Capitolo Tre

La neve aveva smesso di cadere nel momento in cui le nuvole erano state spazzate via e il sole si era piegato sulla terra. Yoon Ah, affacciata sotto al porticato ancora imbiancato, guardava l'albero di maehwa in fiore. Lì sotto, seduto sulle radici ghiacciate, Sam Chung Ho teneva la testa puntata a terra, i capelli si muovevano al soffio del vento. La notte prima aveva provato il desiderio di cancellare la sua esistenza, ma a causa del suo temperamento bruciante aveva messo a rischio le sorti del Regno.

«A Corte lo chiamano il Principe Senza Sonno.»

La voce rauca di suo padre la riportò alla realtà. Era appena comparso sulla soglia che divideva l'ingresso dal cortile. I capelli lunghi si srotolavano sulle spalle sfibrati, senza cura. La pelle scura mal di addiceva al bianco della neve.

«Non ho interesse a chiederne la ragione» rispose, piccata.

In realtà intendeva il contrario, e suo padre conosceva bene quando l'orgoglio prendeva il sopravvento. Quest'ultimo uscì fuori dalla porta, scostandola con forza. Si avvicinò, rimanendo in piedi accanto a lei.

«Alcuni medici ritengono che sia affetto dalla malattia dei sogni. Essi sono così vividi e impetuosi da apparire reali. Non devono essere piacevoli, però, perché il ragazzo lotta ogni notte per rimanere sveglio e di giorno, troppo stanco, finisce per addormentarsi ovunque gli capiti.»

Chung Ho, poteva vederlo anche a quella distanza, aveva il volto contratto e le palpebre schiacciate con forza. Ogni tanto tremava, e non doveva essere per il freddo.

«Non è la stessa malattia che affligge le mudang prima dell'iniziazione?» chiese Yoon Ah, alzando il viso verso suo padre.

Lui si rabbuiò appena. I ricordi legati alla moglie che aveva amato non erano mai guariti. Solo lei sembrava aver dimenticato sua madre, reclusa in un angolo lontano del cuore.

«La sua deve essere la trasmissione di una maledizione. Se fosse nato per essere uno sciamano avrebbe già superato da solo la malattia.»

Yoon Ah annuì, senza rispondere. Non poteva mostrare una volta di più interesse verso qualcuno di cui ancora non si fidava. Si alzò in piedi, spolverando i fiocchi dell'ultima neve. Dall'angolo della casa spuntò Yoon Sik, vestito con una pelliccia pesante che arrivava fino a terra. Una parte dei capelli scendeva libera sulla schiena, mentre il resto era legato da un gancio d'argento in cima all testa. La palpebra destra cadeva appena sull'occhio, rendendo più truce uno sguardo che invece era sempre stato avvolto dalla dolcezza.

«Abeoji [1], dovremmo iniziare ad avviarci prima che faccia buio» esordì suo fratello, verso il Generale.

«Avviarvi, dove?» domandò Yoon Ah. Una mano corse subito al fianco, ma non trovò la spada attaccata alla cintola. Suo padre le aveva sempre proibito di indossare armi in ambito domestico.

«Ho mandato alcuni dei miei uomini a inseguire i banditi che hanno attentato alla vita del Principe» spiegò il Generale, uscendo dal portico «poco fa mi è stato recapitato un messaggio, sembra che ne abbiano catturato alcuni. Io e tuo fratello li raggiungeremo.» Puntò lo sguardo verso le montagne innevate che si stagliavano davanti alla casa.

«Verrò anche io, allora» si propose Yoon Ah, muovendo un passo oltre la porta.

Il Generale la fermò per un braccio e la tirò a sé.

«Tu rimarrai qui, qualcuno deve vegliare sui due principi.»

«Abeoji!»

«Ho già preso la mia decisione.»

Fu inutile per lei battere un piede a terra. Protestare era una perdita di tempo, se suo padre aveva già dato un ordine. Non le diede nemmeno il tempo di abituarsi all'idea, che lo vide scivolare via nella coltre di neve, con l'arco e le frecce che Yoon Sik gli aveva consegnato.

