Capitolo Sette
La ferita di Daejong, durante la fuga, si era aggravata a tal punto che Chung Ho, convinto da Sun Hee, lo aveva trasportato fino al Palazzo Reale di Nangnang. E come il Principe Ereditario aveva previsto, il Re aveva convocato la Corte per sfogare la propria rabbia.
Dal momento in cui Daejong era stato chiuso nelle proprie stanze, seguito da diversi medici del Palazzo, Yoon Ah non aveva ricevuto notizie sulla sua condizione. Seduta lì fuori, sotto la veranda, vi era solo un pensiero che le premeva più di tutti.
Tirò fuori dalla manica della jeogori il fazzoletto nero che la notte prima aveva strappato dal volto di Tae Ryu. Con l'indice accarezzò la camelia e un prurito fastidioso corse dietro le orecchie. Non era un simbolo che aveva visto spesso, ma ricordi appuntiti come lame di ghiaccio, correvano nella testa. Quel fiore non era un fiore qualunque. Era qualcosa che la mente teneva nascosto, troppo lontano per poterlo afferrare.
Non si capacitava del motivo per cui suo fratello avesse avuto un fazzoletto simile. O almeno cercava di tenere a bada quella parte di sé colma di sospetto.
Si capisce tardi ciò che tardi si vuole capire.
Doveva parlare con lui, subito.
Gettò un'occhiata alle ante chiuse della camera del Principe. Chung Ho era rimasto lì per tutta la mattina, e Sun Hee si era rifugiata nella stanza accanto, in attesa che le cure fossero portate a termine. In ogni caso, Daejong era in buone mani e lei, piantata lì, non sarebbe stata di nessun aiuto.
Senza rammarico, nascose il fazzoletto nella manica e lasciò il quartiere del Principe. Si diresse a Sud, dove sorgevano le prigioni reali. Quando mostrò ai soldati posti all'ingresso la targa di riconoscimento la lasciarono passare. Un edificio ottagonale, a più piani, mostrava celle a cielo aperto. Le sbarre di legno conficcate a terra recintavano gabbie lunghe e strette.
Yoon Ah trovò subito suo fratello. Seduto al centro del piazzale, su un alto scranno. I capelli raccolti sulla testa erano circondati da un gancio d'argento. L'occhio destro, più piccolo dell'altro, tremava appena sotto la palpebra. Le labbra serrate erano ferme in una smorfia spiacevole. Le mani, insolitamente rigide, si tenevano strette ai manici di legno.
Davanti a lui due uomini sollevavano a turno pale di legno che schioccavano sul fondoschiena di un prigioniero. Sugli abiti intimi il bianco si era dipinto di una immensa chiazza rossa. I capelli sfibrati, dal taglio incerto, erano intrecciati a grumi di sangue che si prosciugavano attorno a un viso contratto dal dolore. Eppure, non usciva nessun lamento dalle sue labbra, nonostante le sopracciglia si curvassero ad ogni frustata.
Tae Ryu sollevò lo sguardo solo quando la riconobbe. Il mento si posò sulla croce di legno su cui era stato legato.
«Trentuno, trentadue...»
Gli uomini contavano le frustate ogni volta che le pale finivano per schioccare contro il corpo martoriato.
Yoon Ah digrignò i denti e coprì la distanza da suo fratello. Si parò davanti a lui, con le mani ferme sui fianchi.
«Ordina loro di cessare la tortura.»
Yoon Sik posò un pugno sotto al mento. Impassibile, non cercò nemmeno i suoi occhi. La oltrepassò, per accertarsi che così non fosse.
«Ho ricevuto un ordine reale, spetta a me eseguirlo in mancanza di nostro padre. Fin quando il prigioniero non confesserà, verrà frustato cinquanta volte.»
«Cinquanta frustate equivalgono a morte certa! Sai bene che nessun uomo potrebbe resistere a tante.»
Suo fratello la guardò solo allora.
«Che confessi prima, se desidera vivere.»
Yoon Ah inclinò la testa da una parte. Non era da lui parlare in quel modo. La gentilezza del suo animo non era mai stata toccata da un briciolo di crudeltà, nemmeno nei momenti più difficili. A meno che non avesse avuto paura. E perché avrebbe dovuto averne in quel momento? Cosa lo spaventava tanto?
Si chinò alla sua altezza, posando le mani sui manici dello scranno.
«Colui che chiami prigioniero è nostro cugino. Ieri notte, se avesse voluto, avrebbe potuto uccidermi e raggiungere il Principe Ereditario. O avrebbe cercato di fuggire quando lo abbiamo catturato.»
Yoon Sik socchiuse le palpebre. Passò una mano sulla fronte, dove una fascia grigia vi passava attorno.
«I legami di sangue non ti risparmiano dall'essere un traditore» la sua voce tremò come una corda troppo tesa. «L'intenzione di uccidere Daejong è stata chiara, e se non fossi arrivato in tempo Sun Hee sarebbe morta. Dovresti biasimare te stessa per non essere stata in grado di portare a termine i tuoi compiti, anziché venire qui e ficcare il naso in cose che non ti riguardano.»
