7
Siamo in una macchina affittata da Luna, davanti all'aeroporto di New Orleans. Lei stessa ha suggerito, dato il brutto tempo, di aspettare Marie e di portarla a casa.
«Che tempo di merda!» Mormora Luna, tentando di sovrastare con la voce il rumore dei tuoni sopra le nostre teste.
«Puoi dirlo forte!» Urlo anch'io a mia volta. Non vedevo un temporale del genere da anni.
«Aveva detto che sarebbe atterrata alle undici, è già passata mezzora ma non ho idea di dove sia finita. Forse dovrei uscire a cercarla!»
«Cercarla? Come intendi uscire con questa pioggia?!» Dico indicandole il finestrino. Ma è mentre Luna sta indossando controvoglia un orribile impermeabile verde, che tra la fitta distesa d'acqua che cade del cielo, incontro non so come, lo sguardo di Marie.
«È lì! Eccola, la vedi!» Mormoro, mentre mi sporgo al lato di Luna per accendere e spegnere ad intermittenza di fari dall'auto.
«Grazie a Dio posso togliermi questo coso di dosso!» Esulta Luna. Togliendosi contenta l'impermeabile che stava per indossare.
Marie apre lo sportello, è completamente zuppa. Ha i suoi lunghi capelli neri attaccati al viso, e gli occhi marroni contornati di una matita nera ormai sciolta. Indossa delle calze a rete ed una gonna in jeans strappata, una maglia rossa con un scritta in giapponese, gli anfibi, e come bagaglio solo un piccolo zainetto. Mi chiedo cosa possa averci messo. Lei, tra noi tre è la più piccola. Va ancora al college, a Parigi, dove studia arte. Oltre ad essere la più piccola credo anche sia la più testarda in assoluto.
«Bonjour! Mormora Marie. Balzando dal sedile posteriore per venire a salutarci.
«Come state ragazze! Cos'è questo silenzio?!» Continua lei. Mi giro verso Luna, con lo sguardo le faccio capire:
"Diglielo tu, per favore"
Lei mi capisce al volo. Mette in moto l'auto, e pronuncia le fatidiche parole.
«Marie dobbiamo parlarti...» Noto dallo specchietto retrovisore il suo sguardo confuso. Lei non risponde quindi Luna decide di continuare.
«Nana Amanda è andata via. Ha scoperto di essere affetta da una malattia, e ha deciso di scappare. L'ha scoperto Lana per prima. Ha lasciato delle lettere per tutte.»
Mormora secca, apatica. Non lascia trapelare nessun sentimento. Ora capisco perché ha deciso di fare la giornalista. Marie non batte ciglio, d'altro canto conosco bene il suo modo di subire un trauma. Fa finta di nulla per poi scoppiare all'improvviso. Penso abbia preso da Amanda, come lei non l'ho mai vista piangere per nessun motivo.
«Ah» sussurra pensierosa, e continua.
«Dove è andata precisamente? Ah no, che stupida... Di sicuro non l'avrà lasciato trapelare» Ha lo sguardo perso, devo tentare in qualche modo di rassicurarla.
«Tranquilla. Ti ci vorrà un po' per metabolizzare, ma devi sapere che questa è la scelta che lei riteneva più giusta. Ha semplicemente fatto ciò che sentiva. E, conoscendola sai bene che non conosce nessun'altro modo di fare le cose» mentre parlo mi giro verso di lei, e dal leggero sorriso che mi rivolge noto un seppur minimo miglioramento.
«Che situazione ragazze. Quindi ora cosa dovremo fare? Tornare alle nostre vite e far finta di nulla?»
«Beh non subito almeno. Per prima cosa dobbiamo cercare le vostre lettere, per ora abbiamo trovato solo la mia. E, per l'appunto, nella mia ad un certo punto parla di andare da un notaio non appena ci sentiremo pronte. Avete qualche idea di chi si possa trattare?»
«Magari lo dice in una delle altre lettere, in caso contrario gireremo tutti i notai della città. Prima o poi troveremo quello giusto, no?» Lo spirito d'iniziativa di Luna è impareggiabile.
