Capitolo Undici

Il sentiero che conduceva alle alture del monte Daeseong era bloccato da una frana, e la salita era diventata sempre più ardua. Yoon Ah si fermò più volte per guardare indietro, dove Chung Ho arrancava. Il pallore aveva preso posto sull'incarnato solitamente più scuro e le occhiaie avevano reso smunto un viso pieno. Il sudore sulla fronte scendeva come se avesse avuto la febbre, ma non si era lamentato nemmeno una volta.

Yoon Ah lo attese sul bordo di una roccia e allungò una mano verso di lui. Chung Ho spostò lo sguardo altrove e la raggiunse senza accettare nessun aiuto. Se lei era testarda, lui lo era altrettanto. Perciò, si spolverò le mani sulla jeogori nera e riprese a camminare, ma rallentò il passo, per affiancarlo.

Se solo si fosse azzardato a perdere i sensi lo avrebbe lasciato in pasto alle bestie feroci che circolavano nella foresta. Non era lì per occuparsi di lui, e aveva intenzione di tornarsene a Nangnang con qualcosa da comunicare a suo padre, e al Principe Reggente.

«Ciò che si racconta a Palazzo, dunque, è vero. Sei affetto dalla malattia del sonno.»

Chung Ho si aggrappò a un ramo caduto per superare l'ultimo tratto di salita, e ritrovarsi su un sentiero pianeggiante. Passò il dorso della mano sulla fronte, per poi guardarla con la coda dell'occhio.

«La chiamano malattia?» bevve un sorso d'aria, prima di riprendere il cammino «Io oserei chiamarla maledizione.»

Yoon Ah legò i capelli in una coda, nel momento in cui le prime folate di vento - che i rami poco fitti non bloccavano – li spostarono sul viso. Chung Ho fece lo stesso, districando le onde mosse.

«E chi si sarebbe scomodato a maledirti?»

Lui le rivolse una smorfia contrariata, a cui Yoon Ah rispose con un mezzo sorriso. Lui stesso desiderava essere trattato come un ragazzo qualunque, come se nelle sue vene non scorresse il sangue delle Sacre Ossa di Silla. Si affaccendava così spesso a sembrare una sacrificabile guardia del corpo, che non era difficile trattarlo come tale.

«Se ne fossi a conoscenza, non porterei questo peso. In fondo, non è così strano. Sono un candidato al trono di Silla, e sono stato mandato via pochi giorni dopo la mia nascita.»

Yoon Ah inclinò la testa verso di lui, per essere certa che non stesse scherzando. Come poteva ritenere che non fosse strano?

«Eppure tu non sei stato l'unico erede di Silla ad esser stato esiliato. Il Re ha dato ascolto alla donna che ti ha generato, la Regina Giseok.»

Le ombre sul volto di Chung Ho divennero scure. Le onde ribelli caddero su parte del viso. Annuì con riluttanza, e solo dopo rispose con un sorriso forzato. Le labbra tremavano.

«Sembra che mi abbiano mandato via per tenermi al sicuro. Nei tempi precedenti al salita al trono di mio padre furono uccisi molti Principi a Corte.»

Yoon Ah lo spiò in tralice. Non credeva nemmeno lui a quanto gli era stato raccontato, ma incredibilmente sembrava non voler conoscere la verità. Forse per questo amava tanto Goguryeo, perché era stato accolto sin da bambino, e aveva vissuto lì in modo più libero di quanto sarebbe accaduto a Silla.

«Vuoi chiedermi cosa accade dopo che chiudo gli occhi, non è così?»

Quella domanda impovvisa la spiazzò. Come osava solo pensare che potesse provare la pur minima curiosità verso di lui? Eppure, leccandosi le labbra, sussurrò guardando la punta dei suoi stivali: «Se insisti nel volermelo dire.»

Chung Ho smorzò una risata, scuotendo la testa. Per quanto le dispiacesse ammetterlo, aveva la capacità di ammorbidire le sue ferree prese di posizione.

«Mi chiedo se un giorno smetterai di fingere che non ti importi di cose che invece ti importano.»

