XXXXIV
La luce della porta era accecante. Peter riusciva a scorgere in essa fugaci frammenti del futuro che c'era ad attenderlo. Sarebbe bastato un passo, uno solo e ciò che più desiderava sarebbe stato suo. Allungando la mano attraverso l'ingresso provò a passarvi le dita, nel tentativo di capire se si trattasse di un processo doloroso o meno. Un lieve tepore lo investì come una folata estiva e una visione gli attraversò la mente, veloce come un sogno. Vento fresco sulle guance, lo scrosciare delle onde nelle orecchie, il Sole a scaldargli la pelle. Una figura corvina davanti a sé, avvolta in un lungo cappotto vermiglio con un uncino metallico al posto della mano destra e due occhi scuri come la notte, privi di qualsiasi sentimento o compassione. Fece per affiancarsi all'uomo, voleva vederne il volto più chiaramente, ma questi si allontanò, ancora ed ancora lasciando dietro di sé una scia di sangue e cadaveri mutilati. Ad ogni passo il Capitano proseguì impassibile scavalcando perfino i resti dei componenti della propria ciurma e, giunto al limitare del vascello, si girò a fissarlo. Il giovane sentì il proprio cuore partire imbizzarrito e si guardò intorno scattando alla disperata ricerca di qualcun altro. Si rese conto solo allora che anche ai propri piedi si estendeva un'altra scia di corpi e, all'inizio di essa, vi era un volto più che familiare, quello di Pan. Ritrasse la mano e fece un passo indietro, brividi gelidi lo attraversarono in tutto il corpo. Non solo nel suo futuro non c'era la minima traccia del James che amava, ma, in quella vita votata alla morte, avrebbe perso perfino sé stesso.
"Qualcosa non va, Peter?"
Fece per girarsi, ma Uncino si appoggiò alle sue spalle portando il viso accanto al suo.
"Ancora un passo e sarai libero. Perché esiti?"
Su una cosa l'altro aveva ragione, qualcosa non andava. Quello che aveva visto non era il futuro che desiderava. Non aveva mai pensato di sacrificare qualcun altro pur di raggiungere il proprio obiettivo, si era convinto di doverlo fare con Pan perché non aveva altra scelta, sentiva di non poter fare altrimenti, ma forse il prezzo da pagare era più alto di quanto avesse immaginato. Ad un tratto, sentì tirare la pianta dei piedi e, abbassando il capo, vide la propria ombra strattonarlo verso la porta luminosa.
"Andiamo Peter"
La mano buona del maggiore si spostò dalla sua spalla al collo, il suo tocco era gelido, estraneo. Da quando aveva messo piede sulla Jolly Roger, nemmeno per un momento si era mai sentito così distante da James come in quella visione. A dirla tutta, il suo amato nemmeno si era intravisto in quell'immagine infausta. Il ragazzo strinse il pegno nella mano, lo sentì ticchettare impercettibilmente contro la pelle e fu così che si rese conto di sentire dei singhiozzi provenire dalla propria mente.
"Forza! Passa questa stupida porta!"
Pan, era la sua voce, piangeva disperatamente.
"Se è te che il mio Capitano vuole allora ti avrà! Muoviti! Uccidimi!"
Scostandosi dalla presa di Uncino, Peter attivò il meccanismo e restituì forma fisica al ragazzino.
"Che stai facendo?!"
Tenendolo per la gamba, Pan si accorse poco a poco di essere tornato tangibile ed alzò il volto, pieno di lacrime e confusione, rivolgendosi prima alla propria ombra e poi al Capitano. Facendo voltare il fulvo, il maggiore lo tenne saldamente per le spalle.
"Rispondimi! Se resta così solo uno di voi potrà attraversare il portale, lo capisci ?!?"
"Sì, lo so..."
James aveva ragione. Lui non era come Uncino, non era in grado di sacrificare le vite altrui per un proprio tornaconto. Era disposto a tornare ad essere un'ombra cedendo totalmente il proprio posto a Pan, ma poi scorse alle spalle del corvino la scena che si stava svolgendo e si mise subito all'erta.
