Capitolo 7
La Carolina del Nord, rispetto alla Louisiana, vinceva su tutto. Per Jaxon Beck tornare a casa era come uscire da un buco umido, asfissiante e pieno di insetti ronzanti per poter di nuovo respirare. Il mare, le montagne, il vento. Si era fatto una doccia e, per la prima volta dopo due settimane di trasferta, era riuscito a liberarsi dalla patina di sudore che portava la firma di Livingston.
«A tavola, bestie! O niente torta dopo pranzo.»
Jaxon posò sul tavolo una scodella di pollo fritto e le bambine si precipitarono ai loro posti. Era arrivato quella tarda mattina e non avevano ancora smesso di scorrazzare per la casa, cantare, e fargli vedere tutto quello che avevano imparato o fatto a scuola. Con Peregrine, invece, non aveva ancora parlato. Sapeva che non appena le piccole si fossero placate avrebbero trovato il modo di appartarsi.
«Sapevi che Margot ha preso una tartaruga?» esclamò Chrissy, guardandolo con i suoi grandi occhi nocciola.
«Margot ha preso una tartaruga?» ripeté Jaxon, sedendosi a tavola e iniziando a distribuire il pollo.
«Le ha fatto un recinto nel loro prato. Si chiama Thor come l’alieno, ha detto che se voglio posso andare a vederla. Posso andare oggi?»
«Thor come l’alieno» ripeté ancora. «L’alieno si chiama TUR45, Chrissy, e non è un alieno.»
«Sei un boomer» rispose Chrissy. «Ormai lo chiamano tutti Thor, papà, non guardi TikTok?»
«No, e non dovresti nemmeno tu. Da quanto va avanti questa storia?» Lanciò un’occhiata a Perry, che arrivava dalla cucina con un piatto di verdure al vapore.
«Niente di che» rispose lei. «Le controllo io. Siediti composta, Christen.»
«Allora, posso andare o no?» insisté la piccola, mettendo le mani sul tavolo e sporgendosi in avanti.
«Dipende se hai finito i compiti. La mamma non mi sembra molto contenta dei tuoi risultati in matematica, o sbaglio?»
«Ma li ho dimenticati solo una volta!» si lamentò. «E i compiti per lunedì li ho già fatti. E anche quelli per martedì, e per mercoledì…»
«Puoi andare» la interruppe Perry. «Ma porti tua sorella con te, intesi?»
Il viso di Cersei, la minore, si illuminò. Jaxon ricordò allora che le tartarughe erano il suo animale preferito. E capì anche che quella sarebbe stata la loro occasione di non avere quelle due furfanti in giro per casa.
«Perché?» strillò Chrissy. «Poi lei ci dà fastidio, io e Margot dobbiamo giocare alla Play di suo fratello.»
«Cersei non farà niente di male, Chrissy, piantala con questa storia e siediti composta. O niente torta.»
«Io sto con la tartaruga» propose Cersei, mortificata.
Chrissy si sedette composta e afferrò il suo pollo.
«Hey.» Jaxon diede un colpetto alla spalla di Cersei. «Tua sorella dice così solo perché sa benissimo che se giocassi anche tu la stracceresti.» Le fece l’occhiolino.
La piccola gli regalò un sorrisino furbo che era tutto di sua madre. Gli tornò in mente quando aveva conosciuto Perry, dieci anni prima. Allora erano due ragazzini pieni di ambizioni e pronti a tutto. Nel tempo era cambiato molto.
«Forse» rispose lei, scrollando le spalle e girando la forchetta nelle verdure. «A me mi interessa di più la tartaruga, comunque.»
«Non si dice “a me mi”, Cersei» la redarguì Perry. «“A me interessa” oppure “mi interessa”.»
«A me interessa» ripeté lei con il tono di qualcuno che lo aveva già ripetuto milioni di volte. Peregrine non fece una piega, ma a Jaxon scappò da ridere.
Cersei Beck era entrata nella loro vita all’improvviso, come un fulmine a ciel sereno, ed era l’ombra di sua sorella. Aveva un corpo minuto, gli occhi color Chartreuse come quelli di Perry, un carattere solitario. Christen, invece, aveva le spalle formate dagli anni di nuoto ed era l’anima della festa. Un magnete di attenzioni e una radio ininterrotta.
«Papà, tu sei un astronauta» saltò su Chrissy.
«Sono un astrofisico» la corresse, poi si rivolse alla moglie. «Ti prego, dimmi che ha smesso di dire in giro che sono un astronauta.»