Lo avrebbe castigato con un colpo alla spalla, ma Chung Ho si immobilizzò e reclinò la testa da una parte. La mano era finita sul pomo della spada. Yoon Ah corrugò la fronte e si fermò a guardarlo.

«Che stai facendo?»

Lui le fece segno di fare silenzio.

Solo allora si rese conto di quanto la luce fosse mutata. Il terreno aveva mutato la propria ombra, e sulla polvere erano ricalcate sagome antropomorfe. Quando Yoon Ah sollevò la testa verso i rami fitti degli alberi, una rete pesante crollò su di loro, per catturarli.

*

Incenso. Camelia.

Il fiore ricamato sui fazzoletti neri dei disertori.

Un profumo tenue, delicato, si radicò nelle narici di Yoon Ah. Era reale, ma era anche un ricordo perduto, di mai più posseduto, segregato nel fondo di una mente delusa.

Quando aprì a fatica le palpebre trovò solo penombra. Fiamme di poche candele ondeggiavano contro le pareti di una grotta. Formavano immagini conturbanti, di draghi, fenici e tigri. Si uccidevano fra loro in un rituale di sangue.

Yoon Ah scosse la testa, e si rese conto di trovarsi appesa per i piedi. Il mondo al contrario le diede il voltastomaco. Al suo fianco riconobbe il viso pallido di Chung Ho, ancora svenuto. Si dondolò verso di lui, ma era troppo distante. Se lo avesse chiamato per nome, chi li aveva catturati si sarebbe accorto della ripresa dei sensi.

Eppure, qualcuno la stava guardando dal fondo della grotta.

Smise di ondeggiare e raddrizzò la testa. Riconobbe una veste marrone che scendeva fino a terra, fasciando una donna esile e alta. Lunghe trecce abbellivano le spalle strette e il viso selvaggio, ancora giovane, mostrava un sorriso tenero, colmo di apprensione.

«Sei tornata in te, Yoon Ah?»

La donna fece segno ad alcuni uomini di liberarla. Questi, col viso coperto, si avvicinarono per tagliare via le corde. Vene nere correvano lungo il loro collo. Anche loro, come Tae Ryu, avevano subito il sortilegio.

Segati via i lacci che la tenevano appesa crollò a terra. Attutì la caduta con un ginocchio e sollevò la testa. Soffiò sulle ciocche di capelli che le erano finite sul naso e guardò di nuovo.

Il cuore, che sembrava ancora essere al suo posto, palpitò come mai prima di quel momento. Il palato si seccò al punto da aver bisogno di aria. Quelle lacrime che non aveva mai versato, comparvero sul bordo delle ciglia.

«Eomonim[1]?»

Le trecce strette da lunghi cordoli di perle tintinnarono con fare affermativo. Yoon Ah si alzò, senza badare al ginocchio che pulsava. Rimase immobile, mentre la donna si avvicinava sotto i giochi di luce delle candele, e gli uomini si ritraevano verso il fondo della grotta.

«Ricordi il viso di tua madre?»

Yoon Ah corrugò la fronte.

Il Generale Lee le aveva raccontato spesso di quanto somigliasse a sua madre. Aveva ripreso da lei i morbidi lineamenti del viso, e lo sguardo ruvido, i capelli più chiari del nero, color fango, erano così simili ai suoi.

Quando la donna portò una mano verso di lei, per sfiorarla, Yoon Ah mosse un passo indietro. I muscoli divennero tesi, e incerti. Chinò la testa da una parte e soffocò i singhiozzi che per tutto quel tempo aveva lasciato morire dentro. Per amore verso suo padre aveva evitato di mostrare il turbamento, per amore verso se stessa aveva dimenticato tutto di sua madre, persino le camelie.

Ora, però, i ricordi tornarono a galla. Ricordava le storie che le raccontava quando non riusciva a chiudere occhio, le camelie con cui abbelliva la dimora degna del loro clan, le carezze tiepide che non aveva più ricevuto.

«Non dovreste essere qui, non vi è permesso rimanere a Goguryeo» soffiò con voce impastata di pianto. Non doveva dimenticare che sua madre, prima ancora di essere tale, era stata esiliata.

La donna sollevò un angolo delle labbra. Rispettò la distanza imposta e inarcò le sopracciglia, come spesso capitava di fare anche a lei, nei momenti di dubbio.

