6. Dio, che invasione!
Inutile dire che chiudere gli occhi sia stato pressoché impossibile la notte appena trascorsa. Tutto quello a cui riuscivo a pensare era come poter racimolare quei soldi per aiutare mio padre e far sì che non veniamo sbattuti fuori di casa. È un cazzo di problema di cui al momento non avevo proprio bisogno.
Sembra che ultimamente l'universo intero sia in combutta per rovinare la vita alla sottoscritta. Avrei solo dovuto finire questi ultimi due anni di college per poi seguire le orme di mio padre iniziando a lavorare nel suo dipartimento come agente, con l'intenzione di diventare detective. Avrei solo dovuto andare a vivere insieme a Connor subito dopo la laurea. Avrei solo dovuto vivere la mia vita così come la progettavo dai tempi del liceo, quando tutto aveva cominciato a prendere forma nella mia mente. Invece niente andrà come previsto. Connor se n'è andato a fare in culo con tutti gli esemplari di sesso femminile che gli capitano a tiro e io rischio di ritrovarmi in mezzo a una dannata strada insieme a mio padre. Se ero appena riuscita a uscire insieme a April e a divertirmi un po', a sorridere di nuovo dopo l'uragano Connor, ora quel sorriso si è spento di nuovo e non credo lo vedrò ancora, non prima di riuscire a racimolare i millesettecento dollari. È questa ora la mia nuova missione.
L'intera settimana è un vero incubo. Non riesco a dormire né a concentrarmi su qualsiasi minima cosa, nemmeno sulle lezioni, cosa che mi manda abbastanza fuori di testa dato che ci tengo ai miei ottimi voti. Pretendo sempre il massimo da me stessa e lo ottengo, ma non se la mia mente è altrove. Ho parlato con April dei miei piani, gli ho spiegato la situazione e mi ha proposto di uscire venerdì sera per andare da Minnie's, l'unico pub della nostra città, divertirci un po' e chiedere a Minerva, la proprietaria, se mi può trovare un posto tra i suoi dipendenti. Sono convinta dell'esito positivo perché conosco bene Minerva, ci ero molto affezionata quando ero piccola e mio padre le chiedeva spesso di farmi da babysitter. Credo anche ci sia stato qualcosa tra loro, ma non avrò mai conferma da mio padre e a lei non lo chiederei nemmeno per sogno, anche se sono contenta le cose non siano andate oltre. Ecco, Minerva è una brava persona, ma è molto stravagante, l'esatto contrario di mio padre. E di me.
Quando arriva venerdì sono al limite, ho delle occhiaie che non potrei nascondere nemmeno con un miracolo e sono talmente stanca che non ho nemmeno voglia di farmi la doccia e prepararmi. Quindi mi trascino di peso sotto la doccia il più tardi possibile, quando manca solo mezz'ora all'arrivo di April, asciugo alla meno peggio i capelli e indosso le prime cose che mi capitano a tiro. Per non prendermi i rimproveri della mia migliore amica, cerco di truccarmi un po', ma tutto quello che riesco a combinare è stendere un velo di BB cream sul viso e mettere un po' di mascara. Le occhiaie ci sono ancora, ma la situazione sembra essere migliorata un po'. Diciamo che non sembro più uno zombie stile The Walking Dead, ora il mio aspetto si avvicina più a... beh, uno zombie truccato. Dio, non ce la posso fare! A chi cerco di darla a bere?!
«Helen, tesoro, sei pronta?» è April a urlare dal piano di sotto. «Ah! Buonasera, sceriffo» esclama poi verso mio padre che sento ridere. Almeno uno in questa famiglia si ricorda come si fa.
«Pronta! Andiamo!» annuncio prendendo la borsa e incrociandola sulle scale per non darle modo di entrare nella mia camera.
E ci guardiamo per un paio di minuti buoni: io scorro con lo sguardo il suo outfit fatto di un tubino color oro e un paio di décolleté dal tacco vertiginoso mentre il suo viso si trasforma in una maschera di disappunto mentre guarda i miei jeans, la mia T-shirt rosa e le scarpe da basket bianche. E mi rendo conto di non poter mettere piede in un pub il venerdì sera conciata così, nemmeno se lo faccio solo per cercare lavoro, anzi ancor di più.
«Okay, torno a cambiarmi...» dico girando su me stessa e tornando in camera con lei alle calcagna, che sento sghignazzare senza ritegno.
