Capitolo 6

         La Honda Civic azzurra di Jaxon Beck, vecchia del 1998, fendeva la distesa di campi coltivati che circondava gli edifici dell’LVK, veloce come una freccia scoccata da un arco.

Jaxon amava il suo lavoro perché, a differenza di tutti gli altri lavoratori del suo paese, al mattino non doveva affrontare il traffico. Era solo e la strada tutta dritta: un magnifico red carpet che andava dal suo piccolo quartiere di periferia fin sotto alla finestra del suo ufficio, circondato da nient’altro che acri e acri di verde.

Parcheggiò di fianco a una Mini Cooper blu.

«Non so perché ti ostini a ficcarti proprio di fianco al mio posto personale, Ramires» borbottò tra sé e sé. «Con quella conchiglia vuota rovini il mio gioiellino.»

Fece per spegnere il motore e il quadro, ma la voce alla radio catturò la sua attenzione. Decise di alzare il volume.

“… continuano le indagini per l’oggetto non identificato che ha impattato ieri mattina nel Nord Italia, soprannominato TUR45” stava dicendo. “Mentre la scientifica procede con i campionamenti, il presidente Gallagher si dice pronto a supportare l’amica Italia durante questo momento difficile e a comunicare tempestivamente l’origine del veicolo, si confermasse americana. Suo è l’appello a tutte le nazioni con capacità militare a fare lo stesso. Le dichiarazioni del governo, però, non rassicurano del tutto il paese. È infatti diventato virale in poche ore il post del famoso cantante Lex Auden, che ri-condivide su X le parole di un’indovina pubblicate la settimana scorsa. Tra sette giorni, un visitatore dal cielo porterà la fine del mondo, così afferma la predizione, e Lex Auden si chiede: Gli extraterrestri sono tra noi? È il caos sui social media…”

Jaxon spense la radio e scese dall’auto con un grugnito di fastidio. Passando di fianco a quella di Vincent Ramires, poi, le diede due pacche sul cofano posteriore.

«Prima o poi ti faccio fuori» le disse.

Trovò il collega Billy Holmes alla propria scrivania, che lo salutò con un «Ciao, Jaxon». Vincent Ramires, invece, non solo non lo fece, ma era chinato alle spalle della stagista che gli era stata affidata di recente e che ora sedeva al suo posto. Un’emozione fastidiosa gli solleticò sotto la punta dei piedi e lo portò ad appoggiare la cartellina sulla propria scrivania facendo più rumore del necessario.

«Che cosa ci fai al mio computer, Sutton?»

Vincent Ramires e India Sutton alzarono lo sguardo dallo schermo, entrambi con le sopracciglia arcate.

«Il dottor Ramires ha detto che potevo.»

«Il dottor Ramires non è il tuo supervisore.» Jaxon fece un gesto con la mano come per scacciare un insetto. «Al tuo posto, su su.» Poi girò attorno alla scrivania per fronteggiare Vincent, che si raddrizzò e incrociò le braccia. «Hai finito di sedurre la mia stagista? Se le concedi tutti questi favori, finirà per voler stare con te invece che con me.»

«Veramente ho un fidanzato, dottor Beck» obiettò India, che nel frattempo era scivolata nella sedia a fianco.

Jaxon non la sentì.

«Se sei in ritardo, non vedo perché non dovrei darle una mano» disse invece Vincent. «Aveva delle domande.»

«E io avevo del lavoro da finire.» 

«Bene.» Lui sorrise e allargò le braccia. «Allora sembra che tutto abbia funzionato per il meglio.»

«Con permesso.»

Vincent si scostò per tornare verso la propria scrivania e Jaxon Beck prese posto di fianco alla sua stagista. La nuvola di profumo pungente che la circondava lo fece quasi starnutire. Chiuse tutte le finestre che appartenevano al suo lavoro di dottorato e si sbrigò ad aprire le proprie.

«Le simulazioni che ho fatto girare la scorsa notte hanno portato a risultati inconcludenti» disse rivolto alla stanza. «Non è un problema di massa, né di rotazione, né di carica. Dovremo pensare a qualcos’altro. D’altra parte, per quanto avessi sperato di sbagliarmi, ho ottenuto una conferma.» Si sedette contro lo schienale della sedia.

«La distanza dell’evento» disse Vincent.

«Bingo.»

«Ma è assurdo» si lamentò Billy. «Quel risultato è sicuramente un errore. Insomma, una fusione di buchi neri oltre l’orbita di Plutone?»

Vincent si era tolto gli occhiali e lo guardava con una stanghetta tra le labbra, la fronte contratta dai pensieri. «Un evento di fusione al confine del Sistema Solare è una cosa inaudita. Che dicono gli italiani?»