"V-Virgil?"
La vedetta aveva ormai trascinato James fino alla seconda porta ed era quasi sul punto di spingerlo dentro.
"Fermo!"
Peter cercò di raggiungerli, per fortuna attirando l'attenzione del pirata lo aveva bloccato guadagnando tempo. La cosa più strana era che James non reagiva, lasciandosi trascinare inerte, forse la paura lo aveva paralizzato. Il fulvo provò a divincolarsi, ma la presa di Uncino si fece più ferrea.
"Buono, buono, Peter"
Lo fulminò con lo sguardo.
"Che sta succedendo?!"
Si ritrovò la pistola del pirata puntata alla fronte.
"Cerchiamo di risolverla in modo pacifico"
Aveva un sorriso sereno sulle labbra, ma il tono che utilizzò rese chiaro quando fosse rimasto infastidito dalla situazione scomoda.
"Non voglio farti del male, ma se ora non fai ritornare Pan la tua ombra e non attraversi quel portale sarò costretto ad usare le maniere forti"
Peter strinse i denti, quella dannata pistola lo stava facendo andare in panico e non poteva permetterselo, non in quel momento. Lentamente, sollevò l'orologio, ma, invece di premere il meccanismo, lo sostenne attraverso il portale facendo sussultare il maggiore.
"O mi spieghi cosa sta succedendo o lo lascio cadere dentro e nessuno potrà più usarlo per scambiarci!"
Uncino sospirò e uno sbuffo divertito abbandonò le sue labbra.
"Sei meraviglioso... Non potevo sperare in un risultato migliore"
Spostò l'arma riponendola nella fondina alla cintura. Peter si sentì un po' più leggero.
"Vuoi la verità? La verità è che non ho alcuna intenzione di tornare una cosa sola con James..."
Si voltò e fece un cenno alla vedetta che così fece un altro passo verso la porta.
"Ho detto fermo!"
Gridò Peter infuriato, ma Virgil proseguì.
"Uncino! Fermalo!"
"Entra nel portale, Peter. Non c'è nulla che tu possa fare per convincermi. Non sarò più vincolato alla mia umanità, alla mia mortalità. Sarò libero per sempre e tu, con me"
Il maggiore gli diede una spinta e, inciampando su Pan, Peter fu sul punto di cadere attraverso la porta, ma si aggrappò sul bordo con la mano libera. Alzandosi, il biondo lo osservò tristemente e cercò di sollevargli le dita per fargli mollare del tutto la presa, ma il fulvo non desistette.
"P-perchè fai così?"
Singhiozzò il bambino spaventato.
"Lui è il nostro Capitano, la sua ciurma è la nostra famiglia! La Jolly Roger è la nostra casa!"
Quel desiderio così forte e familiare che Peter aveva sempre sentito dentro sé considerandolo come proprio, brillava più che mai in Pan. Essere parte della ciurma di Uncino era il sogno di Pan, ecco perché il suo cuore lo spingeva verso James mentre la sua mente verso Uncino. Non erano per niente d'accordo su ciò che volevano, per questo potevano attraversare la porta solo se uno dei due restava l'ombra dell'altro. Adesso era chiaro, finalmente sapeva cosa fare.
"No..."
Sorrise al minore.
"È la tua famiglia! È la tua casa!"
Spingendosi in avanti, porse al ragazzino l'orologio. Non appena Virgil ebbe gettato James attraverso la porta nera, Uncino riportò tutta la propria attenzione su di loro, ma era già troppo tardi.
"È ora, Peter. Lasciati andare"
Si sporse, pronto a seguirlo.
"Tu sai cosa significa sentirsi impotenti, fragili ed effimeri in questa vita. Insieme non dovremo più affrontare da soli questo dolore"
"È vero, insieme... non sarete più soli"
Bastò uno scambio di sguardi, Peter e Pan s'intesero. Stringendo l'orologio nella mano, il biondo fece scattare il meccanismo ed il fulvo ritornò ad essere la sua ombra. Nonostante la differenza d'età e di mole, al bimbo sperduto bastò una piccola spinta da dietro per far cadere il pirata nel portale. Uncino sparì all'istante nella luce senza emettere alcun suono. Calato il silenzio, il biondo riattivò il meccanismo del pegno. Lui e Peter si guardarono di nuovo, faccia a faccia, entrambi umani, entrambi liberi.
