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«Si avvisano i passeggeri che l'atterraggio è prossimo» ripeto. «Si avvisano i passeggeri che l'atterraggio è prossimo».
Tremo dallo spavento dopo esser stata svegliata dalla voce della hostess. Apro gli occhi, e girandomi noto che mi ero appoggiata sulla spalla dell'anziana ed elegante signora al mio lato. Che nonostante il disturbo non mi ha nemmeno chiesto di spostarmi. «Avevi davvero bisogno di dormire cara» Sussurra con un tono che definirei familiare. Quasi come se fosse mia nonna. La guardo imbarazzatissima.
«Mi scusi» Mormoro. Mentre tento velocemente di ricompormi.
«Non devi scusarti di nulla, anzi se ti fossi svegliata prima ti avrei chiesto cosa ti tormenta» Mentre pronuncia questa frase l'aereo inizia ufficialmente ad atterrare. Un forte scossone mi impedisce di rispondere. Mi limito a sorriderle. Nonostante la premura non mi va di parlare di me ad una sconosciuta.

La visione di New Orleans attraverso i finestrini dell'aereo è strabiliante, ha un aspetto diverso dallo scorso natale. È invasa dal verde, i colori del cielo sono sfumati in attesa del tramonto ormai prossimo, ha un'aria quasi magica. Ma mentre contemplo l'orizzonte, l'enorme frastuono della cabina mi distrae. Mi chiedo come possa essere riuscita ad addormentarmi. Non ho mai sentito così tanto rumore in un aereo. Poco dopo la cabina viene sgombrata, e riesco finalmente ad uscire dal terminal.

L'aeroporto ha un aspetto diverso da quello di Seattle, lo definirei più artistico.
Mentre a passo svelto cammino per raggiungere l'uscita accendo il cellulare. La prima cosa che noto sono le risposte di Luna e Marie ai miei messaggi. Entrambe sono contente della mia idea, e arriveranno rispettivamente stasera e domattina.
Ci sono anche dei messaggi da parte di Thomas, ma non mi interessa. Rimarranno lì dove sono.

Mi guardo intorno, e provo sollievo alla visione di una nuova città. Tiro un respiro profondo, e lascio che l'aria fresca mi inondi i polmoni. Fuori l'aeroporto una sfilza di taxi gialli sono sistemati in una spina di pesce perfetta. Decido di entrare in uno di essi e mormoro all'autista la destinazione. Ammetto che è molto carino, penso tra me e me. Dalla mia angolazione noto solo che ha capelli scuri, e tre anelli alla mano sinistra. Mi aspettavo di trovare un uomo di mezz'età ma sono stata sorpresa. Mi rimprovero di tenere a bada strani pensieri, e nel mentre mi distraggo ricordando di dover avvisare Grace del mio arrivo. Prendo il cellulare dalla tasca della borsa, e le invio un sms:

"Sono atterrata da dieci minuti circa, ora sono in un taxi xo"

Premo il tasto invia e lascio andare il cellulare in borsa. Mi godo l'intero tragitto, e sono molto contenta che l'autista non proliferi parola, se non un veloce saluto appena entrata. Circa venti minuti dopo dai finestrini leggermente appannati noto che mi trovo davanti l'enorme casa in cui sono cresciuta. Il giardino davanti casa splende specchiato degli stessi colori del tramonto soprastante.
«Gran bella casa» Afferma l'autista mentre si ferma in attesa che scenda dall'auto.
«Oh si, è vero» Mormoro. Mentre tiro fuori la somma giusta dal portafogli. Appena scendo il taxi sparisce immediatamente dietro di me. Lasciandomi solo alla vista ti tale bellezza. Superato il cancello dorato che trovo stranamente semiaperto. Mi incammino lungo l'elegante viale in ciottoli. Supero il giardino di peonie, e avvicinandomi trovo strano che nonostante il tramonto sia appena iniziato non ci sia nemmeno una luce accesa.