Suo fratello le posò una mano sulla spalla e sorrise.

«Non te la prendere. Sai quanto si senta in difetto per averti fatta crescere in questo modo, e se potrà evitarti il pericolo, lo farà» le disse, prima di raggiungere i passi pesanti del Generale.

Un sospiro fatto di aria ghiacciata si arrampicò sulla testa di Yoon Ah. Li lasciò andare col sapore amaro che batteva sotto al palato. Se davvero si sentiva in difetto, allora non avrebbe dovuto più portarla sul campo di battaglia, ma lasciarla impigrirsi nelle faccende domestiche. Non solo suo padre aveva impedito loro di vivere come nobili, ma ora si faceva carico troppo tardi di qualcosa che era già avvenuto. Lei era fatta per scendere in guerra.

Quando divennero sagome lontane, immerse nell'ultimo biancore della neve, Yoon Ah rientrò in casa. Si affacciò sulla stanza in cui riposava il Principe Ereditario, Daejong. Avvolto da una catasta di coperte pesanti, aveva il viso contratto e i lunghi capelli neri se ne stavano appollaiati sulle spalle, immersi nel sudore. Se entro pochi giorni non avesse ripreso conoscenza, Goguryeo sarebbe caduto nel caos. Yoon Ah schiacciò un pugno contro la parete della porta che la teneva separata da lui. Non poteva credere davvero che un intero Regno fondasse il proprio benessero sulla salvezza di un solo uomo.

Si allontanò, lasciando la porta aperta e recuperò nella propria stanza un paio di bastoni che lei e Yoon Sik un tempo avevano usato per allenarsi insieme. Tornò all'esterno della casa, camminando nel cortile con passi così pesanti da poter svanire nella neve. Trascinò le armi fino all'albero di maehwa.

Chung Ho aveva già cambiato posizione. Teneva la schiena schiacciata contro il tronco e le braccia incrociate al petto. Un accenno di doppio mento, dovuto alla serietà della sua espressione, lo rendeva quanto mai buffo.

Nel momento in cui Yoon Ah si soffermò su di lui, Chung Ho spalancò le palpebre. I suoi occhi erano arrossati di un pianto che apparteneva a un altro mondo. La stanchezza e il pallore non erano dovuti alla ferita che il medico, la notte prima, aveva curato. Piuttosto, il sonno aveva strappato via la forza dalle sue membra.

«Come può, un uomo abituato a dormire con la luce del sole, difendere il futuro Re di Goguryeo?» lo stuzzicò Yoon Ah, portando un bastone sulla spalla.

Chung Ho sorrise. Eppure, avrebbe dovuto averla in odio. Nonostante avesse tentato di ucciderlo, lui non aveva mutato il comportamento nei suoi riguardi. In quel corpo le emozioni non erano in trappola, ma fugaci come il vento che cambia direzione di continuo. Lo invidiò, per un attimo. Lei non faceva che bruciare e talvolta era stancante, poiché non dava mai tregua a se stessa.

«Pur consapevole dei miei limiti ritengo di avere le qualità necessarie per essere la sua guardia del corpo. Ho imparato a governare il sonno, a plasmarlo in modo che non ne sia schiavo.»

Yoon Ah increspò le labbra. Rigirò l'altro bastone nella neve e spostò lo sguardo verso i fiori di maehwa che iniziarono a cadere.

«Se nelle vostre vene scorresse il sangue di Goguryeo ai miei occhi sareste un rispettabile guerriero, ma le vostre origini mi sono di ostacolo» confessò, non senza incrinare le labbra.

Socchiuse le palpebre, prima di prendere coraggio e aggiungere: «Se mi batterete in duello placherò il fastidio che provo nei vostri confronti.»

Non aveva intenzione di diventare un ostacolo nel cammino del Generale. Yoon Ah si conosceva al punto da sapere che aveva bisogno di fermare il fuoco che scorreva dentro. E quello era l'unico modo che aveva per farlo.