Nuove frustate schioccarono nell'aria. Mugolii, lamenti silenziosi arrivarono alle orecchie di Yoon Ah, che si voltò verso Tae Ryu. Aveva chiuso gli occhi e le mani si erano attorcigliate attorno alle corde che lo legavano alla panca.
Sì, non era stata in grado di proteggere nessuno. Nemmeno lui. Ma al fallimento ci era abituata.
«Uccidere qualcuno che potrebbe essere la chiave di svolta per le ricerche di nostro padre è una mossa avventata. Non lo faresti, a meno che tu non abbia un tornaconto personale.»
Il fazzoletto nascosto nella manica bruciò contro la pelle. Avrebbe voluto tirarlo fuori e chiedere apertamente che significato avesse. La risposta, però, rischiava di essere troppo dolorosa per ascoltarla, e lo lasciò lì dov'era.
Yoon Sik si alzò in piedi solo allora. Svettò su di lei con tutta la sua altezza.
«Credi che la morte di un prigioniero possa tornarmi utile?»
«Orabeoni[1]» modulò la voce Yoon Ah, nella speranza che almeno la tensione scemasse. «Siamo cresciuti insieme a Tae Ryu, non puoi averlo dimenticato. Abbiamo un debito nei suoi confronti: suo padre ha salvato il nostro anni fa.»
«Ed è sparito per anni, per poi tornare in questo modo.»
«Lo convincerò a confessare, ma ti prego, fai cessare la tortura.»
Suo fratello arricciò il naso. Il pugno destro si chiuse a tal punto che il braccio tremò. Yoon Ah avrebbe voluto abbracciarlo, dirgli che qualunque cosa lo avesse reso così preoccupato, si sarebbe presa cura di lui. Lo avrebbe perdonato, aiutato, confortato, se solo si fosse aperto, se solo avesse detto la verità. E invece, in quel momento, le parve di esserne sin troppo lontana.
«Presta ascolto alle parole di tua sorella.»
Yoon Ah si voltò verso l'ingresso delle prigioni. La voce ferrea del Generale Lee tuonò fino a loro. Li raggiunse nel piazzale con la sua lucente armatura, la polvere che saliva lungo il collo e i capelli lunghi, ribelli, accomodati sulle spalle.
«Abeoji» si inchinò suo fratello «ho ricevuto l'ordine di -»
«Far confessare il prigionero» lo anticipò. «Questione di cui si occuperà Yoon Ah, mentre tu mi seguirai.»
Il Generale sollevò una mano verso i due uomini che al suo cenno interruppero le frustate. Bastò un gesto del capo per far intendere loro che era il momento di riportare il prigioniero in cella.
Yoon Sik socchiuse le palpebre ed annuì. Senza dire una parola li superò entrambi per uscire dal piazzale. Il Generale si volse a lei, posando una mano sulla sua spalla.
«Mi dispiace avervi lasciati soli. Ora che sono qui Yoon Sik sentirà meno il peso delle responsabilità.»
Yoon Ah morse l'interno della guancia. Suo padre avrebbe dovuto sgridarla, renderla colpevole di non essere stata all'altezza. Invece, sin da bambina, non aveva fatto altro che scusarla per ogni errore, proteggerla da se stessa e dal mondo pericoloso in cui era stata risucchiata. Per una volta avrebbe preferito udire parole dure, scontrose, anziché comprensive. Suo fratello aveva preso al suo posto ogni punizione che anche lei avrebbe meritato. Ed era più colpevole di tutti nell'essere stata trattata come fosse innocente.
Lasciò che il Generale si congedasse. Una volta rimasta sola guardò verso le pale insanguinate. Da sola non era riuscita a convincere suo fratello, da sola non era stata in grado di proteggere il Principe. Quando, allora, sarebbe stata capace di imitare il Generale Lee?
Un sorriso amaro le deturpò il viso.
**
Tae Ryu era disteso sulla paglia, sdraiato su un fianco. Il sangue attaccato alle vesti era ancora fresco. I capelli sfibrati cadevano sul naso a coprire lo sguardo. Sin da bambino aveva avuto il vizio di tagliarli da solo, amava portarli asimmetrici, quasi come lotta contro un mondo in perenne bisogno di ordine.
Yoon Ah, al di là delle sbarre, si piegò alla sua altezza.
L'istinto le aveva detto di fermarsi, di pensare prima di accusarlo. Yoon Sik non aveva dubbi sulla colpevolezza delle sue azioni ma lei era convinta che vi fosse qualcosa di più. Se suo cugino avesse avuto come scopo uccidere Daejong avrebbe lottato fino alla fine, e se fosse stato catturato avrebbe fatto qualunque cosa per crearsi una via di fuga. Invece, ora si trovava lì, come un animale ferito.
«Tae Ryu» lo chiamò.
Lui mosse appena le labbra, non ne uscì un solo suono.