Un giorno, quando Christen era in quarta elementare, dei genitori lo avevano fermato fuori dalla scuola per chiedergli della sua carriera nello spazio. Aveva così scoperto che la figlia aveva intessuto le sue lodi per giorni parlando dei suoi viaggi sulle stelle e dentro i buchi neri, mescolando cose che aveva cercato di insegnarle con i racconti disponibili su internet sulla Stazione Spaziale Internazionale.
Perry sorrise. «Finora non ho ricevuto altre segnalazioni, quindi credo di sì.»
«Ma tu sai cosa succede nello spazio, no?» continuò sua figlia. «Non è il tuo lavoro?» Salì in ginocchio sulla sedia.
«Sì, è il mio lavoro» rispose. «Siediti composta.»
Christen scivolò giù. «Allora perché non mi hai mai detto che ci sono gli alieni? Tu dicevi che non ci sono.» Poi guardò sua madre e scoppiò a ridere, come avesse appena detto la cosa più divertente del mondo.
Lei scosse la testa. «Ho già provato a spiegarglielo, non c’è stato verso» sussurrò a Jaxon.
«Ci sono tante cose che possono cadere dallo spazio sulla Terra e che non sono alieni» spiegò lui.
«Tipo cosa?» si levò la vocina di Cersei.
«Tipo pezzi di roccia che vagano per il cosmo» rispose. «O vecchi satelliti abbandonati. Sapete quanti satelliti ci sono che orbitano attorno alla Terra?»
«Cento mila milioni!» esclamò Christen.
«Trentaquattromila cinquecento» disse Jaxon.
«Wow! Sono tanti!»
«È quindi molto probabile che ogni tanto cadano.» Allungò una mano e le stropicciò i capelli biondi. «Se un alieno riuscisse ad arrivare fin qui dovrebbe essere super avanzato. E se fosse super avanzato sarebbe anche capace di atterrare in modo delicato, come gli aeroplani, senza schiantarsi.»
«Se fosse super avanzato non verrebbe sulla Terra» disse Cersei. «Magari si è sbagliato. Per questo è caduto.»
«Non è un alieno, ragazze» reiterò Jaxon. «Ve lo posso assicurare.»
~
Quando Perry tornò a casa, dopo aver accompagnato le bambine da Margot, Jaxon sedette con lei sul divano. Era come un rito, da qualche tempo a quella parte. Lei a un capo del divano e lui all’altro.
Peregrine Johnson era una donna bellissima. Aveva la sua stessa età, trentasette anni, un viso pulito, i capelli scuri e lunghi, ma sempre tenuti raccolti da una pinza. Aveva una carriera brillante. Era un’analista dell’intelligence per la Difesa e al Pentagono era sempre circondata di uomini in divisa con i pettorali scolpiti. Un tempo Jaxon era stato geloso e spesso si era domandato perché mai avesse dato retta a un nerd come lui. Poi il tempo era passato, Chrissy e Cersei erano cresciute. Le cose erano cambiate. Al suo arrivo a casa, quel mattino, si erano dati solo un bacio sulla guancia.
Jaxon si posò i gomiti sulle ginocchia e tuffò il viso nelle mani, per poi passarsele tra i capelli. Era stanco. Per il viaggio, per il lavoro. Per un sacco di cose.
«Questa trasferta sembra più dura del solito» commentò Perry. «Cos’è successo oltre al rilevamento?»
Il suo tono uscì così dolce che Jaxon desiderò tutto a un tratto poterla amare ancora. Doveva gestire da sola i loro terremoti di figlie e pure il lavoro, e nonostante tutto si preoccupava per lui. Peregrine meritava tutto l’amore del mondo e tutto quello che Jaxon non aveva più.
«È come al solito, in realtà» ammise. «Sono solo stanco. Ho la testa che scoppia e volevo vederti.»
Jaxon la guardò e Perry sorrise. Gli allungò una mano e lui la strinse. «Lo sai che su di me puoi sempre contare.»
Una fitta gli trafisse il cuore. «Non è giusto, Perry. Non devi chiuderti in una gabbia per me, meriti di più.» Si volevano bene, ma sapevano entrambi di restare insieme solo perché tenevano a dare una famiglia alle loro figlie e perché le cose funzionavano meglio così.
«Ho tutto quello che desidero, Jaxon. Non voglio che ti fai prendere da questi sensi di colpa. Finché le bambine ci vedono insieme, io sono felice.»