«I tempi sono quasi maturi, Yoon Ah, e il mio intento è quello di far tornare tutte le mudang[2] che sono state cacciate dal Regno.»

Il suono della sua voce era dolce, sereno, come se non fosse toccato dalla forza di tutti i fuochi del mondo. E pesava terribilmente, perché avrebbe voluto ascoltarla per ore, chiederle scusa per averla dimenticata e gettata via in un angolo nascosto della mente.

Non poteva, non doveva cedere. Tirò fuori dal polso destro il fazzoletto nero con il ricamo della camelia che aveva trovato indosso a Tae Ryu. Lo distese davanti a lei con mani tremanti.

«Fate parte dei disertori che vogliono vedere morto Daejong?»

La mudang le sfiorò le dita, sottraendole il pezzo di stoffa consunto. Il suo tocco era tiepido come un tempo. Ci si crogiolò per pochi istanti, in una nostalgia che credeva di non aver mai avuto.

«Non ne faccio solo parte, sono io a guidarli.»

La gola arse e si occluse in un nodo feroce. Yoon Ah chiuse i pugni lungo i fianchi.

Quella donna poteva anche essere colei che l'aveva messa al mondo, ma era anche un pericolo per la tranquillità del Regno.

«Non dovreste dirlo tanto sfacciatamente di fronte a me» la rimproverò.

«Per quale ragione? Mia figlia potrebbe forse farmi del male dopo tutto il tempo che siamo rimaste divise? Ne dubito. Inoltre, non ho più motivo di nascondermi. Presto si saprà che sono qui.»

Sua madre le girò attorno, come se avesse voluto studiarne la conformazione.

Se ne era andata quando a Yoon Ah avevano iniziato a cadere i primi denti, e teneva la bocca serrata perché non si notassero le fessure mancanti, Era il tempo in cui aveva vissuto a Nangnang, con abiti femminili indosso, senza sbucciature sui gomiti e sulle ginocchia, senza spade strette nelle mani. Era un tempo diverso, forse più bello di quello che era venuto dopo.

«Sono passati così tanti anni che non sento la necessità di ritenervi più mia madre.»

Le uscirono solo parole dure. Era così che aveva imparato a porsi, frapponendo una barriera fra lei e il mondo. Dimostrarsi scostante, sebbene non lo fosse, l'aveva salvata molte volte sul campo di battaglia. Yoon Sik aveva spesso rimproverato il Generale Lee che l'aveva trascinata nelle sue guerre sin da bambina. Crescere così in fretta le aveva fatto male.

«Hai lo stesso temperamento di tuo padre, e in parte me ne compiaccio» sorrise sua madre, fermandosi dietro di lei.

Yoon Ah la guardò con la coda dell'occhio. Spiò le lunghe trecce che arrivavano in vita, il corpo stretto dallo scarno abito marrone.

«Ho delle domande da porvi» insisté.

«Risponderò ad ognuna di esse, se mi sarà possibile.»

«Prima dovete rilasciare -»

«Il Principe di Silla?»

Solo allora Yoon Ah cercò i suoi occhi. Quelli di lei sorridevano mesti, come se il mondo intero fosse nelle sue mani. Ne ebbe timore, per un attimo.

«Come lo sapevate?»

La donna sospirò e scosse la testa.

«Sono molte le cose che so. Sapevo che saresti arrivata fin qui, ad esempio, per questo ho mandato i miei uomini a prenderti» disse, posando una mano sulla sua spalla. «Ricaverò un po' di tempo per questa riunione di famiglia, intanto rilascerò il Principe, ma rimarrà sotto stretto controllo.»

Yoon Ah si voltò verso Chung Ho che non aveva ancora ripreso i sensi, e pendeva dal basso soffitto della grotta. Forse, era un bene che non avesse visto la parte più debole di sé.

**
Note: [1] Eomonim: Madre
[2] Mudang: Sciamana
Draghi, fenici e tigri: da non dimenticare <3.

Non so chi sia più inflessibile fra Seung Hyun e Yoon Ah <3 sarà per questo che si troveranno bene insieme? 

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