Notte
Scendiamo dall'autobus senza dirci una parola e ci dirigiamo verso l'hotel. Avrei voluto un addio migliore, anzi, bastava anche un semplice 'ciao', ma evidentemente ero l'unica a desiderarlo. L'hotel è una struttura moderna, a quattro piani, con un ampio cortile ricco di vegetazione davanti. Tutto sommato non è brutto. Mentre entro nell'albergo mi raggiungono le mie amiche, ci risiamo. "Ciao" dicono all'unisono. "Quindi..." Capisco già come sta andando la conversazione: stanno per toccare un punto troppo dolente.
"Quindi niente!" Cerco di zittirle, non voglio continuare a parlare di Marco con loro, non mi fido. Laura, Elisa, Elena e Rebecca, le mie 'amiche', sembrano aver capito la situazione e mi lasciano stare. Forse ho esagerato. "Senti, le camere sono da cinque... Vieni con noi?" Mi piacerebbe dire di no, ma non ho scelta. Perciò, come ho sempre fatto, dico di sì: "Ok, va bene..."
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Sono le otto meno dieci, siamo in perfetto orario per la cena. Abbiamo disposto il nostri abiti nella camera 64 e adesso stiamo scendendo verso la sala da pranzo. La nostra stanza è la migliore di quelle a nostra disposizione. È tra quella dei ragazzi ed una dove sono alloggiati due sessantenni che sembrano parlare con un megafono. Credo abbiano bisogno di un apparecchio acustico, ma non vorrei sembrare scortese a dirglielo. In compenso è dotata di un piccolo balcone affacciato sulla laguna. Le gondole passano in grande quantità, ci sono un sacco di turisti e Marco è nella sala accanto. Uno dei privilegi di essere amica con le più 'ricercate' della classe è questa: essere sempre nella stanza accanto a quella dei maschi. Vi lascio immaginare a cosa sperano loro per questo, ma non sono cose a cui punto io. Io spero solo che questa gita riesca ad essere felice. E avrei potuto benissimo evitare di essere in questa stanza, credo che abbiate capito perché.
Ma ora smettiamo di parlare della camera. Siamo arrivate alla sala da pranzo, c'è solo una parola per descriverla: enorme. È tutto colossale, vetrate enormi, vasi con piante finte enormi, tavoli enormi, banconi enormi. Per un attimo rimpiango il paesino di campagna dove sono cresciuta, dove è tutto in miniatura, case piccole, persone piccole, alberi piccoli. Qui, le uniche cose piccole sono le porzioni. Sembra di essere ad un ristorante stellato, se non fosse per il sapore ripugnante delle pietanze. Ogni boccone che ingoio è Schifoso (con la S maiuscola). Non voglio darlo a vedere, ma sinceramente preferirei infilare la forchetta in uno di quei enormi vasi.
Ma ogni cosa negativa ha la sua rispettiva positiva.
Mentre cerco di nascondere il mio disgusto dal 'pesce' (se così può essere chiamato) guardo il comportamento dei miei compagni. Rebecca ha chiesto per la quinta volta di poter andare in bagno, Elisa ad ogni boccone si porta il tovagliolo alla bocca, come se dovesse vomitare ogni volta. E io, intanto, cerco di non ridere. A quel punto, con la mano davanti alla bocca, mi giro senza volerlo verso Marco. Ad essere sincera sono un po' arrabbiata con lui: non mi ha rivolto la parola da quando siamo usciti dall'autobus.
Ma cosa ci voglio fare, è solo un ragazzo.
Intanto lo guardo mentre mangia il 'pesce'. Ma osservare lui è decisamente meno divertente che guardare le mie amiche. Sta zitto, sforzandosi di sorridere agli altri, mangiando il pasto lentamente, senza fare storie.
È inutile dire che non lo ammiri, non sarebbe vero. Io non sarei mai riuscita a mascherarmi così tanto.
Passano minuti che sembrano anni: ormai la stanchezza si è impadronita di ciascuno di noi, e nemmeno la 'bontà' del cibo riesce a farci rimanere svegli. Così, uno alla volta, ci dirigiamo nelle rispettive camere, sperando che la notte possa essere migliore della cena.
