Capitolo 5

Quando Leonardo rientrò a casa erano le dieci di sera e cenò con un McDonald's consegnato a domicilio. Nella destra teneva il panino, con la sinistra accarezzava i tasti del pianoforte e di tanto in tanto ne premeva uno per ascoltarne la vibrazione. Farlo mangiando era in realtà quasi impossibile. Ma non aveva importanza, conosceva i tasti e i loro suoni a memoria. Era la sua mente a suonare al posto del piano.

L'aria erbosa e dolciastra del campo volo gli era entrata sottopelle e lì si era impressa. E quell'enorme buco nero in mezzo al prato, come un tuffo in un abisso sconosciuto, era una visione che gli dava i brividi. Non aveva mai visto, né sentito parlare di nulla del genere in tutta la sua vita. Quali erano le probabilità che capitasse proprio a Torino? Nel bel mezzo di una città, ma proprio nel punto in cui avrebbe causato meno danni. Nessuna vittima.

Finito il panino, si pulì le mani dalle briciole e prese un generoso sorso dal bicchiere di Coca-cola ghiacciata. Poi lo appoggiò al banco del piano, si asciugò le mani sui pantaloni e posò le dita sui tasti.

Chiuse gli occhi.

Le note gli solleticarono i polpastrelli. Gli risalirono gli avambracci. Una melodia lontana, come dall'altra parte del mondo, gli arrivò ai timpani come un sibilo, come un ricordo. La melodia scorse da lui come la linfa di un ramo mozzato, rimbalzò sul pavimento, vibrò nell'aria.

Prese il bloc-notes che teneva sul piano e si scrisse il giro di note che aveva inventato. Poi riprese a suonare. Era probabile che sarebbe rimasto alzato fino a tardi per mettere insieme quella nuova composizione. Se tutto andava bene, entro domenica avrebbe girato il video e lunedì lo avrebbe caricato. Alle sue poche migliaia di seguaci sarebbe piaciuto. Aveva anche già in mente un titolo.

Poi si fermò. Le dita sui tasti e gli occhi chiusi. Ascoltò le ultime vibrazioni scivolare via e si immerse nel silenzio della casa, scandito dal battito del suo cuore.

Non era solo.

Lo percepì sotto i piedi. Lo avvertì in un leggero profumo. Dolciastro, bruciato. Un soffio d'aria più leggero. Gli giunse un familiare risucchio, come la porta d'ingresso che si chiudeva, e un brivido di timore gli corse lungo la schiena. Nessuno aveva le sue chiavi di casa e, chiunque fosse, aveva chiuso la porta. Strano per un ladro.

Aprì gli occhi. Guardò il bicchiere di Coca-cola e il bloc-notes. Un pizzicore alle narici gli ricordò l'odore della polvere che le ragazze usano per truccarsi il viso. Sbirciò alle proprie spalle, ma non vide nessuno. E per un istante si domandò se non fosse tutta una sua paranoia, se quell'odore non lo avesse lasciato la ragazza di Ettore. Lei si truccava sempre molto. Ma appena prima di rigirarsi notò l'ombra. Una piccola silhouette dalle forme aggraziate rannicchiata vicino all'angolo del corridoio.

La paura gli strinse la gola e gli irradiò un'ondata di sudore freddo in tutto il corpo. Dio, c'era veramente qualcuno in casa sua. Si domandò che intenzioni avesse. Di sicuro aveva una pessima tecnica nel nascondersi e nel rubare, visto che non lo stava facendo affatto.

L'ombra scivolò dall'angolo e sparì nel suo bagno. Leonardo deglutì. Tornò a guardare la tastiera di fronte a sé e ragionò. Le uniche cose di valore che possedeva si trovavano tutte attorno a lui: il pianoforte e la strumentazione per registrare i video. Il cellulare era dall'altra parte della stanza, alle sue spalle, sul bancone della cucina. Non aveva soldi in giro. Soprattutto, non in bagno.