«Io indosserei il vestito azzurro, quello che ti arriva al ginocchio. È sobrio ma non troppo».
«Sì, hai ragione» concordo e lo tiro fuori dall'armadio, ottenendo l'approvazione di April.
«Aggiungiamo un po' di correttore su quelle occhiaie, che dici? Certo, dobbiamo per forza...» chiede e si risponde da sola mentre rovista nel mio beauty-case.
E poi accade il miracolo: April riesce a rendere il mio viso presentabile. Non lo credevo possibile, invece lei, con la sua mania per il make-up, riesce a truccarmi in modo da non sembrare morta e risorta nelle ultime ventiquattrore. Quasi mi commuovo alla vista del mio viso privo di imperfezioni e del perfetto smokey eyes che rende i miei occhi più verdi che mai.
«Ora si ragiona! Andiamo, le Heril sono pronte per una serata indimenticabile!»
«Le chi?»
«Helen e April... Heril. O preferisci Aplen?»
«Dio, April, non farlo mai più. Ti voglio bene, ma la fusione dei nomi anche no...»
«Solo se mi fai una promessa» ribatte tornando seria, «che questa sera continuerai con la tua missione e ci proverai fino in fondo. E non cominciare con il "non mi sento pronta" e puttanate del genere perché non attaccano più. Tesoro, tu hai bisogno di scopare, anzi di farti fottere fino a che non ti ricomparirà sul viso quel meraviglioso sorriso che ti fa venire le fossette».
«Credo che dovresti pronunciare quella parola un po' più forte, non sono sicura che mio padre abbia sentito bene...» la redarguisco.
«Scopare o fottere? Presumo che lo sceriffo si diverta più di te da quel punto di vista».
«Cristo, April, non dirlo! Cazzo, stai parlando di mio padre».
Ed è così che finalmente usciamo da casa mia, salutando entrambe mio padre che ha staccato da poco da lavoro, quindi questa notte resterò a dormire a casa di April se dovessi esagerare con l'alcol o se lei non deciderà di abbandonarmi di nuovo nel bel mezzo della serata.
Arriviamo da Minnie's e non vedo Minerva da nessuna parte, così ci sediamo su due sgabelli di fronte al bancone e continuiamo a guardarci attorno, quando veniamo interrotte da uno dei barman. E l'unica cosa che posso dire dopo il breve scambio di battute che abbiamo avuto con lui è che spero di non doverci lavorare insieme, se mai Minerva mi darà il lavoro. Okay, ammetto di essere stata un po' sgarbata anch'io, ma il modo in cui mi guardava con quei due occhi grigi, come se potesse leggermi dentro, come se mi giudicasse. Non so perché l'ho pensato e non so perché mi abbia dato quest'impressione sin da subito, ma la cosa non mi piace. E mi piace ancor meno quando April gli dice di non averlo quasi riconosciuto con i vestiti addosso, il che può voler dire solo una cosa: si conoscono già. Quindi per quanto quelle iridi grigie e particolarmente espressive mi attirino e mi spaventino, tanto quanto i pettorali che riesco a intravedere attraverso la maglietta con il logo del locale e tanto quanto i ricci corvini e ribelli che gli incorniciano il volto; per quanto tutto questo mi faccia continuare a fissarlo senza farmi notare, non potrei mai fare altro che questo. Ho giurato a me stessa che non mi farò mai e poi mai togliere le mutande da chi prima le ha tolte alla mia migliore amica.
E non perché sia gelosa o cose del genere, ma perché io non sono come lei, io non penso al sesso e basta, io quando penso che potrei portarmi a letto un ragazzo che non sia Connor penso anche che ci possa essere la possibilità di andare oltre la semplice nottata passata insieme. Insomma, per dirla in poche parole, se poi dovesse nascere una storia d'amore, non farei che pensare che il mio ragazzo abbia prima scopato con la mia migliore amica. E sarebbe un incubo. Quindi non mi porterò mai a letto uno che è stato prima con lei. Non. Lo. Farò. Mai. Punto.
Dopo averci servito i nostri drink, il barman sparisce verso gli spogliatoi e torna insieme a Minerva, che si illumina appena ci vede.
«April, Helen! È una vita che non vi vedo da queste parti. Come state?» ci chiede avvicinandosi. Indossa uno dei suoi soliti vestiti rosa shocking che sarebbe più adatto a un'adolescente che a una quarantenne e ci squadra dalla testa ai piedi con i suoi occhi azzurri contornati da una quantità spropositata di eyeliner blu.