Sospettosa supero i pochi scalini che mi separano della porta. E il sospetto diventa terrore quando trovo anch'essa impercettibilmente socchiusa. Da lontano sembra chiusa perfettamente.
Irrompo in casa più velocemente che posso, e mi sorprendo quando trovo tutto intatto. Esattamente come l'ultima volta che sono stata qui, è come se il tempo si fosse fermato. Il tavolino nell'atrio ha su di esso un vaso con dei fiori ormai appassiti. Girandomi a sinistra noto l'appendiabiti libero. Cappotto e cappello non sono al loro posto. Nessuno è entrato qui, ma qualcuno è sicuramente uscito. Mi chiedo solamente cosa abbia architettato Amanda. Cammino lentamente scrutando ogni singolo angolo del piano terra. Passo dalle cucine, entrambe perfettamente pulite ed in ordine. Arrivo ai due saloni e noto che i camini sono ancora attrezzati per essere accesi. In particolare nel secondo salone, una coperta in lana glicine è ancora una poltrona. La sua poltrona preferita.

Qualunque cosa sia successa, è accaduta di punto in bianco. La casa è stata palesemente lasciata prima dell'arrivo della primavera. L'ultima stanza del pianoterra che mi rimane è la sala da pranzo. Corro verso la stanza, e trovo le porte chiuse. La chiave è ancora nel lucchetto, la giro frettolosamente nella serratura. Mentre mi avvicino al centro della stanza noto una lettera posata sotto il centro tavola, con il mio nome inciso sopra. Sto iniziando a pensare sia uno scherzo, ma qualcosa mi dice che non è così. Sposto una sedia, prendo la lettere tra le mani ed inizio a leggerla. La carta è ruvida e riconosco l'inchiostro proveniente dallo studio di Amanda, è la sua calligrafia.

"Bambina mia, sfrutto questo frangente di lucidità per concederti le dovute spiegazioni. Perché tu per prima possa darle alle tue sorelle, per poi consegnare loro le lettere con incisi i loro nomi. Sono sicura che sarai tu la prima a leggere la tua lettera, motivo per il quale ho deciso di lasciarla poggiata così tu possa vederla immediatamente. So anche che mi verrai a trovare qualche giorno prima del mio novantesimo compleanno. Come hai sempre fatto negli anni addietro. Tra le tue sorelle sei sempre stata la più dolce, ma dopo quello che hai dovuto passare è più che giustificato. Sono fiera di te Lana. Dallo scorso Natale tante cose sono cambiate. Qualche giorno prima del vostro arrivo mi è stata diagnosticata una malattia degenerativa, che a poco a poco mi farà perdere il ricordo di ogni singolo attimo della mia vita. Ho deciso di non dirvelo prima per godermi i miei ultimi istanti con le mie bambine. Non posso permettermi di mostrarmi decadere lentamente sotto i vostri occhi.
Ed è stato così che ho deciso di andare via, non cercatemi. E in ogni caso non mi troverete, sono al sicuro ed assistita dal miglior personale che esista.
Quando ve la sentirete il notaio ha tutto ciò di cui avrete bisogno. Così potrò lasciarvi il ricordo migliore di me. Per sempre vostra Nana Amanda."

Appena concludo di leggere la lettura le lacrime mi rigano il volto, sono sconvolta. Mi ci vogliono un altro paio di letture prima di metabolizzare il tutto. La conosco bene, e per assurdo non mi stupisce affatto che abbia fatto una cosa del genere. Non me la sento nemmeno di darle torto. Ha fatto ciò che riteneva più giusto, almeno sono sicura che abbia fatto quello che sentiva di fare. E ora devo anche mettermi a cercare le lettere per Lana e Marie, così potrò consegnargliele al loro arrivo. Spero la prenderanno bene. Mentre sono persa nei miei pensieri, e sto decidendo come affrontare la cosa. Il rumore delle porte d'entrata che si aprono mi scuote. Per un secondo spero sia lei. Ma inizio a spaventarmi quando in lontananza percepisco che i passi sono lenti e pesanti, come se qualcuno volesse non farsi sentire. Piego la lettera e la ripongo nella tasca della gonna, prendo un soprammobile a forma di giraffa.

Che è la cosa più pesante che ho trovato, ed esco dalla sala da pranzo. Penso di essere più coraggiosa di quanto penso. Percorro lentamente il corridoio che mi separa dal resto della casa, e inizio a velocizzare il passo quando l'intruso inizia a parlare. «È permesso?» Afferma con tono pacato. Ciò non mi rassicura lo stesso. Arrivo allo svincolo che mi porta al centro della casa. Mi giro lentamente per tentare di capire chi sia senza farmi notare, non vedo nessuno. Okay sono stanca di nascondermi, penso tra me e me. Tanto chiunque sia so come fargli culo.