Scorse un dito sudato sui tasti e gli sovvenne una pessima idea. L'intrusa ancora non sapeva che lui si era accorto di lei e poco prima stava suonando.

Premette un tasto e la nota si diffuse nell'aria.

«I knew you were trouble when you walked in» cantò.

La sua voce uscì bassa, ma intonata, e terminò con un tremolio. Leonardo ascoltò il silenzio. Poi deglutì e spinse un'altra nota. «So, shame on me now...» Appoggiò l'altra mano per continuare a suonare, «... Flew me to places I'd never been.» La musica gli impediva di percepire la sua presenza. Ora non aveva più idea di dove fosse. Il suo respiro tremò. «Now I'm lying on the cold hard...»

Una lama gelida premuta sulla gola gli mozzò il fiato.

Leonardo rimase immobile, le mani ancora sulla tastiera. Aveva alzato la testa d'istinto e ora fissava la parete giallina sopra il pianoforte, i timpani assordati dal battito del suo cuore. Eccolo di nuovo: il profumo terroso della cipria. Gli aveva riempito le narici, insieme all'odore del campo volo, dello smog di Torino, il profumo di uno shampoo alle mandorle. Trascorse un tempo indefinito, poi si rese conto che se la persona gli avesse parlato, non avrebbe avuto modo di sentirlo. Il suo cuore copriva ogni brusio. Aspettò, fermo e in silenzio, con un rivolo di sudore gelido sulla tempia, finché la pressione della lama non svanì.

Allora alzò le mani dai tasti con un gesto lento. Sbirciò di nuovo oltre la spalla. E finalmente si girò.

Era davvero una ragazza. A giudicare dal viso, doveva avere pressappoco la sua età. Portava una coda di cavallo ed era vestita come di quei tempi si vestivano tutte le ragazze per uscire di sera. Leonardo si sarebbe anche fermato ad apprezzarne le curve sinuose, se non fosse stato per il coltellino che teneva in mano e gli puntava. Ma quello non era il problema peggiore. No, il problema peggiore era che indossava una mascherina scura fin sopra il naso e non poteva leggerle il labiale.

Gli arrivò il brusio ovattato della sua voce, privo di significato.

«Puoi abbassarti la maschera?» le chiese, ripetendolo con lentezza nella lingua dei segni. Non che sperasse che l'intrusa la conoscesse, ma magari così avrebbe compreso il problema. «Puoi minacciarmi tutto il giorno, ma non ha molto effetto se non ti sento» aggiunse, ancora con le mani alzate.

Per un istante la ragazza non si mosse, lo sguardo incredulo. Poi abbassò il braccio che reggeva il coltellino con pesantezza, roteò gli occhi e si tolse la mascherina con un gesto brusco.

«Non ci credo» disse, e Leonardo la capì. Aveva la bocca rosata da un leggero lucidalabbra. «Mi senti ora?»

«Sì, ecco. Molto gentile.»

«Speravo non ti accorgessi di me. Merda.» Lei alzò di nuovo l'arma e gliela puntò. «Non obbligarmi a ucciderti.»

Leonardo deglutì e indietreggiò appena sullo sgabello. «Abbi pazienza, sei entrata in casa mia ed era piuttosto impossibile non accorgersi di te. Posso continuare a fare finta di niente, se preferisci.»

«Preferisco, sì.»

«Ma certo.»

«Resta fermo dove sei.»

La ragazza fece scattare il coltellino che, per tutta sorpresa di Leonardo, si trasformò in una penna. Poi si girò e cominciò a guardarsi attorno, scrutando i mobili, il divano del salotto, l'angolo della cucina.

«Non ho soldi» disse Leonardo, «e il mio cellulare è un Oppo di tre anni con il vetro rotto. Se posso esprimere anche io le mie preferenze, quello vorrei tenerlo, o mia madre potrebbe impazzire.» Seguì la ragazza nella sua ricerca ansiosa mentre iniziava ad aprire le ante di un mobile del salotto dove teneva due tovaglie e dei piatti di carta. «Se ti può interessare, quelli al piano sopra hanno sicuramente di più. Be', non li conosco, ma a giudicare dalla loro auto...»