«Tutto bene, Minerva. Qui come vanno le cose?» le risponde April.
«Alla grande direi. Ho sentito che mi stavate cercando...»
«Sì, ecco, io... Non è che avresti bisogno di una cameriera o qualcosa del genere?» le chiedo cercando un tono di voce fermo. Non ho mai lavorato in vita mia e non sono una frequentatrice di locali notturni, per cui non so se sono in grado di farlo, ma spero davvero tanto che Minerva decida di darmi una possibilità.
«Mi stai chiedendo un lavoro, tesoro?» Annuisco silenziosa. «Allora sarò felicissima di trovarti un posto nello staff. Guarda, uno dei ragazzi mi ha appena chiesto qualche weekend libero, potresti cominciare un fine settimana sì e uno no per vedere come ti trovi». Ed è quando lei finisce di parlare che mi scontro con uno sguardo interrogativo che proviene dal barman che ci ha servite. Mi fissa imbambolato e gli rispondo aggrottando le sopracciglia.
«Grazie, Minerva, sarebbe perfetto. Se avrai bisogno anche durante la settimana, anche tutte le sere, io ci sono» aggiungo e spero di non sembrare sgarbata, ma ho davvero bisogno di guadagnare quei millesettecento dollari il più in fretta possibile.
«Va bene. Facciamo così: vieni qui venerdì prossimo alle sei e mezza e facciamo una prova, vediamo se riesci a imparare il lavoro e se ti piace, poi definiamo i dettagli, okay?»
«È perfetto! Grazie, Minerva, grazie davvero!»
«Questo e altro per la figlia di Carl» mi risponde con un sorriso che le illumina gli occhi, un'altra conferma che tra lei e mio padre qualcosa ci sia stato per davvero.
Io vorrei uscire da questo posto ora che ho fatto quello per cui sono venuta, ma April non è dello stesso parere, così finisco per scolare il quarto drink della serata mentre ballo insieme a lei al centro di una pista da ballo improvvisata in mezzo ai tavoli. Ci sono troppe persone. La musica è troppo alta. E ci sono decisamente troppi alcolici. E quando mi viene voglia di cercare Minerva per dirle che stavo scherzando, che non lavorerò in questo posto infernale, ecco che April mi riporta alla realtà.
«Vado un attimo fuori» mi dice facendomi segno verso la porta sul retro, dove vedo il barman fermo davanti. Alzo le spalle e nemmeno un battito di ciglia più tardi mi ritrovo da sola.
April torna qualche minuto più tardi con il rossetto sbavato, quindi non fatico a immaginare cosa sia successo nel vicolo di fianco al locale. Poi sposto lo sguardo verso il barman che si sta allacciando il grembiule e ne ho la conferma: ha i capelli più scompigliati di prima e si sta pulendo il residuo del rossetto rosso di April dalle labbra. Perfetto! Non ero io quella che doveva darsi da fare questa notte?!
«E il tuo motto?» chiedo avvicinandomi all'orecchio della mia amica per sovrastare la musica.
«Quale dei tanti?»
«"Mai due volte con lo stesso ragazzo" o non vale per gli stronzi con gli occhi grigi?» dico tutto d'un fiato. Non so esattamente cosa mi prenda, ma direi che sono leggermente infastidita per essere stata abbandonata qui per una sveltina.
«E chi si ricorda il colore dei suoi occhi?» risponde ridendo. «Comunque, non ci ho ancora fatto nulla... per il momento».
«E quello che gli hai detto prima? Mi sembra di aver capito che lo hai già visto nudo».
«Beh, sì, ho già dato una sbirciatina. Storia lunga. In pratica, ci siamo scontrati domenica scorsa nel corridoio del college, lui aveva solo un asciugamano legato in vita che... beh, diciamo che "accidentalmente" si è sganciato» continua ridendo ancora di più.
«Ah! Uno scontro da film romantico quindi?»
«Oh, tesoro, nulla di romantico, solo un grosso caz...»
«Okay, okay, ho capito». Credo di essere diventata di un colore molto simile al rossetto che April ha lasciato tutto sulle labbra del tizio.
«Ah, e dobbiamo restare nei paraggi fino alle tre» mi informa quando smette di ridere.
«Le tre? Ma sei pazza? È solo mezzanotte, cosa cavolo dovremmo fare qui fino alle tre e perché, poi?»