Jaxon perse lo sguardo sul tappeto del salotto, colto da un’improvvisa pressione sulle tempie. Gli venne in mente Vincent Ramires. Allora pensò a sua moglie Amanda e a suo figlio James e si domandò se loro fossero felici. Non li vedeva insieme da mesi, ma dovevano esserlo. Lui e Amanda gli erano sempre sembrati molto innamorati.
«Voglio che tu lo sia» le rispose.
Lei gli lasciò la mano. «Non preoccuparti di questo.»
Jaxon si accorse di aver sperato che anche lei esprimesse interesse verso la sua, di felicità. In fondo, però, aveva dimostrato di preoccuparsi per la sua stanchezza. Si domandò se fosse la stessa cosa e non osò dire nulla.
«Come va il lavoro?» le chiese allora.
L’atmosfera nella stanza cambiò. Peregrine si appoggiò ai cuscini del divano. «Lo schianto in Italia ci sta dando filo da torcere. Non è un pezzo di roccia.»
«Sì, ho sentito Gallagher parlarne.» Jaxon si sedette indietro a sua volta. Parlare di lavoro era sempre stato più semplice che parlare di sentimenti. Forse era per quello che la loro relazione si era spenta. Forse se avessero parlato di più…
«Di qualunque cosa si tratti non è americano, ma Gallagher è esitante a fare dichiarazioni pubbliche» disse Perry. «L’FSB e il Guoanbu negano che sia loro.» Si riferiva ai ministeri della sicurezza russo e cinese.
Jaxon sbuffò. «Figurati, sono sicuramente i cinesi. I russi investono troppo poco nelle forze aeree per combinare una cosa simile e se l’Iran o la Corea del Nord stessero progettando qualcosa, gli alleati lo saprebbero.»
«Non per forza» rispose Perry. «Ma non è questo il problema. Se fosse un satellite, significherebbe che qualcuno non ha rispettato gli accordi del Trattato sullo Spazio Extra-atmosferico del 1967.»
«Oppure che sono stati i cinesi.» Jaxon si alzò a sedere dritto. «La Cina è l’unica nazione con una potenza militare preoccupante che non è dentro il Trattato. Ha firmato all’epoca della Repubblica di Cina, l’attuale Taiwan, e poi non l’ha ratificato. Saranno decenni che studiano come farci il culo dallo spazio.»
«Questo è il motivo per cui la Cina è stato il primo sospettato del Pentagono.» Perry sospirò e si circondò un ginocchio con le dita. Sembrava pensierosa. «Ma abbiamo delle fonti a Pechino. Per quanto il loro sistema sia praticamente inaccessibile, qualche volta le briciole trapelano. E sembra che il Guoanbu sia tanto confuso quanto noi.»
Jaxon la guardò con un pizzico di incredulità. «Dici sul serio? Vuoi dire che non siamo né noi né loro?»
«E questo è il principale motivo per cui nessun governo si sta esponendo pubblicamente. Ad ora nessuno sa cosa dire o chi incolpare.»
Si passò una mano tra i capelli, divertito. «Ci manca solo che Chrissy abbia ragione…» Poi si ricordò del segnale all’LVK, rilevato giusto un paio di giorni prima dell’impatto.
«In ogni caso l’oggetto è caduto in Italia e quindi è nostro» continuò Perry. «Nostre le indagini, nostri i risultati. La scientifica on-site è al lavoro senza sosta.» Poi si alzò dal divano. «Prendo qualcosa da bere.»
Jaxon pensò alla rilevazione, alla tempesta solare e a TUR45. Era già assurdo che le onde gravitazionali e le tempeste solari avessero qualcosa in comune, ma un legame con un impatto a Terra lo era ancora di più. Eppure questo non aveva impedito a Vincent di credere a una possibile correlazione di causalità tra le prime due.
Tirò fuori il cellulare e aprì la loro chat. Voleva scrivergli di quella bizzarra idea, ma le sue dita aleggiarono sulla tastiera senza posarsi. Si domandò perché mai dovesse dirglielo. Poteva tenersela per sé, come aveva suggerito di fare a lui. Il mondo, comunque, non sapeva ancora della dubbia origine dell’impatto. Era un’informazione segreta. Sua. E poi, mentre una pressione tornava a premergli sulle tempie, pensò che si trattava pur sempre di un’ipotesi assurda.
Ripose il cellulare e si alzò. Aveva bisogno di sgranchirsi le gambe.