Chung Ho si tirò in piedi. La neve cadde giù dai suoi abiti, ma il suo sorriso era ancora lì.

«Credete davvero che un duello possa eliminare il rancore nei miei confronti?»

«Non ho detto che verrà cancellato, solo che lo conterrò. Se avete così a cuore Goguryeo, dimostratelo con le armi.»

«Se vincerò, vi fiderete di me.»

Se ne avesse avuto la possibilità Yoon Ah non avrebbe annuito. Chung Ho volteggiò su se stesso e affondò la punta del bastone contro il suo viso. L'avrebbe colpita in pieno, se non avesse inclinato indietro la schiena. Indietreggiò di un passo e abbassò l'arma a difesa delle gambe.

«Credevo che la figlia del Generale Lee impugnasse la spada in modo diverso dalle altre donne guerriero, ma mi sbagliavo.»

«Che intendete dire?»

«Siete già in posizione di difesa, ciò vuol dire che proverete ad esasperarmi fino al momento in cui, stanco di aspettare la vostra mossa, non sferrerò attacchi continui e cadrò nel tranello.»

Chung Ho conficcò la punta della spada nella neve e posò la mano sul manico di legno. Yoon Ah rilassò le gambe e alzò gli occhi al cielo. Non aveva intenzione di farsi deridere.

Scattò in avanti per colpire il suo fianco. Chung Ho schivò, estraendo la lama in legno. Si schiacciò dietro la sua schiena. Yoon Ah provò a voltarsi, ma lui continuò a tenersi stretto alle sue spalle. Yoon Ah girò su se stessa riuscì a fendere solo l'aria. Quando aumentò la velocità della rotazione, Chung Ho non riuscì più a starle dietro. Non appena lo ritrovò nel suo campo visivo, mirò alla spalla e lo colpì alla ferita.

«Aish!» gridò, toccandosi la fasciatura «questo non vi rende onore.»

«E voi non ne avete lamentandovi» rispose lei, continuando ad attaccare.

Il legno iniziò a diventare troppo pesante, tanto da spezzare solo il pulviscolo di neve che ruotava sotto ai loro piedi. Chung Ho, anziché contrattaccare, si limitava a schivare i suoi colpi, girandole attorno come i petali dei fiori di maehwa. Yoon Ah misurò il fiato che le era rimasto: era come lottare contro il vento, impossibile da afferrare. Nel momento in cui arrancò di lato, la punta di Chung Ho la colpì. Un dolore tenue le pervase la fronte. Un'ombra di sangue le colò sull'occhio destro, fino a inumidirne la guancia, come fosse stata una lacrima.

«Ciò che ho detto prima» disse Chung Ho, tornando in posizione di riposo con la severità dipinta nello sguardo «sul modo di combattere delle donne: non era vero. La mia intenzione era quella di spingervi a fare esattamente il contrario.»

Yoon Ah si lasciò andare ad una mezza risata. Gettò la spada di legno a terra e posò il dorso della mano sulla fronte. Il sangue scendeva ancora, ma il dolore non era insopportabile quanto il bruciore che ardeva nel petto. Il suo temperamento, ancora una volta, le aveva giocato un brutto scherzo.

Superò Chung Ho, battendo contro la sua spalla, e si sedette sulle radici ghiacciate dell'albero. Lui la imitò, senza badare alle continue mancanze di rispetto che perpetrava nei suoi confronti. Nonostante la dignità dei suoi movimenti, Chung Ho non sembrava un Principe.

«Ora dovrete fidarvi di me, Lee Yoon Ah, come da accordo» le ricordò, spostando via la frangia ondulata di capelli.

Non ebbe il tempo di contestarlo, che lui proseguì: «Dovreste diventare una delle guaride del Principe Daejong. Avrebbe bisogno di qualcuno come voi, che non lo tradirà.»

