Imprevisti
Mi gratto la fronte, non ho capito nulla di ciò che ha detto Marco.
Okay, quello che è certo è che una poesia c'entra con gli uomini con il passamontagna. Magari una poesia che ha a che vedere con la pioggia e con i pini. Ora sì che sono confusa.
Scuoto la testa: "Non ho afferrato..."
Sulla faccia di Marco comparire una linea di soddisfazione. "Vedi, che qualcosa la so anche io? Passami il cellulare."
Non dico altro, prendo il telefono e lo porgo a Marco, che, dopo aver composto la password, comincia a digitare qualcosa sul motore di ricerca.
Passano alcuni secondi che mi sembrano interminabili. La curiosità mi assale.
"Che fai?" Chiedo.
Senza sollevare lo sguardo dallo schermo, Marco tenta di darmi una risposta.
"Ora è tutto chiaro! La 'Pioggia nel Pineto' di Gabriele d'Annunzio. È un'opera lirica..."
Perfetto, sicuramente gli uomini col passamontagna sono dei soprani. Comunque preferisco non criticarlo... Almeno adesso abbiamo una pista.
"E tu come le sai queste cose? Non le abbiamo studiate a scuola."
"Scuola, scuola e scuola, le cose si imparano anche fuori dai libri. Qualche anno fa andai con i miei genitori in Versilia, nel paese di questo tizio... Ed ovunque si leggono i versi di questa lirica."
Prende un gran respiro, si poggia una mano sul petto ed inizia a recitare a memoria alcuni, dolcissimi, versi.
"Piove sulle nostre mani,
ignude..."
Fa per continuare, ma una voce si unisce alla sua.
"Sui nostri vestimenti,
leggeri..."
Mi giro di scatto verso il sedile dietro di noi, dal quale vedo sporgere una testa, che assomiglia di più ad una criniera di leone, voltarsi dalla nostra parte.
Due occhiali enormi coprono il volto magro, con alcune rughe appena accentuate, mentre i capelli ricci e biondissimi oscillano per il movimento.
Vedendo le nostre espressioni lei sorride e mi porge la mano: "Scusate se vi ho spaventati... Io sono Giorgia. Ho sentito le vostre voci e mi hanno colpito, suppongo che anche voi stiate andando a vedere i testi originali dell'opera, esposti solo alcuni giorni in Cattedrale..."
Sembra eccitata, felice di ciò che ha detto. Ma purtroppo io non mi intendo di queste cose... E non credo di avere il tempo di andare a vedere il testo della lirica, in questi giorni.
Mi mordo il labbro inferiore, sembra davvero una brava persona... Ma dopo tutto quello che ci è successo trovo piuttosto difficile fidarmi di un estraneo. Giro lo sguardo verso Marco, cercando conforto nei suoi occhi, senza risultato.
Giorgia scuote la testa: "Scusatemi, non volevo spaventarvi... È che io sono una professoressa." Dice tutto d'un fiato, senza scandire le parole. Tuttavia rimane ferma, non sembra che stia mentendo. E poi, perchè dovrebbe farlo?
Apro la bocca per presentarmi, ma lei mi interrompe bruscamente con un'altra frase: "Di letteratura. Sono una professoressa di letteratura."
Sorrido e continuo: "Il piacere è nostro. Noi siamo Iris e Marco." Punto l'indice verso il ragazzo alla mia destra che mi ghiaccia con uno sguardo. Solo adesso mi accorgo di aver sbagliato.
Ho detto i nostri veri nomi.
Giorgia non ha intenzione di smettere di parlare e continua la conversazione: "Marco... Mio figlio si chiama così! Ma lui non è in grado di recitare d'Annunzio."
Ci fa l'occhiolino e mi sento gelare il sangue. Una madre non parlerebbe mai così del proprio figlio. Un motivo in più per stare all'erta.
Ma Marco non è nella mia situazione: lui è lusingato dal complimento della presunta professoressa. Fa per ringraziarla, ma in quel momento il treno si ferma. Guardo fuori dal finestrino. Siamo nella fermata periferica di Venezia, alla prossima scendiamo.
Inizio a raggruppare gli oggetti nello zaino quando si aprono le porte del mezzo. Una pattuglia di carabinieri inizia a farsi strada tra i posti.
Mostrano un foglio.
Con una foto.
Di un ragazzo.
"No..." Sussurro. Sento qualcuno strattonarmi per un braccio e vedo Marco, evidentemente appena congedato dalla conversazione con Giorgia. I suoi occhi luccicano di lacrime. Ora sì che siamo nei guai.
Mi alzo in piedi e prendo i nostri zaini, mentre lui inizia a trasportare la bici verso la portiera più vicina.
Sento un: "Sono loro!" Provenire da dietro di noi. È una voce femminile, probabilmente di una ragazzina.
I secondi diventano minuti,
i minuti diventano ore.
Vedo la gente tentare di bloccarci, mentre Marco si divincola abilmente.
Lo sguardo si sfuoca lentamente, i suoni e le grida diventano soffusi. Sento qualcuno tirarmi la maglietta, ma io continuo a correre. Vedo le portiere chiudersi ed una bicicletta volare giù dal treno.