«Perché il bellissimo esemplare di uomo che ho intenzione di scoparmi stacca alle tre, intanto potremmo dedicarci alla tua missione, no?»
«April, ma se il pub chiude alle tre io poi cosa dovrei fare? Dovevo restare a dormire da te, ricordi?»
«E allora trovati qualcuno anche tu...»
«April...»
«No, nessun April! Erano questi i patti, ricordi?» mi ammonisce puntandomi un dito contro.
Torniamo al bancone per ordinare un altro giro di drink, ovviamente è April a farlo, continuando a flirtare spudoratamente con il barman.
«Ecco a voi» dice il possessore degli occhi grigi porgendoci i gin tonic, «gentilmente offerti da quei ragazzi» aggiunge poi facendoci segno dietro di noi.
Seguo con lo sguardo la sua indicazione e noto un gruppo di quattro ragazzi seduti a un tavolino, due dei quali ci restituiscono lo sguardo e alzano i boccali di birra nella nostra direzione.
«Andiamo a ringraziarli, forza!»
Non ho nemmeno il tempo di ribattere che April mi trascina di peso verso di loro, tanto che nel tragitto dissemino qualche goccia del mio drink.
«Ciao ragazzi! Grazie per i drink» esordisce lei, «Io sono April e lei è Helen».
«Ciao a voi, bellezze! Noi invece siamo Simon e Aaron, li altri due sono impegnati, non badate a loro. Noi quattro invece potremmo divertirci un mondo» ci informa Simon ammiccando.
«Ecco, – Simon, giusto? – io questa sera non sono disponibile, ma la mia amica lo è di sicuro, vero Helen?»
Fingo quasi di non sentirla mentre squadro Aaron, che devo ammettere, non è niente male. Ha un paio di occhi color nocciola contornati da ciglia lunghissime e i capelli castani gli ricadono di lato perfettamente sistemati. April mi dà una gomitata che mi fa spostare lo sguardo.
«Eh?» chiedo non ricordando più la sua domanda.
«Niente, tesoro, torna a fissare il tuo principe azzurro» mi sussurra all'orecchio.
«Ti va di ballare un po'?» mi chiede il diretto interessato porgendomi la mano che prontamente afferro.
Lo so, avevo detto di non essere ancora pronta, di avere altro per la mente. Ma, ehi, dicono che il sesso sia un ottimo espediente quando si vuole staccare la mente per un po'. Perché non provarci? Sono single, devo ricordare a me stessa. E non faccio sesso da un sacco di tempo.
«Non ti ho mai vista da queste parti» mi sussurra Aaron all'orecchio mentre balliamo uno di fronte all'altra.
«Non ci vengo spesso, ma abito in zona».
«Allora è una vera fortuna che ti abbia trovata questa sera» mi dice e io avvampo. Non posso controllarlo, e non voglio farlo. Sento una certa sensazione lì in basso che non provavo da un po' e mi piace.
Aaron mi afferra una mano e mi fa fare una mezza piroetta, facendomi fermare con la schiena contro il suo petto che sembra essere molto ben scolpito. Appoggia le mani sui miei fianchi e seguiamo il ritmo della musica. E, ehi, non è solo il suo petto a essere duro come il marmo! Sarà stupido da pensare, ma, cavoli, sto facendo eccitare un uomo che non è Connor. E, che io sappia, è la prima volta nella mia vita, dato che oltre a quello stronzo non sono mai stata toccata da altre mani maschili. Beh, non in questo modo.
«Ti va di venire da me?» mi sussurra all'orecchio e la sua voce profonda mi smuove qualcosa dentro.
«Dritto al punto, eh?» gli sussurro a mia volta girandomi verso di lui.
«Beh, prima andiamo e più tempo avremo per divertirci, no?» e accompagna il tutto con un occhiolino.
«E come faccio a sapere che la tua idea di divertimento coincide con la mia?»
«Ti dovrai fidare, piccola». Ed è quel nomignolo, insieme al suo sguardo languido, che mi manda in pappa il cervello.
«Va bene... però sappi che ti stai portando a casa la figlia dello sceriffo» aggiungo per essere sicura di non avere a che fare con un serial killer, anche se non credo che questo tipo di informazione dissuaderebbe un killer dal fare il suo "lavoro".
«Sei maggiorenne, no?»
«Sì».
«E la figlia dello sceriffo è capace di intendere e di volere in questo momento?» mi chiede poi facendo scorrere una mano sulla mia schiena lasciata parzialmente scoperta dal vestito.