Quando arrivo nella camera 64 Elisa ed Elena sono già entrate. Parlano tra di loro, e quando entro mi fanno subito infiltrare nella conversazione: "Ciao Iris, stavamo giusto parlando di te. Noi abbiamo già deciso cosa faremo stanotte, è probabile che usciremo per Venezia..." Avrei voluto ribattere, non le è concesso uscire da sole, ma chissà cos'hanno in mente loro. Spero solo che non si caccino nei guai.
"Ma tu..." Continua Elena "Tu non hai nessuno con cui uscire... Ti vorremmo far venire con noi, ma ormai è già tutto deciso..."
Ma per favore! Non ci crederei neanche se mi pagassero, un difetto di Elena è quello di non saper mentire. E io la conosco da sempre. Nonostante avrei decisamente preferito trattarla con disprezzo, le uniche parole che mi escono dalla bocca sono: "Ok, non vi preoccupate..."
Accidenti a me ed alla mia insicurezza.
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È passata circa un'ora dalla discussione con Elena, ed ancora non sono uscite, forse i ragazzi le hanno dato buca, speriamo sia così. Comunque loro si sono addormentate, con la scusa 'Che quando usciranno così saranno piene di forza e pronte a tutto!' Vi sembrerà assurdo, ma è una vera frase pronunciata da Rebecca, e fatico a crederci pure io.
La sottoscritta, nel frattempo, è sdraiata sul letto a leggere "Città di Carta", la luce emanata dalla lampadina da lettura è troppo leggera e fatico a distinguere le lettere. Nonostante ciò le parole mi scorrono davanti agli occhi rapide e dolci. Ogni suono mi rende felice, mentre la corrente del canale sotto di me suona una dolce melodia. Mi sono sempre rifugiata nella lettura, trovo in lei il mio Piccolo Mondo Perfetto, dove vivrei per tutta la vita.
'Mi voltai di scatto quando sentii la finestra aprirsi'. Il cuore mi batte a mille, come se fossi Quentin in quel momento, ma non solo. Le frasi nel libro parlano di occhi azzurri che entrano nella stanza, ma, allora, gli occhi verdi che sto vedendo io cosa sono? I capelli mi si agitano ad un vento strano, levatosi improvvisamente dalla finestra, aperta. Una sagoma scura avanza verso di me. Ho paura, sono schiacciata contro la spalliera del letto, sentendo dolore ovunque. Non capisco se sia solo stanchezza o stia vedendo il vero, il tal caso spero di sbagliarmi.
"Chi è?" Mormoro, incapace di fare altro.
"Shh, Iris!"
Sento una voce familiare, ma non riesco ancora a capire chi stia parlando. E la luce della dimensione di una lucciola di certo non aiuta.
"Sono Marco, vieni!"
In quel momento avrei voluto tirargli addosso il cuscino, sono sicura che se avesse continuato ancora per un po' sarei morta d'infarto in una camera d'albergo, per poi essere ricordata come 'La ragazzina dal cuore di carta'.
"Stupido! Che ci fai qui in piena notte?"
Non mi trattengo dal dirgli queste parole, ma me ne pento subito. La poca luce soffusa nella stanza mi impedisce di leggere le espressioni sul suo volto, ma voglio sperare che non lo abbia ferito.
"Zitta, ti spiego tutto dopo, ora vieni, veloce!"
"Ma sono in..."
Lui mi interrompe immediatamente: "Non mi importa, sbrigati!"
Meglio, non credo che sia così stupido da portarmi in giro per Venezia in pigiama, voglio sperare.
Non so spiegarmi cosa successe dopo.
Un'eccitazione che non avevo mai provato prima mi invade il corpo, stavo per infrangere le regole, con un ragazzo perfetto, in gita scolastica!
La me di qualche minuto prima non avrebbe mai pensato tutto ciò, ma adesso mi è scattato qualcosa di magico dentro. Le mie gambe si muovono da sole, e così come sono, senza neanche mettermi le scarpe, vado verso Marco.
Un passo dopo l'altro sono sempre più vicina a lui, finchè le nostre facce non si sfiorano.
E lui prende la mia mano nella sua.
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