~
Jaxon sedeva in mezzo a Chrissy e Cersei sul dondolo nel retro della casa. Avevano i nasi puntati al cielo, dove le stelle riempivano una notte senza luna.
«Quella grossa stella luminosa» Jaxon indicava con un braccio teso, «non è una stella, ma un pianeta: Giove.»
«È il pianeta più grande del Sistema Solare!» strillò Chrissy, sedendosi sulle ginocchia. Cersei, dal canto suo, ascoltava e osservava in silenzio.
«Proprio così» disse Jaxon. Poi spostò il dito un po’ più un su. «E quella là, vedete quella rossiccia? Anche quella è un pianeta.»
«Marte!» esclamò.
«Esatto. Ora guardate laggiù, più in basso. Ci sono tre stelle molto luminose e molto vicine che sembrano formare una linea. Le vedete?»
«Le vedo!»
«E tu, Cersei, le vedi?»
«Hm-mh.» Lei annuì.
Jaxon le circondò entrambe con le braccia. «Quelle sono le stelle della cintura di Orione. Alnitak, Alnilam e Mintaka» elencò lentamente.
«Se avessi tre tartarughe le chiamerei così» mormorò Cersei.
«Esiste una leggenda» raccontò Jaxon, abbassando la voce. «Secondo cui, in antichità, gli egizi costruirono le tre grandi piramidi di Giza per allinearle a quelle tre stelle. Se un giorno andremo in Egitto, le vedremo poggiarsi una a una proprio sulla punta delle piramidi.»
«Wow» sussurrò Chrissy, presa dal racconto.
«E invece, vedete quella stella rossa sopra la cintura di Orione?» Le piccole confermarono. «Si chiama Betelgeuse. Questa non è una leggenda, è una storia vera. Betelgeuse è una grossa e vecchia stella che potrebbe morire da un momento all’altro. Quando accadrà, esploderà in una luminosissima supernova!» Chrissy e Cersei risucchiarono l’aria per lo spavento e la sorpresa. «E sarà talmente luminosa che la vedremo anche di giorno per mesi.»
Cersei si era portata le mani sulle orecchie, il viso preoccupato. «Farà tanto rumore lo scoppio? Ho paura…»
«Oh, no» cominciò Jaxon. Questa era la sua parte preferita. «Ci sarà assoluto silenzio. Tutto ciò che succede nello spazio» le guardò entrambe, stringendole a sé, «avviene in totale – assenza – di rumore» scandì, parlando sempre più piano.
Rimasero ad ammirare il cielo stellato senza parlare, assorbiti dal silenzio e trattenendo il fiato come se lo spettacolo della supernova potesse davvero accadere di lì a poco.
Per la prima volta, Jaxon non si sentiva oppresso da alcun peso. Respirava bene, l’aria notturna di Charlotte era abbastanza frizzante da richiedere un giubbotto e profumava di prato. Non aveva pensieri. La sua testa era piena dei grilli che frinivano tra gli alberi del quartiere.
«Papà» chiamò la vocina di Cersei poco dopo.
«Hm?»
«Perché non ami più la mamma?»
Una pugnalata ardente gli trafisse il cuore. Tutto d’un colpo l’aria divenne più pesante di quella della Louisiana.
«Cosa? Perché dici così?» Jaxon tentò di nascondere il panico. «Cosa te lo fa pensare?»
Christen, al suo fianco, era diventata immobile e rigida come un sasso silenzioso.
«Be’, si vede» fece Cersei. «Non le dai più i baci.»
«Amore, ma cosa dici?» Prese la piccola da sotto le spalle con le mani che gli tremavano. «Vieni qui.» Se la mise in braccio e Cersei si accoccolò. «Io e la mamma ci amiamo. Ci vogliamo molto molto bene» si corresse. Non riusciva a mentire e non riusciva a dire la verità. «Non devi preoccuparti. Noi staremo insieme…» Alzò un dito mignolo.
Cersei alzò il suo e li intrecciarono.
«Per sempre» mugolò lei.
«… per sempre» disse Jaxon. «D’accordo?»
Lei annuì, ma non sembrava molto convinta. «Per sempre vale anche se non stiamo tutti insieme mai?» chiese ancora.
Jaxon notò che i suoi occhi brillavano come il cielo. La piccola figura di Christen si strinse un po’ di più al suo fianco. E in quel momento crollò tutto.
Venne giù il cielo, si spensero le stelle, e la Terra sotto i suoi piedi si distrusse, insieme a tutte le sue certezze.
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