Stelle

Il calore della sua mano invade la mia, vorrei che il tempo si fermasse.

Adesso.

Chiudo gli occhi, come se il mio desiderio potesse avverarsi, ma nulla. Devo accorgermi una volta per tutte che non sono Hermione Granger, e nemmeno Luna Lovegood. Anche se sarà dura ammetterlo.

"Corri" Uno strattone alla mano e la voce di Marco mi allontanano dal mio piccolo momento perfetto. Lo seguo, finchè arriviamo al balcone.

Lui non si ferma, corre per tutta la lunghezza del terrazzo, fino a raggiungere la ringhiera che lo separa dal vuoto.

Ed è a questo punto che io lo fermo.

"Dimmi cosa vuoi fare, oppure, qualunque cosa sia, io rimarrò qui."

Marco alza gli occhi al cielo, come per dire: 'È ovvio...'. Ma ora ha sorpassato il limite. Non posso buttarmi da un balcone solo perchè me lo dice un ragazzo, nel cuore della notte, in un albergo, con sotto un canale d'acqua.

"Santo cielo, che cosa diamine vuoi fare? Io da lì non mi ci butto!"

Lui mi avvicina a sè tenendomi per un lembo della maglietta, un gesto che non mi piace.

"Sii sincera, ti sembro così stupido da lanciarmi da un balcone?"

"Sì"

Lui mi tira ancora più forte e mi guarda con un'espressione incredula sul volto.

"No, non lo sono. E ora, se ti fidi di me seguimi."

Anche se non avessi voluto farlo, lui me lo avrebbe impedito. Scavalca la ringhiera, e, con un salto felino, arriva sull'altro balcone, quello dei ragazzi. Sgrano gli occhi, sapevo fosse bravo ad Educazione fisica, ma non credevo così tanto.

"Wow..." Banale, lo so, ma è l'unica cosa che riesco a dire davanti ad un esibizione del genere.

"Sì, bello. Ora fallo tu."

Mi dice in tono sbrigativo, che ha tutta l'idea di essere un ordine.

"No, perchè dovrei? Io te lo avevo detto che non mi sarei buttata. E invece no! Tu vuoi fare per forza di testa tua! Io torno a dormire."

Ho detto queste frasi tutte d'un fiato. Ma tuttavia non riesco a fare un solo passo indietro verso la stanza. Sono come incollata al pavimento. Ormai ho iniziato un'avventura, e di certo non mi tirerò indietro sul più bello.

Ed ecco l'ennesimo mio cambio di personalità. Anche se ormai ho imparato a conviverci.

Così, lentamente, scavalco anche io la ringhiera di ferro gelido, che a contatto con le mie gambe provoca una sensazione non molto piacevole. Mi ritrovo dall'altra parte del terrazzo, con le dita dei piedi sospese nel vuoto.

Davanti a me un metro di aria mi separa dalle braccia tese di Marco, pronte ad aiutarmi in caso di pericolo, o almeno così voglio sperare che sia.

"Rebecca, l'hai aperta tu la finestra?"

Sono sveglie, una voce da dietro di me mi fa salire i brividi. Non so chi sia, ma in questo momento chiunque sia non sarebbe il benvenuto.

"Veloce!"

Il sussurro di Marco è terrorizzato, il che di certo non aiuta.

"Non abbiamo tutta la notte, Iris!"

Ma io non sento questa frase.

Sono in volo.

Gli occhi chiusi.

I capelli sul volto.

E le mani di Marco che accolgono le mie.

Ce l'ho fatta.

"Ce l'ho fatta!" Esulto, forse con la voce un po' troppo alta.

"Sì, ce l'hai fatta!" Risponde Marco, con gli occhi pieni di gioia.

Ma non abbiamo tempo per la gioia, ora dobbiamo correre, correre e basta.

Non entriamo nella stanza dei ragazzi, ci passiamo davanti senza nemmeno guardarla, ma andiamo ancora più veloci, svoltiamo l'angolo del palazzo e davanti a noi un cancello di ferro battuto segna la fine del balcone. Con un gesto fulmineo, Marco lo apre e scendiamo velocissimi le scale che si scagliano davanti a noi. Strano, molto strano. Non ho mai visto un edificio così particolare.

I nostri piedi scalzi corrono a tutta velocità lungo gli scalini arrugginiti. Ma nessuno ha intenzione nè coraggio di rallentare.

Ad un tratto mi ritrovo distesa sull'erba umida del cortile dell'hotel.

Sono caduta.

Le scale sono finite ed io sono caduta.

Le scale sono finite, io sono caduta ed ho fatto una pessima figura con Marco.

Wow.

Mi rimetto a sedere rapidamente, con la rugiada che mi bagna gli shorts, che si attaccano alla pelle. È una situazione a dir poco imbarazzante.

Per fortuna intorno a noi un buio denso ci impedisce perfino di guardare le nostre dita dei piedi. La prima cosa che cerco è Marco. Cerco di vedere i suoi occhi verdi, sperando che risaltino ancora una volta nella notte, come hanno fatto prima. Il mio sguardo percorre tutto ciò di cui posso vedere la sagoma. Un albero, un balcone, una pianta di rosa, un ragazzo. Marco è girato di spalle, ed è per questo che non non ho potuto vedere il verde dei suoi occhi. E forse lui non ha visto la mia caduta.

Mi alzo di scatto dall'erba e corro verso la sagoma del ragazzo.