Mi sfugge il pensiero che forse sono solo troppo paranoica.
«Chiunque tu sia esci immediatamente da qui!» Urlo mentre a passo svelto arrivo nell'atrio.
«Altrimenti sarò costretta a chiamare le forze dell'ordine!» Mentre affermo decisa queste parole mi sento toccare una spalla. Grido spaventata. D'istinto sferro l'oggetto che avevo in mano alla testa dell'intruso.
«AH, CAZZO!» Urla l'intruso, mentre cade a terra tenendosi la testa fra le mani.

Ma solo quando si accascia noto il volto familiare.
Mi dipingo di rosso dall'imbarazzo.
«Oddio, ma cosa cazzo ci fai qui Noah!» Affermo sorpresa, e tentando di nascondere l'imbarazzo allo stesso tempo.
«Cosa? Come conosci il mio nome? Sono venuto qui perché ho trovato la porta spalancata. Volevo vedere se era tutto apposto. Anzi tu chi sei?» Afferma. Mentre è a terra, e si tiene una mano alla fronte. Mi sento una stupida, in pochi secondi è riuscito a rinfacciarmi il mio totale abbandono al credo della bontà d'animo dell'essere umano.
E probabilmente, quasi sicuramente l'ha fatto senza nemmeno accorgersene.
Ma se non bastasse sono imbarazzatissima, non avevo mai incontrato nessuno, a parte i pochi parenti che ho che mi avesse conosciuto prima della transizione.

«C'è molto da spiegare. Ma adesso seguimi» Mormoro. Porgendogli la mano per aiutarlo ad alzarsi.
«Seguimi» Affermo decisa per una seconda volta. Mentre mi dirigo nella piccola infermeria al piano superiore. Apro la porta e gli indico di sedersi sul lettino bianco al centro della stanza.
«Intendi presentarti? Oppure dobbiamo rimanere nell'anonimato?» Chiede divertito. Mentre recupero dallo scaffale l'occorrente per medicarlo.
«Non fare lo sbruffone. Ora inizio il mio racconto» mormoro fingendo sicurezza.

Guardarlo negli occhi mi mette in soggezione. Inizio a medicargli la ferita in silenzio, un silenzio assordante aggiungerei. Ciò mi permette di fissarlo per un po'. Era tanto che non lo vedevo.
Noah era il mio vicino di casa, più grande di me di due o tre anni circa. Ci avrò passato almeno tre quarti della mia infanzia. Fino a che ai suoi sedici anni si è trasferito per frequentare una scuola a Chicago, e da li non l'ho più rivisto.
Da allora l'unica cosa cambiata sono i capelli, di un castano dorato. Che porta mossi e medi. Noto come gli cadono sulle palpebre. Gli occhi e la pelle sono ambrati, caldi come sempre. Mi allontano dai pensieri che mi occupano la testa e decido di dargli le spiegazioni che merita.

«Inizio con il presentarmi, piacere sono Lana. E mi dispiace averti sferrato un oggetto contundente alla testa. La prossima volta eviterai di entrare in case altrui spero» Affermo carica di ironia. Mi chiedo se ho detto la cosa giusta, ma ne dubito. Nel mentre strappo un cerotto e glielo adagio sulla ferita.
«Piacere Lana. Io sono Noah, ma noto che conosci già il mio nome. Cosa ci fai in casa di Mrs Gilmoore?» Sussurra incuriosito, seguendo il mio sguardo mentre mi siedo su una sedia poco distante dal lettino.

«Forse non ti ricordi di me, e non hai torto. Dopo la tua partenza tante cose sono cambiate...» Mormoro lentamente, l'aria inizia a farsi carica di suspense. L'ansia mi inonda ogni singolo centimetro di pelle. Non so perché mi sento in questo modo.
Ma la vocina nella mia testa ha la meglio.

"Forse perché l'hai colpito praticamente senza un motivo alla fronte, non sa chi tu sia, e lo trovi dannatamente sexy"

«Continua, per favore.» Chiede lui gelido. Risvegliandomi come se sapesse ciò che stavo pensando. Serra la mascella concentrato come se stesse risolvendo un rompicapo. Mi guarda negli occhi più intensamente di quanto avesse fatto prima.
Non posso far altro che parlare.
«Sono diventata Lana solo qualche mese dopo la tua partenza.»

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