Una voce chiama il mio nome, una voce dolce, che però non riconosco subito, dato il baccano. Le ante si avvicinano sempre più, e mi accorgo di non avere molto tempo.
Con due falcate raggiungo la porta, prendo un respiro e salto.
Appena in tempo.
Il pavimento freddo su cui atterro mi risveglia dal mio stato di trance.
Sbatto le palpebre, quanto basta per vedere Marco inforcare la bicicletta e farmi cenno di salire.
Non trovo la forza di alzarmi, sembra che tutto il mondo mi stia spingendo verso il basso.
E io non ho mai avuto il coraggio di contrastare una persona, figuriamoci il mondo intero.
Con la coda dell'occhio vedo un poliziotto correre verso di noi:
"Iris, ora o mai più"
Penso ad alta voce.
Così raccolgo tutta la mia forza e mi alzo in piedi. La gente mi si accalca sopra, sento un piede colpirmi il ginocchio. Vedo Marco scomparire tra la folla.
Cerco di procedere verso di lui, ma non lo vedo da nessuna parte.
"Marco!" Urlo, in preda al panico.
Nessuna risposta.
Solo un coro di voci ovatta il pensiero.
Mi poggio una mano sulla fronte, come per reggerla da una caduta. Mi viene da piangere, ma non riesco a farlo.
Continuo a chiamare il nome del ragazzo, ma invano.
Finchè non sento qualcuno tirarmi per un braccio. "È lui!" Sussurro, girandomi all'indietro.
Ma quello che vedo davanti a me non è il ragazzo dagli occhi verdi, ma una guardia della stazione. Le rughe si stendono in un sorriso.
"Presa!" Esulta, senza lasciarmi neanche per un secondo.
Tento di divincolarmi.
Non può finire così.
Non può.
Ad un tratto qualcosa ci scaraventa a terra, con la forza di un cavallo e la velocità di un ghepardo. La guardia arranca sul pavimento gelido, ed io non perdo altro tempo. Scatto in piedi e corro verso il bolide che mi ha salvata.
Che in questo caso è una Mountain Bike del '91.
Mentre salgo sul portapacchi mormoro un: "Grazie...", ma non ricevo risposta. Invece Marco mette i piedi sui pedali ed inizia a correre per la stazione, evitando la folla di pendolari che ci urla di fermarci.
Ormai tutti ci cercano.
Mentre continuiamo la fuga, lancio uno sguardo rapido verso il treno che ci ha portato fin qui. Un piccolo particolare attira la mia attenzione: Giorgia.
Sta parlando con la Polizia, mi immagino quale sia l'argomento di conversazione.
Vedo la sua chioma girarsi verso il finestrino che ci separa, ed indicarci.
Il poliziotto smette di prendere appunti dalle parole di Giorgia e anche lui incrocia il mio sguardo.
Ma non è questo ciò che mi preoccupa, bensì il sorriso che spunta sulle labbra della professoressa.
È un sorriso malato, di quelli che si scambiano i 'cattivi' nei film polizieschi. Le sopracciglia si incurvano verso il basso e gli angoli della bocca si contraggono in una smorfia di soddisfazione.
Non posso fare a meno di pensare che lei c'entri con tutto, con quello che stiamo passando.
E se fosse uno degli uomini in passamontagna?
Scuoto la testa: impossibile. Lei è solo una mamma-professoressa con la criniera da leone, niente di più.
Eppure una piccola parte del mio cervello continua a vederla come una criminale, e noi le abbiamo detto anche i nostri veri nomi!
Mi mordo il labbro inferiore, credo che questo stia diventando un tic nervoso... E continuando così sono certa che finirà in condizioni pietose.
Nel farlo mi viene in mente un altro pensiero, ancora più straziante di quello di prima.
Abbiamo messo KO una guardia, fatto cadere una ventina di persone ed ormai siamo ricercati da mezza Venezia.
Siamo passati dalla parte del torto, convinti di fare la cosa più giusta.
Tutto questo per cosa?
Vogliamo salvare i nostri compagni, ma potevamo farlo benissimo anche con l'aiuto degli adulti...
Invece no. Abbiamo sempre avuto paura della loro reazione... Ed adesso eccoci qua, dei malviventi, una baby-gang... Tutto ciò che volevamo evitare lo siamo diventati.
E se poi non riuscissimo a raggiungere l'obiettivo? Se i nostri compagni fossero già spariti?
Non sappiamo nulla di ciò che ci aspetta.
Sappiamo solo che non possiamo più tornare indietro.
Stringo la presa delle mani intorno al busto di Marco, che sfreccia, ormai fuori dalla stazione.
Ho bisogno di sentirlo vicino, pronto a sorreggermi.
Ormai siamo solo noi due.
Noi due contro la Polizia e gli uomini con il passamontagna.
-----------------------------------------------------------------
Uh, uhhh!
Scusate per l'inattività, sono più di due settimane che non aggiorno, potrete mai perdonarmi?
Comunque in questo capitolo si fa conoscenza di Giorgia.
Sta a voi decidere cosa farne di lei: potete dimenticarla, oppure tenerla nascosta in un cassetto della memoria.
Io non faccio spoiler!
Comunque, al prossimo capitolo!
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top