"Marco!" Lo chiamo, questa volta con il giusto tono di voce. Lui tuttavia non muove nessun muscolo per girarsi a guardarmi. "Marco!" Riprovo, senza avere risultati. Ma d'altronde cosa mi aspetto? Lui non sa che mi sono quasi spappolata a terra come un'anguria lanciata dal ventesimo piano di un grattacielo.

Ho esagerato, lo so. Ma questo è il mio peggior difetto.

Mentre cerco di raggiungerlo sento una fitta di dolore ai piedi: l'erba morbida ha lasciato il posto a dei piccoli sassi, i più dolorosi. Con un' orrenda smorfia di dolore sul volto avanzo (con la stessa concentrazione di un funambolo che cerca di non cadere da una fune) verso Marco. Lui non mi ha ancora degnato di uno sguardo.

Con mia grande sorpresa, ancora una volta, i miei piedi sopportano un'altra tortura. Acqua. Acqua gelida e stagnosa. Acqua del Canal Grande.

Questa spiacevole sensazione mi sprona a parlare con Marco.

"Se non mi dimostri che siamo venuti qui per una buona ragione, giuro che..."

La mia frase viene interrotta bruscamente dalla voce di Marco, il quale ha lo sguardo perso nel buio che nasconde la città di notte.

"Non trovi che le stelle siano fantastiche?"

Rimango a bocca aperta, non mi aspettavo una tale affermazione da lui.

Provo a distogliere gli occhi da Marco e guardo l'orizzonte.

Niente.

Nessuna stella.

Nemmeno una piccola lucciola che possa somigliare ad un astro.

Cosa significa questo? No, Marco non può essere pazzo. Non può, semplicemente.

Le nuvole coprono persino la brillante Luna, e dove può vedere lui delle piccole stelle?

Lo guardo. Posso solo vedere la sua sagoma, circondata dagli arbusti di cui il giardino è pieno. Abbasso gli occhi. L'acqua calma del canale forma delle piccole onde che ha tratti bagnano le nostre dita. Faccio pochi passi verso di lui, e la distanza che c'era tra di noi si azzera lentamente. Avrei voluto dirgli qualcosa, qualunque cosa, pur di capire a dove fosse diretto il suo sguardo fisso verso un apparente vuoto.

Ad un tratto lui mi prende il braccio e mi stringe forte a sè, in un gesto rapido e meccanico. Mi gira dall'altra parte, verso il canale, per poi circondare la mia faccia con le sue mani. Mi sembra di vivere un telefilm americano, e se fossi stata girata verso di lui avrei scommesso che mi avrebbe voluta baciare. Ma io non sono pronta a questo, e neanche lui. Invece mi abbassa la testa verso il canale, in modo che riuscissi a vedere qualcosa che ancora mi sfugge.

"Ecco, ora le vedi?"

"No" Rispondo.

"Guarda meglio"

E io faccio così. Fisso l'acqua nera come la pece, nella quale non si vedono neanche le nostre ombre riflesse.

Ma ecco le stelle. Sono quattro, affiancate, terribilmente vicine.

I nostri occhi. È incredibile. L'unica cosa che si distingue nel buio sono loro. È un'immagine bellissima, e molto romantica.

"Sì, adesso le vedo."

Non riesco a staccare gli occhi dalle 'stelle', ma vedo che quelle corrispondenti agli occhi di Marco girarsi verso di me. Non dico nulla, mi limito ad ascoltarlo.

"Sono felice. Non è semplice vederle. Io ci ho messo anni. È qualcosa di straordinario, succede solo qui, in questo punto. E caso vuole che fossimo ospitati proprio in questo hotel. Ma soprattutto questa volta ci sei te, qui con me. Non sono solo. Ci sei te, perché solo te riesci a vederle, solo te mi ascolti veramente."

Fa un respiro, poi continua.

"Sei riuscita a vedere ciò che non è ovvio. Quando una persona dice 'stelle', tutti gli altri pensano alle stelle nel cielo..."

"Sì, ma anche io ci ho pensato..."

"Certo, ma poi hai capito."

Si siede sul terreno, e io faccio lo stesso. In questo momento sono sicura di avere una faccia da ebete, ma non mi importa.

"Ti ho chiamato nel cuore della notte, e tu ti sei fidata. Questo perchè sei fantastica. Ma non lo sai."

Mi asciugo gli occhi, dai quali scende una lacrima. Lui mi ha emozionata veramente, i suoi pensieri mi sono arrivati al cuore. E se prima ero innamorata, ora lo sono ancora di più. Così, in questo momento, vorrei abbracciarlo come non ho mai abbracciato nessuno, fargli vedere quanto lo ami.

"Ma guardati, guarda i nostri occhi: sono stelle! Sono stelle scese dal cielo! Che abbiamo solo noi. Noi che abbiamo sofferto tanto, troppo per via degli altri..."

Sono rapita dalle sue parole, e ormai piango a dirotto. Ha ragione, terribilmente ragione.

"Per via delle loro inutili parole..."

Dico ciò senza pensare, ormai siamo solo una persona.

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E con questo finisce il quinto capitolo della storia. Spero davvero che vi stia piacendo, ma ancora siamo solamente all'inizio.

Questa parte è la più lunga che ho composto fino ad adesso, ma credetemi, è stato bellissimo scriverla, mi sono quasi commossa da sola. E spero che sia successa la stessa cosa a voi leggendola.

Mi piacerebbe sentire cosa pensate del libro, magari se volete che io legga le vostre opere.

Spero veramente di avervi strappato un sorriso o suscitato un'emozione, anche se credo che un libro piccolo come questo non possa riuscirci.

E poi, quando il Mondo gira per il verso sbagliato, ricordatevi che siete stelle, stelle venute dal cielo.




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