«Qui noi speriamo di evitarlo» esclamo ironica, facendo comunella con Marie.
«Ma se dovesse essere necessario, saremo insieme
«Oh beh, non vedo l'ora d'iniziare allora. Sono pronta per passare giornate a cercare un fantomatico notaio con le mie sorelle!» Noto che Marie si è ripresa, ha sferrato finalmente quell'acido sarcasmo che aspettavo. Infondo sappiamo tutte bene che ciò che Amanda ha fatto in realtà era aspettabile. Quindi di riflesso la nostra reazione si adegua. credo che in una famiglia normale ciò non possa accadere, ma noi siamo state cresciute dall'immensa Amanda Gilmoore.
Quando torniamo a casa ormai il temporale è completamente cessato. E, prima che sia lei a chiedermela decido di far leggere la mia lettera a Marie. Vado in camera mia, e la recupero dal cassetto del comodino. Prima di scendere mi fermo qualche minuto a guardare la mia camera. Ha le pareti rosse, un balcone francese in pietra che da sul giardino. Ed è corniciata da quadri di artisti di qualsiasi tipo. Ho sempre amato l'arte. Come la sensazione di liberta che la visione di un quadro mi concedesse. Forse è perché da quando ne ho memoria che ho sempre desiderato fuggire. Fuggire dal mio corpo, fuggire dalla mia testa.
Scendo le scale di servizio, quelle che un tempo erano riservate alle servitù. Le preferisco a quelle principali perché trovo siano più veloci e funzionali. Si può arrivare in qualsiasi angolo della casa in pochissimi minuti. Trovo Luna e Marie in salotto, entrambe stanno già cercando ovunque le loro lettere.
«Marie, tieni» mormoro porgendogli il foglio in carta ruvida.
«Questa è la mia lettera. Era sul tavolo della sala da pranzo. Non dice molto di più di ciò che ti abbiamo già spiegato, ma è bene che tu la legga.» Marie la prende senza indugiare e la legge varie volte velocemente.
«C'è da dire che anche nelle lettere è proprio una figa» sussurra mentre rilegge la lettera per la terza volta.
«Ho pensato esattamente la stessa cosa» mormora Luna sorpresa di non pensarlo solo lei. E continua. «Sono sicura che mentre scriveva questa lettera indossava il suo miglior completo, rigorosamente rosso.» Dopo quest'affermazione io e Marie non riusciamo a trattenere le risate, effettivamente l'ha descritta esattamente come me la immaginavo. Un lampo di genio mi colpisce.
«Ragazze il suo armadio! Dobbiamo immediatamente andare a cercare lì» mi chiedo come non ci abbia pensato prima. Ci dirigiamo a passo svelto al piano superiore, Luna decide di dividerci i compiti.
«Marie tu vedi il settore delle scarpe! Lana tu quello degli abiti da sera! Io vado nell'altra stanza, quella degli abiti da giorno!» In men che non si dica sembra sia in atto una perquisizione. Mai come adesso rifletto a quanto sia grande la sua cabina armadio. Mi dirigo alla mia postazione, e nella mente mi ritorna immediatamente il ricordo di quando passavo intere giornata in questo punto della camera. Amanda mi raccontava la storia di ogni singolo abito, e io la riascoltavo ogni singola volta come se fosse stata la prima. E quando lei non c'era, mi sedevo accanto allo specchio e li guardavo.
Penso di averli indossati tutti, li mettevo e girovagavo per casa. Mi piacerebbe trovare l'occasione per utilizzarne seriamente anche solo uno. Mentre delicatamente li sposto avanti e indietro sperando di trovare qualche indizio mi balza all'occhio un abito che mi sblocca un ricordo. È lungo, taglio a sirena e senza spalline. Di un bianco accecante, e totalmente ricoperto di pietre preziose. Non ho idea di quanto tempo passo a guardalo, sono sicura fosse il preferito di Amanda. Mi disse che lo indossò per un ultimo incontro speciale. Non mi spiego mai a che incontro si riferisse.
