Capitolo 1 - seconda parte


«Benjamin, aspetta!» ci metto un solo secondo a reagire, voltandomi verso la voce femminile alle mie spalle.
«Hai dimenticato il tuo telefono» a porgermelo sono delle dita sottili e affusolate che si soffermano più del dovuto a sfiorare le mie.
«Glenda, per cortesia, ti ho già detto di chiamarmi Ben. Ti ringrazio comunque, la stanchezza a volte gioca brutti scherzi» sfodero un sorriso ampio, rivolgendole tutta la mia attenzione.
«Capisco, l'ultimo mese è stato intenso ma te la stai cavando più che bene» Glenda porta una delle sue ciocche bionde dietro l'orecchio e risponde al mio sorriso.
Nelle ultime settimane si è stirata ogni muscolo della faccia a forza di sorridermi.
«È incredibile sia già trascorso un mese dal mio arrivo, il tempo è volato!» esclamo guardandola negli occhi.

Adesso abbocca. Lo deve fare perché se mi tocca continuare ancora questa conversazione potrei spararmi ad un ginocchio.

«Hai ragione, stasera dobbiamo per forza festeggiare» Dio, allora esisti!
«È un'ottima idea, dovremmo invitare anche Jacob e Marvin, sempre che non abbiamo già altri impegni per stasera» continuo, mostrando un entusiasmo umile e trasparente quanto Donald Trump.
«Li avviso subito, non sarà un problema. Parlavano dell'inaugurazione di un pub a pochi passi da qui, proprio per stasera» afferma mentre estrae il cellulare e fa partire la chiamata.

Non sono affatto sorpreso, sono stato io a parlargli dell'inaugurazione. O meglio, ho inviato loro un invito tramite una mail automatica.

Vedo Glenda annuire al telefono, sorridente e pronta a godersi il venerdì sera.
Ci salutiamo e ci diamo appuntamento al pub fra due ore e da come mi guarda capisco di aver contribuito non poco al suo sorriso.

Mi preparo con calma, indosso dei semplici jeans, una camicia scura e giacca abbinata. Niente cravatta o simili, mi innervosiscono.
Mi trovo a pensare che non ricordo l'ultima uscita "fra amici" avvenuta nella mia vita reale e mi incupisco.
Mentre scendo le scale del mio appartamento al terzo piano, lascio Ezekiel e chiunque ci fosse prima all'interno dell'edificio di mattoni e mi incammino nelle scarpe nere e lucide di Benjamin Walker.

Trentadue anni, laureato con buoni voti in lingue ad Oxford.
Dopo un anno sabbatico trascorso in India alla ricerca di me stesso, ho lavorato come commerciale estero presso una piccola azienda di import-export cresciuta in fretta e diventata una multinazionale da milioni di fatturato. Sono diventato presto il direttore di una delle filiali di Dublino, poi sono stato contattato dall'azienda attuale con sede a Nottingham. 

L'offerta è stata troppo allettante per rifiutare.

Non sono, né sono mai stato, sposato e non ho figli o animali.
Amo pescare e fare trekking, inoltre sono un esperto di vini pregiati.
Caratterialmente e sulla carta, sono l'uomo perfetto: affabile, sorridente e sempre d'aiuto. Tutti mi vogliono bene, anche il mio capo, e buona parte delle mie colleghe ( ma anche qualche collega uomo) desidera portarmi a letto e disporre del mio corredo genetico.

Odio questo Benjamin, ma è così diverso dal vero me, o almeno da ciò che ricordo mi rappresenti, che mi permette effettivamente di recidere le mie radici.
È fondamentale riuscirci per lavorare sotto copertura e io non ho mai avuto grandi difficoltà nel farlo. Per certi versi può essere terapeutico. Esplori le tue intimità ed evisceri ogni aspetto di te; finché non riesci più a tracciarne i confini e rischi di perderti.