«Più o meno...» ammetto in un sussurro che sembra più uno stupido miagolio.
«Allora, Helen, se vuoi anche vedere quello che ti sto facendo sentire da un po'» dice spostando lo sguardo verso il basso, verso il suo... «non ti resta che seguirmi».
«Fammi avvisare la mia amica» dico in fretta, prima di darmi il tempo di cambiare idea.
Cerco April con lo sguardo e la trovo seduta al tavolo degli amici di Aaron, dove prima era seduto lui, che mi guarda, così ora sono io che le faccio segno che me ne sto andando. Si limita a rispondermi con un sorrisino sfrontato e farmi segno di chiamarla dopo. E avvampo all'idea di cosa intenda con il suo "dopo".
«Pronta?» mi riscuote Aaron.
Mi limito ad annuire e lui mi afferra una mano e si fa largo nel pub sempre più affollato verso l'uscita e poi verso la sua auto. Mi aiuta a salire sul sedile del passeggero del suo pick-up nero dato che sono una nanerottola, e partiamo verso una destinazione a me sconosciuta.
«Puoi rilassarti, non ho intenzione di ucciderti, sai?» mi mette al corrente accarezzandomi una coscia attraverso il tessuto del vestito.
«Lo direbbe anche un serial killer, sai?» ribatto.
«Touché!»
«Abiti qui in zona?» gli chiedo tanto per fare un po' di conversazione e per capire se il tragitto sarà lungo tanto da darmi il tempo di cambiare idea e farmi riportare al pub.
«In realtà non abito da queste parti...»
«Ma... e dove mi stai portando?»
«Nell'albergo in cui alloggio. In realtà sono di New York, sia io che Simon e gli altri, e siamo qui per un convegno» mi confessa arricciando il naso, il che lo fa sembrare ancora più sexy.
«E tutta quella storia del non avermi mai vista prima nel pub?»
«Beh, è vero, no? Ci siamo visti questa sera per la prima volta... Okay, era una tattica, va bene?»
«Una tattica... aha!»
«Vincente direi».
«Touché!»
La conversazione finisce quando Aaron parcheggia di fronte all'albergo in cui alloggia, appena fuori dalla mia città, ma nemmeno troppo distante. Ma è quando apre la porta della sua camera che resto a bocca aperta. Altro che camera, è una dannata suite! Ed è stupenda!
Il pavimento è ricoperto di una moquette color cremisi che è talmente morbida da dare la sensazione di camminare sulle nuvole. Di fronte a me c'è un divano più grande di quello di casa mia, davanti al quale è piazzata una tv enorme. E vogliamo parlare della vista? Okay che è notte fonda, ma dalle vetrate che sostituiscono l'intera parete di fronte a me si scorge l'intera città. Le luci sembrano piccole stelle disseminate dappertutto e io resto letteralmente senza fiato. A disturbare il mio momento di riflessione ci pensa la musica a basso volume che fa partire Aaron quando inserisce il suo smartphone nell'apposita cassa wireless.
«Ti va di bere qualcosa?» Annuisco e lui alza la cornetta del telefono posto sul mobiletto di fianco alla tv. «Mi porti una bottiglia di champagne, per favore. Sì, va bene. Ah, e anche della panna... e delle fragole» aggiunge guardandomi mentre si morde il labbro inferiore in modo decisamente sexy.
È tutto sexy, ogni movimento che fa, il suo sguardo, la sua voce, tutto. Indossa una camicia alla coreana azzurra che aderisce talmente bene ai suoi muscoli da sembrare una seconda pelle, il che mi fa notare ogni suo più piccolo movimento.
«Panna? E fragole?» chiedo dopo avergli fatto una bella radiografia. «Credevo fossero cose superate ormai».
«Oh, piccola, la panna e le fragole non saranno mai – e dico mai – superate».
«Se lo dici tu...»
«Non mi dirai che non hai mai usato panna e fragole con un uomo». Nego scuotendo la testa. «Non ci credo! Allora dobbiamo assolutamente rimediare». E l'ultima parte della frase me la sussurra all'orecchio mentre le sue dita mi sfiorano dappertutto. Non capisco più niente in questo momento. Sembra avere centinaia di dita, che ora non sono sicura se stiano sfiorando il mio collo oppure i miei fianchi. Ma sono sicura, sì, decisamente sicura, che la sua lingua stia invadendo la mia bocca. E, Dio, che invasione!
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