Yoon Ah legò con un nastro rosso i capelli in una coda bassa. Posò i gomiti sulle ginocchia e fissò il terriccio imbiancato. Una goccia di sangue vi finì dentro. La raccolse, masticandola tra le mani.

«Il mio posto è accanto a mio padre e mio fratello, al servizio di Goguryeo. Se Goguryeo deporrà il Principe Daejong non potrò seguirlo.»

«Dovreste almeno dargli una possibilità. Vostro padre lo difende perché è uno dei sui compiti, ma difenderebbe chiunque abbia il suo ruolo. Non sarebbe più efficace avere fiducia in chi porterebbe luce in un mondo di ombre?»

Yoon Ah sollevò gli occhi al cielo. Se non avesse fatto la sua promessa, di placare il rancore nei suoi confronti, lo avrebbe colpito di nuovo. Non sapeva ancora plasmare le terribili emozioni chiuse in corpo solo con un confronto verbale. Quando provò a contestare, si bloccò al suono dello scricchiolio della porta rotta.

Daejong comparve sulla soglia. Le vesti intime erano coperte da una lunga vestaglia rosa che scendeva fino a terra. I capelli lunghi, sciolti, correvano fino alla vita. Le labbra erano bianche come la neve. Yoon Ah non aveva mai visto nessuno così bello come il Principe Ereditario. Un pittore doveva averne creato le fattezze.

«Jeoha[2]!»

Chung Ho, come un cane fedele, scattò in piedi e nonostante la debolezza delle gambe, lo raggiunse. Quando provò ad aiutarlo, l'altro lo fermò con una mano. Nonostante la lotta fra la vita e la morte, non aveva perso la sua naturale eleganza.

Yoon Ah attraversò il cortile e si soffermò davanti al porticato. Si inchinò con tutta la rude eleganza che possedeva.

Daejong, appena studiò il suo viso, piegò le sopracciglia.

«Chung Ho, hai ferito la figlia dl Generale Lee?»

Yoon Ah storse le labbra e rispose al posto dell'altro: «Ho provocato io lo scontro, Jeonah.»

Il principe sorrise.

«Sì, questo è assolutamente credibile.»

Chung Ho si parò fra loro e crollò in un nuovo inchino.

«Dovreste rientrare, Jeoha»

Daejong assottigliò lo sguardo e annuì. La contrazione delle mandibole, i denti stretti, indicavano un dolore che avrebbe impiegato diverso tempo a scomparire.

**

Yoon Sik si aggrappò al tronco sottile di un albero e portò una mano al petto. Il braccio sinistro tremava insieme al respiro mozzato in gola. Un grumo di neve cadde sulla testa, ma il freddo gelido non lo scosse, anche se i pezzi di ghiaccio si erano infilati sotto le jeogori[3].

Guardò indietro, verso la capanna in cui suo padre e i suoi uomini stavano torturando i banditi che avevano attentato alla vita del Principe. Le grida si dissolsero come fumo quando si trasformarono in un sibilo nelle orecchie.

Yoon Sik trattenne un conato e guardò a terra. Solo allora si rese conto che sotto le radici innevate dell'albero vi era un fazzoletto nero. Si chinò, premendo ancora la mano contro il cuore. Afferrò il pezzo di seta sgualcito, con cui il sangue rappreso aveva insozzato una camelia bianca cucita sopra.

Quando udì passi pesanti affondare nella neve, tornò in piedi e nascose il pezzo di stoffa nella manica della jeogori. La mano di suo padre gli coprì la spalla.

«Avete ottenuto una confessione, Abeoji?»

Il Generale scosse la testa, le dita erano unte di sangue. Gli uomini dovevano essere morti sotto la tortura. Suo padre non aveva mai avuto pazienza.

«Per ora sepperliremo la questione. Hai trovato indizi che possano tornarci utili?»

«Temo di no, Abeoji.»


**
Note: [1] Abeoji: Padre
[2] Jeoha: Vostra Altezza
[3] Jeogori: Parte superiore dell'abito tradizionale coreano.



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