Scaccio con violenza e impeto queste riflessioni riservandole per una notte insonne, e metto piede con passo sicuro nel locale di nuova apertura: il BlueBell.
Il posto è già gremito di persone ma mi ci vuole un attimo per individuare Glenda e Jacob seduti al bancone.
Glenda si è messa in tiro: scarpe vertiginose, vestito attillato e rossetto scarlatto. Si illumina appena posa lo sguardo su di me e trattengo a stento l'istinto di alzare gli occhi al cielo.
È molto carina e di certo il suo corpo potrebbe essere uno svago piacevole, ma non mi aiuterebbe nel mio incarico. Mi serve di più così, ad affannarsi per attirare le mie attenzioni e coinvolgendomi in attività di gruppo che non desteranno alcun sospetto.

Fa parte del contesto.

«Eccoti!» squittisce stringendo un mio bicipite piano.
«Buonasera. Marvin?» chiedo notando il collega assente.
«È in ritardo, ha litigato con Joyce perciò sarà necessaria una grande quantità di alcol stasera» spiega Jacob sorridendo della malasorte del collega.
«Allora sarà meglio prenderci avanti, ordiniamo?» chiedo e così, in maniera completamente disinvolta, faccio scorrere lo sguardo lungo il bancone, alla ricerca di un barman disponibile.
So già quale viso cercare e lo trovo subito. Alzo la mano e sfruttando la mia altezza mi faccio notare.
Due occhi grandi color nocciola si posano su di me e si assottigliano appena quando la ragazza dalla chioma color mogano mi risponde sollevando un indice, facendomi intendere che sarà da noi appena finito di servire il cliente di cui si sta occupando.

Questo mi dà il tempo di osservarla meglio senza dare troppo nell'occhio. Non noterò nulla di nuovo, nessun tratto del viso o espressione che non abbia già visto nelle ultime settimane. L'ho osservata diverse volte, per lo più da lontano, senza esser visto.

Ma c'è qualcosa nello sguardo di due persone, che muta e si svela quando interagiscono tra loro.
Accade sempre in modo diverso, come una sorta di reazione chimica, di risonanza allo sguardo dell'altro.

Perciò quando Eleonor Bell mi guarda dritto negli occhi per la prima volta, qualcosa nei suoi occhi muta e si svela, dandomi per un attimo la sensazione di essere un totale estraneo a quella situazione, a quella vita.

Dura meno di un secondo.

«Ciao, cosa vi porto?» riserva uno sguardo veloce ai miei colleghi che chiacchierano fra loro ma torna subito a posarlo su di me, in attesa.
Mi sporgo leggermente verso di lei per sovrastare la musica di sottofondo e il trambusto del locale pieno mentre la vedo appoggiarsi con i palmi al bancone d'acciaio e voltare appena il capo per cogliere meglio le mie parole.
«Quattro calici di Gewurtztraminer» scuote la testa per farmi capire che non è riuscita a sentirmi, facendo ondulare i capelli sciolti e mossi.
Mi sporgo ancora e ripeto il mio ordine aumentando il tono di voce. Con il suo collo esposto a pochi centimetri dalla mia faccia, sento farsi più forte il bisogno di bere.
Scuote ancora il capo.
«Non ce l'abbiamo» scrolla le spalle in attesa di un nuovo ordine. Sbuffo con disapprovazione.
«Allora fai tu, basta che sia vino» la ragazza annuisce e con pochi movimenti mi serve il primo calice.
Lo porto al naso e storco la bocca, restituendoglielo.

«Sa di tappo» spiego ad alta voce. Noto lo sguardo indurirsi mentre annusa a sua volta il vino.
«Non sa di tappo, va benissimo» replica sicura, facendo scivolare con l'indice il calice nuovamente verso di me e servendo gli altri due.
Serro la mascella.
«So quello che dico e questo vino sa di tappo. Gradirei poterne gustare un'altra bottiglia» spingo nuovamente il calice verso di lei, attirando l'attenzione di Glenda e Jacob. Dura poco perché l'arrivo di Marvin con l'espressione cupa e avvilita calamita i loro sguardi. Ma non il mio.