«Ragazze! Credo proprio di aver trovato la mia lettera!» Grida Luna dall'altra stanza. Marie e io ci fiondiamo da lei. La troviamo ferma davanti la finestra, con un dito appoggiato sui vetri.
«Le lettere, sono lì. Vedete?» Sussurra. indicando in lontananza una teca in vetro accanto ai cespugli di camelie.
Arriviamo ai giardini per il cancello interno alla casa, il percorso più semplice per arrivare alle camelie. E, come si notava dalla finestra, all'interno di una teca di vetro c'è una lettera.
«Per chi è?» Mormora Marie, mentre Luna è seduta a terra intenta ad aprirla.
«È la mia lettera» dice, non staccando gli occhi dal testo.
«Da qualche informazione in più rispetto alla mia?» Spero che Amanda ci abbia regalato qualche altra informazione.
«C'è il nome del notaio. Poi per il resto è molto simile alla tua, è una lettera d'addio» sussurra affranta, mentre legge le ultime righe di testo. «Meglio di niente, no? In fin dei conti era ciò che cercavamo. Le sue volontà sono già scritte nella lettera per Lana, ora non resta che trovare la mia. Poi andremo dal notaio.» Non mi stupisce affatto la reazione di Marie. Spero di trovare il prima possibile anche la sua di lettera.
«Secondo voi c'è una logica sotto la scelta delle camelie?» Si chiede Marie, e Luna si affretta a rispondere prima di me.
«Erano i suoi fiori preferiti Marie, ricordi la storia che ci raccontava? Quella del libro di Dumas, la signora delle camelie!» Luna è quasi arrabbiata che Marie non lo ricordi.
«Era davvero un inguaribile romantica» mormoro, tentando di stemperare gli animi. penso a quel romanzo che gli rubavo spessissimo.
«Vero. Ma ora torniamo dentro, il jetlag inizia a farsi sentire. Ho davvero bisogno di riposare, dopo cercheremo la mia lettera.» Marie è visibilmente stanca. Rientriamo in casa, e lei si fionda immediatamente in camera da letto. Io e Luna rimaniamo in veranda, e nonostante di solito non beva alcolici la convinco a bere il martini che le ho preparato. Ripensandoci di questo passo la farò diventare alcolizzata.
«Fortunatamente l'ha presa bene» mormora riferendosi alla reazione di Marie alla notizia.
«Ero sicura che non avrebbe dato di matto. Ma conoscendola so bene che non aspetta altro di trovare la sua lettera» sussurro guardando il paesaggio dai vetri della veranda.
«La troveremo presto, sicuramente» mi rassicura Luna, mangiando l'oliva del suo martini ormai finito.
Il tramonto è ampiamente iniziato quando a passo svelto esco fuori la porta di casa. Quasi mi pento, ma respingo qualunque ripensamento. Sono sicura di me. E sto indossando la mia gonna rossa a quadri più carina. Ora vado da Noah, mi scuso per il comportamento che ho avuto ieri, e riuscirò ad avere una normale conversazione. Mi ripeto come un mantra questa frase mentre supero il cancello di casa sua, che è pressoché identico al mio. Arrivo alla porta di casa. Suono il campanello e per qualche secondo tento di distrarmi guardando quella casa in cui non entro da tantissimo tempo.
È di un leggero giallo paglierino, lo stile è mediterraneo. Il muro che incornicia la porta è in pietra, e, su di esso ha due lanterne da esterno nere. Se ricordo bene i suoi nonni erano italiani, e questa villa è la copia di un'altra in riviera.
«Heylà!» Mormora sfoggiando un cordiale sorriso, che gli rivela la candida e perfetta dentatura. La sua voce mi risveglia dai miei pensieri sulla casa. Sembra sorpreso di avermi visto, probabilmente non si aspettava che alla fine sarei venuta. Mentre mi invita ad entrare tento di non inciampare sulle mie stesse gambe. Credo abbia appena fatto una doccia, ha i capelli bagnati, ed è scalzo. Indossa una maglia bianca attaccata alla pelle, e dei pantaloni di flanella rossi a quadri. Che sono praticamente identici alla mia gonna.