La odiava al punto da non rivolgerle nemmeno la parola? Dopo tutto quel tempo che erano stati separati! Gli avrebbe torto il collo, se non fosse stato così moribondo.
Prese un lungo respiro e aprì la cella. Condusse con sé un soban su cui aveva depositato una scodella d'acqua fresca e del riso bianco. La lasciò accanto a lui.
«Non potrai sederti per qualche giorno, ma guarirai presto.»
Tae Ryu rimase immobile sul fianco, le labbra formarono una smorfia. Le sopracciglia doppie scesero su occhi che avevano una intera vita da raccontare. Il silenzio non si addiceva ad un animo sempre pronto a dire la sua.
«Dovrai collaborare, a meno che tu non voglia ritrovarti a penzolare dalle mura del Palazzo» disse Yoon Ah, inginocchiandosi sulla paglia.
Gli passò la scodella d'acqua che lui afferrò con le mani tremanti. La mandò giù in un sorso solo. Dunque, aveva intenzione di sopravvivere.
«Vorrei chiederti dove tu sia stato per tutto questo tempo, ma domande più importanti vengono prima della mia curiosità. Puoi rivelarmi chi ti ha mandato ieri notte al monastero?»
Tae Ryu, finalmente, la guardò. Vi era tristezza nei suoi occhi. Il desiderio di dire tutto, e al contempo nulla. Voltò la testa dalla parte opposta.
«Puoi maledirmi se vuoi, ma rispondimi!» ringhiò Yoon Ah, la cui pazienza svanì tutta insieme. Si fiondò sul collo scolorito della jeogori consunta e lo scosse. Lui non si ribellò alla sua presa. Era come un fantasma abbandonato in un mondo di mezzo.
Solo allora Yoon Ah si rese conto che all'angolo delle labbra, mescolate alle incrostazioni di sangue, vi erano macchie di liquido nero. Le esaminò, passandovi un dito.
«Tae Ryu...» mormorò.
Ecco il motivo per cui suo cugino si ostinava a non rispondere: non poteva farlo.
Mollò la presa e gli strinse il naso con due dita. La bocca si aprì per prendere aria. Al suo interno Yoon Ah non trovò altro che una lingua nera, macera.
«E' un sortilegio» mugugnò, lasciandolo andare.
Tornata in ginocchio cercò i suoi occhi nascosti dai capelli sfibrati. Tae Ryu girò di nuovo la testa e si accomodò sul fianco, attento che il fondoschiena non toccasse il suolo.
Yoon Ah aveva già visto un sortilegio simile, una volta. Sua madre lo aveva applicato ad un uomo che, parlando troppo, aveva messo a rischio la salvezza del Generale Lee. La lingua si era annerita al punto da non poter più trasmettere la voce. E solo spezzando il sortilegio sarebbe potuta tornare. Cosa che, poi, non era avvenuta più.
La calma perduta tornò. Passò una mano sulla fronte per asciugare il sudore.
«Chi ti ha fatto questo è anche colui che ti ha mandato a uccidere Daejong. Non è forse così?»
Era sciocco chiedere a qualcuno di rispondere, se non aveva voce per farlo.
«Ha a che fare con questa camelia?»
Sfilò il fazzoletto nero dalla manica e lo lasciò nelle sue mani. Tae Ryu lo strinse con una tale vigore che le vene sulle dita si ingrossarono. Divennero nere, come il reticolo che si formò sulla gola.
Non poteva rispondere nemmeno con un cenno. Il sortilegio non impediva di usare la voce, ma di dire la verità. Qualunque confessione gli avesse storto sarebbe stata vana.
«Non so come spezzare il sortilegio, ma troverò il modo. Per farlo, però, devi aiutarmi. Ti porterò l'occorrente per scrivere. Sai come funzionano le scritture in codice, inventane uno e lo studierò. Rivelami dove posso trovare chi ti ha fatto questo.»
Lo sguardo di Tae Ryu bastò a farle capire che avrebbe collaborato. Forse, il sortilegio li avrebbe aiutati a guadagnare tempo. Senza la possibilità di confessare apertamente, Yoon Sik non avrebbe potuto ucciderlo, e qualunque tortura non sarebbe bastata per fargli tornare la voce.
Quando Yoon Ah si alzò per uscire dalla cella, il rumore metallico di un gong che chiamava a riunione le guardie del Palazzo la raggiunse fin sì. Qualcosa stava accadendo a Corte.
**
Note: [1] Orabeoni: Fratello maggiore
Ed ecco qui il nostro Tae Ryu, conosciuto soprattutto da chi aveva letto la prima versione della storia. Gli elementi paranormali/fantasy non saranno molti, li ho dovuti inserire perché sono collegati alla storia principale per cui Tutta la Guerra funge solo da prequel. In ogni caso, più in là si scoprirà perché Tae Ryu è combinato in questo modo. Qualche idea su chi possa essere stato?
Grazie come sempre a chi continua a seguire ^^
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