Eleonor mi sta guardando con fastidio.
Il vino non ha niente che non va e lei lo sa. Mi sto comportando da cliente rompicoglioni e non le sta piacendo.
«Senti, faccio questo lavoro da una vita, so riconoscere se un vino sa di tappo e questo è perfetto. Provalo.» insiste con rinnovata sicurezza.
«Se fai questo lavoro da una vita dovresti sapere che, in quanto cliente, ho sempre ragione» estraggo dal portafoglio alcune banconote e le appoggio a fianco al bicchiere ancora intonso.
«e che questo vino va servito ad una temperatura fra i 10° e i 12°, mentre questo al massimo arriva a 8° deturpandone completamente le qualità» la sfido con lo sguardo.
Una scintilla di puro risentimento sfreccia nelle sue iridi, poi le sue labbra si piegano in un sorriso micidiale.

«Che fortuna avere fra noi un esperto, mi scuso per l'inconveniente. Vado a recuperare un'altra bottiglia dal magazzino e sono subito da voi» sorrido compiaciuto del risultato ma più di tutto dalla sua reazione.
È stato divertente.

«Come minimo quella adesso ci sputa nei calici» commenta placido Marvin. Scrollo le spalle.
«Suppongo che dovremo correre il rischio».
Eleonor compare pochi attimi dopo con una nuova bottiglia. Versa una piccola quantità del nettare senza smettere per un attimo di guardarmi negli occhi con aria di sfida e un velo di risentimento.
Le sto facendo fare brutta figura, la prima sera del suo nuovo lavoro.

Porto il bicchiere al naso e, senza mostrare alcuna espressione precisa, prendo un piccolo sorso.
Per tutto il tempo ricambio il suo sguardo tagliente, restituendole una briciola del suo risentimento.

«Ora ci siamo, brava» la ricompenso con il mio sorriso strappamutande e avanzo delle banconote.
«Offre la casa» posa la sua mano in maniera poco delicata sulla mia, spingendo i soldi verso di me. Il mio sorriso sembra non farle alcun effetto e non so scegliere se la cosa mi infastidisce o incuriosisce di più.
«Per il disturbo» spiega poi. Lo sguardo e il sorriso che mi riserva sono freddi e gelidi e trattengo a stento una risata.
E un'imprecazione. Per qualche motivo sono nervoso e mi sembra di non averla spuntata come invece credevo.

«Sono in debito allora. Grazie» faccio un cenno con il calice verso di lei e decido che per stasera può bastare. Senza attendere risposta porgo i calici ai miei colleghi leggermente perplessi per il nostro scambio di sguardi avvelenati e volto completamente la schiena al bancone, ignorandola per tutta la sera.


Rientro al mio appartamento a notte fonda. Mi spoglio con calma e provo a lasciare sul pavimento, assieme a scarpe e calzini, anche il retaggio di quella uscita.
Il primo incontro effettivo con il soggetto su cui devo indagare.

Eleonor Bell.

Tutto sommato non è andata male, anche se non come pensavo.
La immaginavo più accomodante, più propensa alla soddisfazione del cliente. Sarebbe stato più facile in quel modo sfoderare la conoscenza di vini di Benjamin (che poi sarei io) e intavolare una conversazione che le restasse nella memoria.
Un primo passo per addentrarmi nella sua vita e in quella del fratello.

Invece aveva preso un po' male il mio atteggiamento saccente e non aveva lasciato correre.
In ogni caso, anche se non come immaginavo, dubito che si sarebbe scordata di me tanto presto.
Mi trovo mio malgrado ad accennare un sorriso.
Farla capitolare sarà più interessante di quanto si prospettava.





Note.


Ok, primo incontro: bene ma non benissimo. 

Sono molto curiosa di sapere cosa ne pensate.
Vi ringrazio per il vostro tempo.

A prestissimo!

Alice

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