Il passato ritorna


 Cass deglutì a vuoto. "Jason...dobbiamo andarcene." Lo prese per il polso, avvicinandolo a se. Una parte di lui stava iniziando a realizzare. L'altra avrebbe voluto essere altrove. Qualsiasi altro posto sarebbe andato bene. Forse niente di tutto ciò stava accadendo realmente. Forse stava solo sognando.  Ma stava succedendo davvero. Era reale. Era reale, cazzo.  "Jason...Jason andiamocene. Portami via. Camminiamo...per favore...Jason." Eppure lui non capiva. Non capì e rimase fermo. Cass avrebbe voluto andarsene da solo, allora. Eppure era immobile.  "Cassidy Blake!" Sibilò una voce che non avrebbe mai voluto sentire. Non di nuovo. Non lì. Fece un piccolo passo tremolante all'indietro.

Sua madre aveva il passo veloce della rabbia. I tacchi picchiavano sull'asfalto come grandine. Marylin. Non aveva un soprannome. Cass non aveva mai avuto il permesso di dargliene uno. Suo padre era poco dietro. Il viso basso, come se non si volesse trovarsi a sua volta in quella situazione. Come se non lo volesse rivedere. Forse era proprio così. D'altronde, la sensazione era reciproca. "Cass...chi sono?" Lo chiamò, più volte di quanto fosse necessario. Ma Cass non respirava. Le parole uscirono a fatica, biascicate tra sussurri. "I...i miei genitori" E in un qualche modo misterioso Jason finalmente capì. Con uno sguardo, con un respiro, con una frase...capì. Eppure, capire non è sempre la soluzione.

Erano nell'ufficio del preside. Era completamente anonimo. Pareti grigie, finestra bianca. Una vecchia scrivania impolverata e tre sedie. Jason era fuori. Aspettava appoggiato alla porta. Respirava piano, cercando di sentire la conversazione. "Fa che vada tutto bene..." Pregò piano. In realtà non credeva in Dio. Non ci aveva mai creduto e non avrebbe decisamente iniziato in quel momento. Ma cercava un po' di rinforzo. Gli attimi prima gli erano apparsi surreali. Non lo avrebbe mai dimenticato. Le lacrime, il segno rosso sulla guancia di  Cass. E non era riuscito a fare niente.  -Sei una vergogna, Cassidy- La rabbia ribolliva ancora. Scaldava il sangue, mandava a quel paese il cervello. 

Cass era seduto. Non si  sentiva a  disagio  come il preside. Sfiorò la guancia, ancora bruciava per lo schiaffo. La mano ricadde. Si sentiva svuotato. Non gli aveva fatto male. No, male è una parola troppo corta. Può sembrare carina, addirittura. -Aw, ti ha fatto male?- Lo aveva distrutto, atterrato, devastato...ma no, non gli aveva fatto male. Parlavano. Parlavano tutti. I suoi genitori e il preside. Eppure Cass sentiva così tanto silenzio. Così tanto silenzio da farlo diventare assordante. Era da quattro anni che non viveva con i propri genitori. Marylin e Jason. Eppure portava un pezzo di ciò che gli avevano insegnato in se. -La perfezione è l'unico scopo, Cassidy. Non dimenticarlo-  E lui ci aveva provato, ci aveva provato così tanto che ormai era stanco. Lo era davvero. Perchè tentare di arrivare alle aspettative di persone che odiano la tua stessa esistenza?

Allora parlò. E nella stanza calò il silenzio. "Tutti...semplicemente odiano e distruggono nella mia famiglia. Tranne Grace. Avete mai pensato a come ci si sente ad essere dall'altro lato? Ci hai mai pensato, almeno una volta, Marylin? Ad essere me." Espirò bruscamente. Piangeva, ma non per tristezza. Non aveva bisogno di qualcuno che lo proteggesse. Non aveva bisogno di qualcuno che stesse in piedi al posto suo. Aveva trovato la sua voce in mezzo alla miseria e, cazzo, se gliela avrebbe fatta sentire.  "Odiato dai propri genitori per la mia sessualità. Costretto in un meccanismo di perfezione eterna. Impossibilitato ad avere amicizie perché passo la mia vita a studiare e preoccuparmi. Sapete...sapete cosa si ottiene-" Notò l'odio nei loro occhi. Lo vide. E fu come se un pugnale lo attraversasse lentamente. Gli mozzò il fiato. Eppure non si fermò. "Sapete cosa si ottiene mettendo insieme un ragazzino di dodici anni con una passione segreta per i trucchi... e dei genitori omofobi? Questo. Merito una vita felice. Merito una vita senza di voi." Si voltò, osservando con programmata precisione gli occhi del preside. "Merito un trattamento uguale agli altri da parte degli insegnanti."

Jason trattenne il respiro. Sorrideva.  "Wow, stellina...dovrò ricordarmi di non farti arrabbiare in futuro" Disse tra sé e sé ridacchiando. Cass uscì dall'ufficio come un tornato, qualche minuto dopo. aveva gli occhi rossi ed il viso stravolto. Si guardava intorno. "Ehi, stellina" lo chiamò piano. Lo investì con  un abbraccio stretto. Nessuno dei due seppe capire a chi servisse di più. Nessuno dei due tornò a lezione quel giorno. 

Passeggiarono fino al parco. Si sedettero lontano dalle grida dei bambini della scuola di fianco e dai vecchi che leggevano il giornale. Jason si accese una sigaretta. "Di nuovo?" Lui annuì. "Di nuovo. Mi aiuta a calmarmi." Erano stesi sull'erba. Così vicini che Cass sentì le loro mani toccarsi. E le loro braccia. E le loro gambe. Non era così male. "Fammi provare, allora" Aveva gli occhi chiusi, ma sentì che scuoteva piano la testa. "Penso di averne bisogno più io che tu al momento" Ridacchiò piano. "Non è una scusa..." E poi iniziò a cantare piano.  La stessa canzone di prima del  disastro. Come se fossero tornati a quello stesso istante. "Andiamo, sono solo curioso di capire perché qualcuno come te si sta rovinando l'esistenza..." Jason fece un fischio basso. "Qualcuno come me? Sta attento, così rischio di pensare che fosse un complimento, stellina."

"Forse lo era" Jason si alzò, mettendosi seduto. "Va bene..." Gli passò la sigaretta con un sorriso diabolico. Cass sbuffò. Cosa sarà mai? Non appena il fumo gli entrò in gola iniziò a tossire violentemente. Jason se la rideva, piegato in due. "Scusa stellina, ma sei tu ad avere insistito!" Venne mandato a quel paese. "Dio, come fai? È orribile." Lui scrollò un po' le spalle. Si avvicinò piano, mettendogli le braccia appoggiate intorno al collo. Cass rise piano. Sentì il peso delle sue braccia sulle spalle. I suoi guanti a rete che premevano piano sulla pelle. Si guardarono, rapiti uno dalla bellezza dell'altro. "Waiting for my prince to come..." Ripetè Cass, sottovoce. Quel momento era come vetro e lui aveva paura di romperlo.  Una ciocca di capelli ricadde sul viso di Jason e lui gliela spostò, sfiorandogli la guancia. Si baciarono e tutto il resto del mondo scomparve. Per qualche minuto, almeno. Finchè il telefono di Cass non iniziò a vibrare insistentemente.


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