L’osservatorio a cui lavoravano, l’LVK, era formato da tre impianti: il LIGO a Livingston, il VIRGO a Pisa, in Italia, e il Kagra a Kamioka, in Giappone. Ogni rilevazione di onde gravitazionali avveniva da tutti e tre in contemporanea. Jaxon era stato al telefono con i colleghi italiani dalle cinque di quella mattina.

«Quello che pensiamo anche noi» rispose Jaxon, «che se ci fossero buchi neri dietro casa a quest’ora ce ne saremmo accorti. LVK può darci un errore sulla collocazione precisa, Billy, ma difficilmente sull’ordine di grandezza. Potrebbero volerci mesi per arrivare a r-piccolo, e i giapponesi hanno già iniziato…» India Sutton catturò la sua attenzione nella sua visione periferica. Si girò. «Sutton, che stai facendo?»

La ragazza si stava scattando un selfie, le labbra protese in avanti, i lunghi capelli castani e ondulati liberi da una pinza che li aveva trattenuti. Mise giù il cellulare. «Una testimonianza per Instagram, dottor Beck» spiegò, scrollando le spalle. «Così quando annunceranno la fine del mondo io dirò che c’ero quando è stata scoperta.»

«Non sta finendo il mondo, Sutton.»

«Lei crede? Con tutta la faccenda del blackout e di TUR45 la gente sta iniziando a credere che sia così.»

Jaxon fu sul punto di rimproverarle che una studentessa di dottorato avrebbe fatto meglio a dare ascolto ai propri studi invece che alla gente, ma Billy Holmes scoppiò a ridere e Vincent lo seguì a ruota.

«Non ha tutti i torti» commentò, divertito.

Si innervosì silenziosamente. India, invece, scrollò di nuovo le spalle e scattò una foto un po’ storta ai diagrammi sul proprio pc.

«Niente foto ai monitor» la redarguì.

Lei prese a scrivere una didascalia. «Sono una donna nelle STEM, dottor Beck. Devo condividere il mio percorso per invogliare le ragazze più giovani a studiare la scienza.» Jaxon appoggiò i gomiti al tavolo e si passò le mani tra i capelli. «Se la cosa la infastidisce, questo dice molto di più sul suo conto che sul mio, sa» continuò lei. «Sarà anche il mio supervisore, ma non tollero la misoginia.»

Jaxon scattò in piedi. «Vado a prendere un caffè.»

Uscendo dalla sua nuvola di profumo, inspirò a pieni polmoni.
  

~
 

 
          Al posto del caffè, dal bicchiere di carta di Jaxon Beck risaliva il tepore di una camomilla. Se ne stava assorto ad osservare il mulinello sul fondo, che si creava agitando quel che restava della bevanda. Era da quattro giorni che non dormiva, da quando le sirene di notifica lo avevano colto di sorpresa nel cuore della notte, e sapeva che per Vincent era più o meno lo stesso. Erano così fin dall’università, non si sarebbero fermati finché non avessero ottenuto fino all’ultimo risultato corretto.

Billy Holmes, dal canto suo, era un tipo molto più rilassato. Arrivava dal Winsconsin, era entrato nel giro un paio di anni prima. Era la terza volta che Jaxon lo beccava a Livingston. Nessun astrofisico si fermava mai per lunghi periodi, ognuno aveva i propri uffici in giro per il mondo e periodicamente si organizzavano trasferte. Per Billy trovarsi lì era il sogno di quando era ragazzo.

Lui e Vincent, invece, arrivavano da Charlotte, Carolina del Nord, dove avevano studiato. Avevano entrambi una moglie e dei figli piccoli, Jaxon due ragazzine di otto e dieci anni e Vincent un marmocchio di tre. Il lavoro aveva richiesto alle loro famiglie un gran numero di compromessi negli anni. Vincent insegnava saltuariamente alla Louisiana State University e per questo doveva trascorrere più tempo lontano da casa. Jaxon, invece, per quanto non stesse mai molto a Livingston, aveva sposato una donna che lavorava al Pentagono e che si spostava continuamente tra Charlotte e Washington in base ai periodi di smart-working.

Perry era una donna dalla determinazione di ferro e dal fegato di acciaio. Nonostante le figlie, aveva sempre incoraggiato le loro carriere e aveva presto trovato una soluzione: «Basta che uno di noi sia sempre a Charlotte con le bambine, per il resto possiamo andare ovunque il lavoro ci richieda.» Con lei tutto sembrava diventare più semplice, ogni problema aveva una soluzione. Perry era l’unico essere umano al mondo capace di infondergli calma e di dare lentezza alle cose e, ora più che mai, sentiva di averne bisogno. Non solo. Jaxon era certo che lei sapesse qualcosa di più sulla faccenda di TUR45. Il Pentagono, però, controllava tutte le comunicazioni e al telefono non ne potevano parlare. Non seriamente, comunque.