«Se vuoi torno in un altro momento» sussurro, credo di essere d'impiccio. Penso che sia corso da sotto la doccia per aprirmi. Indietreggio leggermente, e lui mi prende una mano. Provo una leggera scarica elettrica.
«Assolutamente no, non sei d'impiccio.» E prosegue «Comunque hai buon gusto per le gonne» mormora ammiccando, girandosi verso di me. Scruta il mio abbigliamento. E ironizza sul fatto che indossiamo lo stesso tessuto. Sento quasi il calore lasciatomi da quello sguardo. Mi sforzo di non arrossire. Ormai mi sono arresa che sappia leggere nel pensiero. Tengo lo sguardo e gli sorrido cordiale, la mia vocina interiore mi dice:
"Vai così sorella!"
«Il salotto è di qua, seguimi» mi porge di nuovo mano. Che me aveva lasciato pochi secondi fa. Nota il mio sguardo perplesso, nonostante sia passato tanto tempo ricordo bene le stanze di questa casa. Ma lui fraintende pensando che mi riferissi alla mano. «Era solo un gesto cordiale» mormora a mo' di spiegazione. Questa volta non riesco a non arrossire. «Non era per la mano. Ma per l'arredo, ricordo bene le stanze di questa casa» sussurro, mi riporge la mano sorridendo e appena la sfioro sento di nuovo una scarica elettrica che mi avvolge tutto il corpo. Mi chiedo se la sente anche lui. Sarà stata una mia impressione.
«Ho cambiato un po' di cose in questi mesi»mormora.
«Hai?» Forse sto chiedendo troppo. Lui si ferma, e si gira verso di me.
«Da quando i miei genitori non ci sono più ho deciso di trasferirmi qui, e ho cambiato la disposizione di tutte le camere» dice, come se niente fosse.
«Oddio, mi dispiace» sussurro imbarazzata. Ecco, come se non fosse già abbastanza difficile ci volevano le mie domande inopportune.
Mi invita a sedere su un divano bianco, lui si siede su una poltrona di fronte a me. Incrocia le gambe sulla sedia, e appoggia il viso ad una mano. Il lato positivo è che mantiene la distanza di sicurezza, anche se per il suo profumo non ci sono distanze. Credo che ce l'abbia impregnato sulla pelle. Penso che se si fosse seduto accanto a me non sarei stata così sicura. «Tranquilla. Anzi, se posso chiedere anch'io. Dov'è Mrs Gilmoore? È da tanto che non la vedo.» Dopo la domanda che gli ho fatto mi sento in dover di dire anch'io la verità.
«Nana Amanda è scomparsa. Cioè il giusto termine sarebbe: Allontanamento volontario. Ha deciso di andare via dopo aver scoperto di essere affetta da una malattia.» Mi stupisco della mia stessa sincerità, come mi stupisco che entrambi parliamo di argomenti così difficili con una tale tranquillità. Mi sferra uno sguardo apprensivo, e velatamente ironico.
«Siamo due persone incasinate, No?» Mormora, portandosi un pollice alle labbra. Quel gesto mi fa completamente dimenticare il motivo per cui sono seduta su questo divano.
«Volevo scusarmi per il mio comportamento dell'altro giorno» sussurro tutto d'un fiato. Mi guarda come si guarda una bambina che ammette i proprio sbagli.
«Non c'è nulla per cui tu debba scusarti» e continua, «La scena di ieri in quella stanza mi ha ricordato a quando eravamo piccoli. Sicura di non stare tentando di uccidermi?» Mormora. Il suo sguardo è imperscrutabile. Sono sorpresa, e felice che anche lui si ricordi di quella volta.
«Forse. Non pensavo ricordassi di quella volta» sussurro. Tento di ricopiare la sua stessa espressione.
«Ricordo ogni singolo momento» sussurra a sua volta, mentre con una mano si porta indietro i capelli bagnati. Mi sento avvampare. Credo di starmi sciogliendo. Non mi permettete di ribattere.
«Sicura di essere venuta qui solo per questo?» Mi sferra un sorrisetto complice. Anche se la mia me interiore mi dice di evitare non riesco a trattenermi. Adesso o mai più.
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