La ragazza si girò verso di lui. «Non sono qui per rubare. Non sono un ladro né un delinquente.»

«Sono piuttosto sicuro che scavare nei miei mobili e minacciare di uccidermi sia invasione di proprietà privata e altre cose illegali.»

«Non era nei miei piani, te lo assicuro.» La ragazza chiuse le antine e si alzò in piedi. «Quindi lasciami finire il mio lavoro e dimentichiamo questa cosa. E se provi a denunciarmi ti uccido.»

Leonardo non le credeva. Le avrebbe retto il gioco ma, non appena se ne fosse andata, avrebbe chiamato la polizia. Dubitava sapesse uccidere o avesse mai ucciso qualcuno. Per prima cosa, era una ragazza. E sì, Elena avrebbe detto che era un'idea maschilista, ma non riusciva a immaginare una ragazza killer. Secondo, quando aveva ammesso di non essere una delinquente le aveva creduto. Non sembrava molto esperta in quello che stava facendo e, di fatto, non gli stava rubando nulla.

Afferrò il bicchiere di Coca-cola avanzata e ne aspirò un po'. Il rumore attirò l'attenzione della ragazza, che si girò dalla cucina con aria perplessa.

Leonardo allargò le braccia. «Cosa c'è?»

Lei lo liquidò con un gesto della mano e chiuse altre antine. Non era nemmeno interessata ai suoi pacchi di pasta, quindi. La cosa, doveva ammettere, un po' lo incuriosiva.

«Hai fame?» le chiese.

La ragazza alzò tre dita e le mosse in un modo che Leonardo lesse come un "no." Allora conosceva la lingua dei segni. La cosa lo incuriosì ulteriormente. Non era il gesto tipico riconosciuto dalla lingua dei segni italiana. Tra le varie nazioni spesso c'erano delle differenze e qualcuna, per curiosità, l'aveva imparata. Quello, per esempio, era utilizzato in Russia. Fu sul punto di chiederle in proposito, ma lei smise di cercare nei mobili e si avvicinò a una parete, dove posò le mani e un orecchio.

Leonardo si alzò e si appoggiò al piano, le braccia incrociate. Quello doveva essere davvero il giorno più strano di tutta la sua vita. Non erano bastati il blackout e un cratere immenso a Torino, no. Ci voleva anche una ragazza dal viso divino che gli perlustrava la casa e lo minacciava con un coltellino-penna.

All'improvviso la giovane smise di cercare e si spostò in mezzo al suo soggiorno, le mani sui fianchi e lo sguardo perso. Aveva un'aria esausta, doveva ammettere. Non solo: un piccolo solco in mezzo alle sopracciglia gli trasmise un profondo turbamento. Quasi una preoccupazione.

Si girò a guardare lui. «Vieni qui.»

Leonardo si prese qualche istante per pensarci su. Notò che la penna minacciosa era sparita dalla sua mano. «Vuoi ancora uccidermi?»

«Non voglio ucciderti» ribatté lei. «Avanti, vieni qui, non ho tutto questo tempo.»

Per l'amor del cielo. «Oh, ma certo, con comodo.» Leonardo lasciò il pianoforte e si avvicinò. «Quello che vuoi.»

«Solleva le braccia.»

Lui obbedì. La ragazza iniziò a perquisirlo nello stesso modo in cui aveva visto fare negli aeroporti. Questa poi.

«Posso anche offrirti un caffè?» continuò. «O magari un mors, se non sbaglio è più diffuso nella tua regione.»

Le mani della ragazza si bloccarono sui suoi fianchi. Fu un breve istante, poi alzò la testa e lo guardò.

«La mia regione?» domandò, un sopracciglio alzato.