"Scusa..."
Lo dissero insieme, lo pensarono davvero. Voltandosi verso Virgil, il fulvo tenne la guardia alta, ma l'uomo gettò a terra il coltello e, evidentemente stremato, si sedette. Era fradicio, sporco, ed il suo occhio mancante non sembrava messo bene.
"Non possiamo lasciarlo qui, ma abbiamo solo l'orologio, solo uno di voi può passare"
Pan sorrise e, sollevando la mano sinistra, mostrò all'altro il proprio flauto.
"Non si lascia indietro nessuno in famiglia"
"M-ma... ma come hai? Quando l'hai preso ad Uncino?"
"Non sei l'unico a conoscere dei trucchetti"
Si avvicinarono alla vedetta e lo aiutarono a rimettersi in piedi così Pan poté guidarlo verso il portale.
"Andiamo a casa, Virgil. Gli altri ci aspettano"
L'uomo si sostenne al minore senza opporre resistenza e, insieme, tornarono davanti alla fonte di luce mentre Peter li osservava, felice di poter scegliere ciò che il suo cuore davvero desiderava.
"Ehi!"
Il fulvo guardò Pan e sorrise portandosi davanti alla porta di tenebre.
"Buona fortuna!"
"Anche a te"
Detto ciò si gettò nel buio alla ricerca di James.
Nero. Nient'altro. Nemmeno un pavimento su cui appoggiare i piedi. Era sospeso nel nulla. James si lasciò sprofondare, privo di peso, incerto su ciò che ne sarebbe stato di lui in futuro. Forse con il tempo sarebbe lentamente impazzito, ma per il momento il dolore lancinante e la voragine che gli si era creata nel petto erano così forti da mantenerlo del tutto lucido. Il piano di Uncino era andato come previsto, lui e Peter erano tornati sulla Jolly Roger, fuori da quella maledetta Isola, uno accanto all'altro come Capitano e secondo. Gli occhi del corvino si appannarono per il pianto alla consapevolezza che non avrebbe mai più rivisto il fulvo, né sentito il suo odore o toccato la sua pelle solcata dal Sole. Era solo una questione di tempo, presto anche quel sentimento che ora gli bruciava l'animo si sarebbe assopito nell'oscurità, ma fu una magra, terribile consolazione. Chiuse gli occhi e si sfogò nel pianto, finalmente, senza Uncino e senza responsabilità verso nessuno, non ebbe più bisogno di trattenersi.
"Peter... Ti amo, Peter... Sii felice..."
Sorrise.
"James!"
Erano già cominciate le illusioni uditive, normale che, in ogni impercettibile suono, le sue orecchie cogliessero la voce del ragazzo. Prima ci si abituava, prima sarebbero passate dall'essere una tortura insostenibile in un dolce conforto. Venne avvolto in un abbraccio e catturato in un bacio. Quei brividi lungo tutto il corpo, furono troppo veri perché potesse trattarsi di un sogno. Il corpo gli diede uno strattone, come una frusta, e James spalancò gli occhi tornando alla realtà. Peter. Provò a scacciarlo con una spinta, a protestare, ma era troppo sorpreso per reagire prontamente, così il ragazzo riuscì a insinuargli la lingua fra le labbra e le dita sotto i vestiti alla ricerca di maggior contatto. Via la giacca, la mano del fulvo corse lungo il collo e dietro la nuca tirandogli i capelli in modo da scoprirgli il collo e affondarvi la bocca assaporandone ogni centimetro.
"A-aah... A-aspetta..."