«Jaxon.»

Si voltò. Vincent lo aveva raggiunto alle macchinette, dove ordinò una tazzina di caffè. La sua matassa di capelli stopposi non aveva ancora trovato pace dalla rivelazione di quattro giorni prima. La camicia a quadri, invece, l’aveva cambiata. Ora non era più gialla, ma verde.

«Che fai? Ti sei perso?»

«Rifletto.» Jaxon finì la camomilla e buttò il bicchiere.

«Muito bem, canalha, magari è la volta buona che fai girare quelle rotelle nel verso giusto. Hai avuto qualche intuizione vincente?»

«Non sai quante, canalha» Jaxon imitò il suo portoghese. «Cose che non potresti mai immaginare.»

«Scusa, come hai detto? Can…?»

Scosse la testa e fece per andarsene. «Vai al diavolo, Vincent. Non ti sopporto quando fai l’Europeo con me.» Come non sopportava il suo accento, o il suo vizio di chiamarlo “canaglia”, o il suo essere irrimediabilmente sempre un passo avanti. Tra di loro, Vincent era sempre stato il più astuto. Una competizione in cui si cimentava da anni.

«Aspetta, volevo parlarti.»

Jaxon si fermò, si tolse gli occhiali e si passò una mano sul viso stanco e sudato. Alle sue spalle, Vincent afferrò il suo caffè e lo raggiunse.

«Ho bisogno che tu sia di buon umore, lo sei?» gli chiese in fretta. Gli occhi verdissimi del professore scandagliarono i suoi. «Sei di buon umore?»

«Potrei commuovermi, dottor Ramires.» Conosceva la domanda. Significava che voleva rivelargli qualcosa che non gli sarebbe piaciuto. «Ma temo di doverti deludere.»

«Ho ricevuto un’email da un gruppo di dottorandi in astrofisica del Missouri» disse Vincent lo stesso.

«Santo cielo, ma che cosa…?» Jaxon corrugò la fronte e allargò le braccia. «Dal Missouri? Da quando esiste l’astrofisica in Missouri? E come diavolo hanno i tuoi contatti?»

«Amici di amici, hanno menzionato un paio dei miei studenti.» Jaxon desiderò all’improvviso poter prendere un po’ d’aria. O forse dormire. Fece per andarsene, ma Vincent gli bloccò il corridoio. «Ascoltami, mi stai a sentire?»

Espirò con pesantezza. «Ti do cinque minuti.»

«Me ne basteranno tre» sfidò Vincent. Si portò alla bocca il caffè e lo mandò giù tutto in una volta. Poi buttò la tazzina. «Hanno trovato un legame di causalità tra il nostro rilevamento di onde gravitazionali e la tempesta solare.» Jaxon impiegò tutto il proprio autocontrollo per non gridare. Ecco perché non gli sarebbe piaciuto. Tra i buchi neri e le tempeste solari non esistevano correlazioni. Ma Vincent continuò: «Hanno creato un modello matematico in cui un’onda gravitazionale è abbastanza intensa da mettere in risonanza le oscillazioni stellari di oggetti come il Sole. Questo crea degli shock sonori al loro interno che portano ad aumentare i brillamenti solari e, di conseguenza, causano le tempeste.»

«Vincent, per l’amor del cielo» supplicò Jaxon, abbassando la voce. «Renditi conto di cosa stai dicendo, sarà un gruppo di sfigati rinchiuso nel magazzino di una fattoria che ha creato un modellino da quattro soldi con cui giocare, senza alcuna validità.»

«Hanno confrontato le nostre rilevazioni con l’attività solare del 12 marzo» insisté lui.

Jaxon incrociò le braccia. «Oh, ma dai? E fammi indovinare, hanno scoperto che coincidono?»

«No» ribatté. «La tempesta solare è iniziata poco più di otto minuti e mezzo dopo la nostra rilevazione.»

L’irritazione di Jaxon si raffreddò mentre la sua mente si metteva pian piano in moto per riconsiderare la faccenda. Lo sguardo del professore era fisso nel suo e pieno di aspettativa, serio come una roccia appuntita. Jaxon si infilò le mani nelle tasche dei pantaloni e si avvicinò alla finestra del corridoio, oltre cui spinse lo sguardo.

«Otto minuti-luce è la distanza Terra-Sole» commentò.

«Esatto.»