Leonardo avvertì una stretta indesiderata al basso ventre. Aveva gli occhi chiari come uno specchio d'acqua limpida e congelata. Le guance leggermente rosate, i lineamenti di una bambolina di porcellana. A chiunque lo avesse raccontato, non gli avrebbero creduto.

Deglutì. «Credo che tu sia russa» le disse. «L'ho capito dal modo in cui hai detto no nella lingua dei segni.» Ripeté il gesto con le tre dita. «Ho notato che hai un modo strano di pronunciare le parole. E poi si capisce dai lineamenti. Non sei italiana.»

«Non sono russa» chiarì lei. «E non sono nemmeno italiana.»

«Cosa, allora?»

«Niente. Non sono affari tuoi.»

«D'accordo, niente. Hai finito di palparmi oppure...?»

Lei gli abbassò le braccia con un gesto secco e gli girò attorno. Era più forte di quanto avesse immaginato, pensò. Dal suo aspetto non l'avrebbe mai detto. Insomma, era poco più bassa di lui e aveva le guance rotonde.
Averla alle spalle e non sapere cosa stesse facendo gli diede un certo senso di nervosismo. Ma poi gli ricomparve di fronte, scandagliando il suo appartamento come avesse due sensori al posto degli occhi.

«Senti... Tu non ti sei accorto di nulla?» gli chiese.

Un migliaio di pensieri gli affollò la mente. Strinse le sopracciglia. «A cosa ti riferisci?»

«Quando sei entrato in casa, non ti sei accorto se... se, per esempio, fossi seguito?»

«Da te?»

«No, non da me.» Lei si girò e imprecò tra sé e sé. Si morse il labbro inferiore. Per un istante parve combattuta, poi tornò a lui. «Va bene, d'accordo. Il motivo per cui sono entrata in casa tua è perché ho visto... una cosa che ti seguiva. Ti ha seguito fino in casa. E credo che ora sia qui.»

«Ma che...? Aspetta un momento.» Doveva aver capito male. Ripeté tutto usando anche la lingua dei segni. «Hai detto che qualcuno ha seguito me

«Sì» rispose lei, preoccupata.

«Fino qui, in casa mia.»

«Sì.»

«E tu hai invaso la mia proprietà per questo? Credi ci sia qualcun altro, in casa mia, e io non lo saprei?»

«Sì, ma non è... qualcuno.» Per la prima volta da quando l'aveva vista, sul suo viso Leonardo lesse un velo di insicurezza. La ragazza si passò una mano sui capelli, lisciando indietro i ciuffi caduti dalla coda. «Non era esattamente... Non sembrava una persona. Insomma, non del tutto.»

«Ti fai di droga?»

Lei alzò gli occhi al cielo. «No.»

«D'accordo.»

Rifletté per dare un senso a quella serata allucinante, ormai indeciso se chiamare la polizia oppure un'ambulanza. Era evidente che la ragazza avesse bisogno di aiuto e, con quegli occhioni e quel visino con le guance rosse, non se la sentiva di cacciarla fuori casa o lasciarla da sola. Lei e la sua micidiale penna-coltellino.

«Non so cosa sia, ma non è il genere di cose che passano inosservate» continuò lei. «Ho aspettato un po' prima di entrare, perché credevo che te ne saresti accorto da solo.»

Fu sul punto di rispondere, ma con la coda dell'occhio colse una forma in mezzo al corridoio a cui la sua vista non era abituata. Avrebbe potuto essere uno scherzo della mente ma, girandosi, i suoi occhi lo trovarono davvero lì. In piedi.

Risucchiò l'aria per lo spavento. «Oh, mio Dio.»

La ragazza si girò e aprì le braccia in una posizione di difesa. Leonardo non riuscì a muoversi, come se tutto il suo sangue si fosse congelato. Eccola lì, la cosa che lo aveva seguito.

E davanti agli occhi di entrambi, scomparve.

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