccano, quelli che servono al mio paese. Lo faccio molto bene.
Lo farò anche questa volta.
Devo tanto a questo lavoro: mi ha tenuto a galla, mi ha salvato dal baratro, ma ha richiesto il suo prezzo.
Si è portato via pezzi di me, uno dopo l'altro. Mi chiedo cosa si prenderà questa volta.
Probabilmente, tutto quello che resta.
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