Mugolò impotente, non sembrava esserci modo di rallentare il giovane. Divelti i bottoni della camicia, Peter lo tenne a sé solleticandolo lungo la spina dorsale mentre, con l'altra mano, si insinuò al di sotto del suo bacino, fra il tessuto ormai stretto del cavallo dei calzoni. Non avere punti d'appoggio rendeva James ancora più impotente, la sola cosa a cui fu in grado di sorreggersi furono le spalle dell'altro e ciò gli rese ancora più facile proseguire. L'altro non sembrava affatto in difficoltà, abituato al volo, perfino come ombra di Pan, in aria si trovava nel proprio elemento e stava sfruttando al massimo quel vantaggio. Con l'erezione libera, il corvino ebbe un breve istante di sollievo, sollevò lo sguardo in quello dell'altro e vide le sue iridi verdi bruciare di desiderio, ma, allo stesso tempo, d'insicurezza. Sollevò la mano destra e la appoggiò sul suo viso sorridendogli.
"Sto bene..."
L'amato gli sorrise e il suo volto si illuminò come una stella splendente nella notte.
"Sì... stai bene..."
Un gesto lento, i suoi palmi irruviditi dal lavoro si mossero contro l'asta. Non era abbastanza. James mosse in fianchi alla ricerca di un contatto maggiore, più veloce, deciso e venne presto soddisfatto. Peter aumentò la velocità e prese a strofinare il pollice sulla punta inumidita, il corvino non poté fare altro che arcuare la schiena e boccheggiare mentre l'aria nei polmoni gli si faceva man mano più scarsa. Quando infine si liberò, contorcendosi per il piacere, Peter lo strinse al proprio petto e portò le dita inumidite fra le sue natiche penetrandolo. James sussultò per la sorpresa, pieno di vergogna.
"N-non avrei dovuto insegnarti queste cose..."
Il minore rise.
"Sono felice che tu l'abbia fatto... Sto morendo di paura, la mia sicurezza è dovuta solo al fatto che tu sia stato il mio insegnante"
Entrò anche con il secondo dito.
"Non devi... avere paura..."
Gli appoggiò il volto contro la spalla.
"Siamo... siamo insieme ora..."
Ed ecco il terzo. Abbassando la mano alla cintura del fulvo, James ne aprì a fatica la fibbia e poi ne abbassò l'elastico ed infine l'intimo.
"E per sempre"
Il membro valicò la sua carne, caldo, bagnato e inesorabile fra i muscoli e i punti più sensibili. Si spinse centimetro dopo centimetro al punto da lasciare il corvino senza fiato. Peter lo tenne abbracciato a sé e rimase fermo fino a quando non riuscì a respirare di nuovo normalmente. Per distoglierlo dal dolore delle prime spinte lo baciò con dolcezza e lo accarezzò lungo il petto soffermandosi soprattutto dove vi erano i tatuaggi. Non aveva mai fatto caso a questo suo interesse e trovò assurdo rendersene conto in un momento del genere. Il tempo intorno a loro sembrò fermarsi e distendersi all'infinito, James dovette presto abbandonare la propria razionalità e si lasciò guidare con serenità, vulnerabile come non si era mai concesso di essere, ma felice allo stesso modo. Peter, il suo Peter, il sorriso che gli stava donando illuminava perfino quell'oscurità infinita. Era il suo mondo, l'unico appiglio che gli fosse rimasto, un destino imprevisto, ma a cui non avrebbe mai potuto rinunciare. Ora lo sapeva. Più volte, petto su petto, i cuori all'unisono, si concesse l'uno all'altro sino a restarne sfiniti, prosciugandosi di quei sentimenti che così a lungo erano cresciuti accalcandosi e comprimendoli fino all'esasperazione. Senza più Pan, senza più Uncino, rimasti ormai privi delle preoccupazioni passate, in pace anche nelle proprie menti, riuscirono a riposare come mai avevano fatto prima. Si svegliarono intontiti, scambiandosi uno sguardo dolce, e si unirono in un bacio.
"Ed adesso?"
James ci pensò su. Non trovò risposta, ma poi vide galleggiare accanto a sè la propria giacca e, allungando la mano, la recuperò.
"Adesso..."
Sorrise.
"Ci rivestiamo?"