Osservò distrattamente uno dei bracci dell’osservatorio, un tunnel bianco brillante che attraversava il verde dei campi per chilometri. Quando nello spazio due enormi buchi neri si fondevano l’uno con l’altro, a migliaia di anni luce di distanza, l’interferometro a laser che percorreva quei bracci era capace di cogliere l’infinitesima vibrazione che l’evento provocava.

«Quindi credi che a scatenare la tempesta solare siano state le emissioni del nostro evento di fusione?»

«Sì. Hanno attraversato il Sistema Solare, hanno raggiunto l’osservatorio e otto minuti dopo hanno stimolato il Sole. Boom» Vincent allargò le mani, «blackout a Coimbra, Tokyo e un sacco di altre città sulla stessa latitudine.»

Jaxon lo studiò sfregandosi il mento. Vincent Ramires era forse la persona più intelligente che conoscesse. Un brillante scienziato, un po’ esuberante di tanto in tanto, ma una mente abbastanza sveglia da riconoscere una perdita di tempo, specialmente in un periodo pieno come quello. Se aveva deciso di dare attenzione a quei ragazzi, suppose, doveva aver intuito qualcosa. Questo fu il principale motivo per cui esitò.

«Ho già analizzato il loro modello» aggiunse, unendo le mani di fronte a sé come un ragazzino che ammetteva di aver combinato una marachella. «Ed è corretto.»

Lui assottigliò appena lo sguardo. «Se credi davvero che sia così, perché me lo stai dicendo? Potrebbe essere la scoperta più eclatante del nostro secolo. Tienitela per te, pubblica e prenditi tutte le acclamazioni del mondo, come al tuo solito.» Gli diede una pacca sul braccio.

«Ecco, no, credo che…» Il professore spostò lo sguardo fuori dalla finestra, si avvicinò di un passo e continuò sottovoce. «Credo che questa volta dovremmo collaborare.» Deglutì. «Questo, qual-qualunque cosa sia, credo sia più grande di quanto riusciamo ad immaginare. Ho pensato che sarebbe meglio unire gli sforzi.»

L’idea non gli piacque, ma non lo mostrò. Era rimasto catturato dalla genuina agitazione del collega, un tratto che raramente gli aveva mostrato. Tuttavia, nelle pubblicazioni scientifiche c’era sempre un Primo Autore e poi tutti gli altri collaboratori. Non esisteva l’opzione “Primi Autori.” Da quando si erano conosciuti, in ogni loro lavoro, conquistarsi quel posto era stata la loro infinita guerra. Chi aveva l’idea vincente conduceva e gli altri seguivano. Collaborare per trovare l’idea vincente significava che alla fine sarebbero dovuti scendere a un compromesso.

«Siamo sicuri ci fosse solo caffè in quella tazzina?»

«E tre cucchiaini di zucchero» disse Vincent, tornando a guardare lui. «Vorrei che prendessi sul serio la cosa.»

In quel momento arrivò India Sutton, insieme alla sua nuvola di profumo pizzicante e al suo inseparabile cellulare. Jaxon si trattenne dall’alzare lo sguardo al cielo.

Squadrò entrambi gli astrofisici da capo a piedi, poi studiò la macchinetta. «Di là mi sto addormentando» esordì. «Avete qualche moneta per un caffè? Non ne ho portate.»

«No…» iniziò a dire Jaxon.

Ma Vincent gli parlò sopra. «Sì, ecco qui.» Estrasse degli spiccioli da una tasca. «Fai pure, prendi quello che vuoi.»

«Grazie!» esclamò India. «Lei è simpatico, dottor Ramires, sono contenta di averla conosciuta.»

«Oh, e di che» fece Vincent, «per un po’ di gentilezza…»

«Accetto» gli disse Jaxon all’improvviso, riprendendosi la sua attenzione. Il viso del professore brillò. «Ma ho bisogno di riordinare i pensieri. Chiedo un permesso e torno da Perry e le bambine per qualche giorno.»

«Oh!» ululò India, girandosi dalla macchinetta. «Ha una compagna, dottor Beck. Non mi sembra possibile.»

Jaxon la ignorò rigidamente. Vincent, invece, rise della sua battuta.

«E ti lascio lei per il tempo che sto via» aggiunse, «così potete prendere caffè e farvi le foto tutto il giorno. Contenti?»

«Sì!» esclamò la ragazza alle sue spalle.

Il professore non disse nulla, in viso un’ombra di confusione. Jaxon si voltò e si allontanò nel corridoio con passo sostenuto per tornare all’ufficio.

«Jaxon, aspetta.» Vincent lo inseguì. La sua voce aveva una nota preoccupata. «Va tutto bene? È successo qualcosa a casa? È da un po’ che non parli di Peregrine.»

«Perry sta bene» tagliò corto lui. «Ho solo bisogno di staccare qualche giorno. Quando torno ne riparliamo.»

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