Peter rise in risposta e fu allora che il corvino notò come l'altro letteralmente stesse brillando nell'oscurità. Aveva pensato si fosse trattata della sua immaginazione, dell'impeto del momento che avevano condiviso insieme, invece il ragazzo stava davvero emettendo luce, in qualche modo. Sollevando la schiena nel tentativo di mettersi dritto, James finì per ruotare su sé stesso, per fortuna il fulvo lo fermò divertito.
"Aspetta o ti verrà il mal d'aria!"
Scosse il capo e toccò il volto del minore.
"Peter! Tu brilli!"
"Io che?"
Una risata, un campanellino e, sulla spalla del giovane, cominciò a sprigionarsi una tenue fonte luminosa.
"Oh no, ancora questo campanellino..."
Infastidito dal suono, Peter fece per scacciarlo, ma James fermò la sua mano e, poco dopo, dalla luce comparve una piccola fata.
"James, che succede? Cosa stai guardando?"
"Non... Tu non la vedi?"
"Di che luce parli?"
"Questa! La fata!"
Il corvino la fece salire sulla propria mano.
"Eccola!"
La mostrò al fulvo che però scosse il capo confuso e, allo stesso tempo, la fatina lo copiò.
"Davvero non riesci a vederla. Come mai?"
"Non ci crede e quindi non ci vede"
"Ma sei la sua fata, dovrebbe vederti per forza!"
Il ragazzo gli appoggiò una mano sulla fronte preoccupato.
"Sicuro di sentirti bene? Forse dovresti dormire ancora un po'"
"Peter, so che ti sembrerà assurdo, ma c'è la tua fata qui, sulla mia mano!"
"Non sono la sua, ma la tua"
James la osservò sconvolto.
"Eh?"
"La sua è morta, l'ha uccisa"
Tornò di nuovo a concentrarsi su Peter, era preoccupato, molto più del minore a quel punto.
"James... io non vedo niente. Forse questo posto crea delle illusioni"
James aveva il cuore spezzato. Quando aveva preso il posto di Pan, Peter era venuto al mondo e, come ogni bambino, dal suo primo sorriso era nata una fata. Peccato che lui ed Uncino avessero fatto di tutto per farlo crescere subito, nel minor tempo e nel modo più crudele possibile. Facendo ciò lo avevano spinto a chiudere dentro di sé ogni atteggiamento infantile o autodeterminante, ma in effetti non si poteva sapere con certezza se essi fossero dovuti a Pan o fossero invece un sentimento proprio di Peter. Avevano ucciso ogni briciolo di magia che vi fosse in lui e così il ragazzo aveva fatto altrettanto senza nemmeno rendersene conto. James sentì le lacrime premere ed il giovane lo abbracciò subito.
"James, non piangere! Va tutto bene? Ti fa male da qualche parte? Ho fatto qualcosa di male?"
Scosse la testa in risposta.
"Io l'ho fatto... mi dispiace così tanto..."
"Ma di cosa stai parlando?"
La fatina tornò a posarsi sulla spalla di Peter e James osservò che, quando questa andava avvicinandosi all'orecchio del fulvo, quest'ultimo scuoteva la testa infastidito e si massaggiava l'orecchio.
"Giusto... anche prima... tu la senti!"
"Aspetta, dici questa specie di campanellino? Allora non me lo stavo immaginando!"
Passandosi una mano fra i capelli, il ragazzo parve essersi alleggerito da un enorme macigno.
"Non lo sopporto più! Nei sogni, quando sono sveglio! Pensavo di essermene liberato, ma ora è tornato!"
Il corvino sorrise speranzoso.
"È lei! È la fata che ti dicevo!"
La fatina si spostò di nuovo sulla sua mano e James la avvicinò a Peter. Il ragazzo si concentrò sul suo palmo.
"Se è la mia fata perché non la vedo?"
"Perché non è la tua... ma la mia"
Il fulvo sgranò gli occhi e, ad un tratto, li socchiuse e si spostò indietro.
"Eccola! Ora la vedo!"
"Wow, ci hai messo poco! Come ci sei riuscito?"
La piccola sbattè le ali contenta.
"Ovvio, io amo James, se tu sei la sua fata, sei come una parte di lui. Non posso non vederti"
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