5. Quasi non ti riconoscevo con i vestiti addosso
Quella appena finita è stata una cazzo di settimana infernale. Il mio compagno di stanza ha deciso di rendermi la vita impossibile saltandomi alla gola in ogni occasione, per ogni dannata cosa fuori posto nella stanza, come una fottuta fidanzatina. Perché non sono capitato in stanza con uno dei giocatori di football? No, il karma ha voluto giocare sporco ancora una volta, dato che l'essere stato espulso dal mio college, aver rinunciato alla mia carriera sul campo, essere finito in mezzo al nulla nella maledetta Minnesota ed essere rimasto al verde non bastava di certo. A rovinarmi la settimana si è messa anche una prova di Matematica applicata alla quale ho preso una dannata D.
Mi sto perfino chiedendo se sia il caso di continuare a fare da assistente al professor Gregory, che mi sta riempiendo di prove degli studenti del primo anno da correggere. Mi sono anche fatto coraggio e sono andato a parlare con il coach chiedendogli di fare uno strappo alla regola e farmi fare un dannato provino. Qual è stata la sua risposta? "Mi dispiace, figliolo, al momento siamo al completo e abbiamo già il miglior quarterback che potessimo volere, ma è all'ultimo anno, quindi puoi fare il provino a fine stagione per rimpiazzarlo, se sei bravo come dici". Ho sbuffato, l'ho ringraziato e mi sono morso la lingua fino a farla sanguinare per non farmi scappare tutte le peggiori imprecazioni che conosco, per poi uscire dal suo ufficio e salire sulla mia Honda. Ho fatto un giro talmente lungo in sella alla moto da rientrare quando ormai era buio pesto e lo stomaco mi si contorceva dalla fame in modi indicibili, dato che quella mattina non avevo fatto la mia solita colazione abbondante e avevo saltato il pranzo, anche la cena visto l'orario.
Poi sono passati altri due giorni ed eccomi qui che sto parcheggiando nel vicolo di fianco al Minnie's, mi tolgo il casco e accendo la mia consueta sigaretta. Non so nemmeno perché ho iniziato a fumare, l'odore mi dà la nausea e temo il fumo possa compromettere la mia resistenza in campo, un campo che non vedrò per un po'. Però sento di aver bisogno di qualche vizio, di qualcosa che mi distragga da tutto il resto. E meglio le sigarette che altro, no? Insomma, alla droga o cose del genere non ci penso neanche, non lo farei mai; l'alcol mi piace ma non tanto da farmi accettare di convivere con il doposbornia, e il sesso, beh mi sono sempre dato da fare, ma non sono uno che cambia ragazza come i calzini. Non sono uno da relazioni serie, quello no, ma di solito mi trovo qualche "amica" con cui mi diverto per un po', finché uno dei due si stanca e passa ad altro. Anzi, lo facevo, dato che qui ancora non ho avuto il piacere di conoscere qualcuna. Non che abbia dei problemi in proposito, noto gli sguardi delle ragazze nel college, non sono cieco, ma fino a domenica scorsa semplicemente ero troppo impegnato a crogiolarmi nell'autocommiserazione mentre da quando ho incrociato quella ragazza nei corridoi non riesco a pensare ad altro che a lei. Non l'ho più vista, forse non frequenta nemmeno il college.
«Ciao, Dom!» mi saluta Pete appena entro nel locale. Nemmeno lui ho più visto né sentito da domenica scorsa.
«Ehi, Pete...» ricambio il saluto accompagnandolo a un gesto della mano.
«Perché quella faccia da funerale?» Lo guardo accigliato. «Sembri più incazzato del solito».
«Ho avuto una settimana di merda» confesso.
«Allora siamo in due».
«Che succede?»
«Il lavoro... L'officina è stata praticamente presa d'assalto questa settimana e ho dovuto fare un bel po' di straordinari. Sono sfinito. Tu invece?»
«Il college... la vita... Iniziamo a lavorare prima che Minerva venga a romperci i coglioni».
Pete annuisce e si gira per uscire dal locale, pronto nel suo completo elegante a piazzarsi di fronte all'ingresso principale. Io mi affretto a cambiarmi nello spogliatoio deserto, dato che i miei colleghi sono già a lavoro, indossando la T-shirt nera con il logo del locale: il disegno di Minnie – quella dei cartoni – che fa l'occhiolino con una birra in mano; un obbrobrio è dir poco. Incrocio Minerva lungo il corridoio mentre sto tornando nel locale e decido di parlarle della mia richiesta di cambiare turni di lavoro, voglio prendere la palla al balzo prima di cambiare idea.
«Ehi, Minerva, volevo chiederti una cosa...»
«Ciao, Dominik, dimmi pure» mi risponde posandomi una mano sul braccio e inclinando di lato la testa piena di ricci biondi e crespi.
«Ecco, pensavo di estendere il mio contratto anche alla settimana, se per te non è un problema. Mi piacerebbe avere qualche weekend libero» dico tutto d'un fiato guardando la sua mano che indugia sul mio braccio nella speranza noti il mio fastidio.
«Va bene, a fine turno vieni a cercarmi che definiamo i dettagli. Ora va' a dare una mano a Callie, che il pub si sta riempiendo in fretta stasera».
Faccio come mi dice e proseguo verso il locale mentre lei percorre il corridoio nella direzione opposta, verso il suo ufficio. E appena metto piede nel pub la mia settimana migliora di colpo. Resto imbambolato come un deficiente sulla porta a fissare quella che mi sembra tanto una visione. Mi riscuoto in fretta, vado dietro al bancone e afferro il mio grembiule senza nemmeno salutare la mia collega, pronto per andare da lei, che è qui insieme a un'altra ragazza. Se ne stanno sedute su due sgabelli posti dall'altra parte del bancone e mi danno la schiena – la sua lasciata scoperta dal vestito – mentre sembrano cercare qualcosa o qualcuno con lo sguardo.
«Ciao ragazze, cosa vi preparo?» chiedo avvicinandomi a loro con un sorriso sul viso e le vedo trasalire per la sorpresa.
«Oh mio Dio!» esclama lei appena mi vede. Fa scorrere lo sguardo dal mio viso in basso, fin dove il bancone che ci divide glielo permette. «Quasi non ti riconoscevo con i vestiti addosso» continua sorridendo.
«Ci prepari due gin tonic e chiami Minerva, se c'è? Le dobbiamo parlare» si intromette la sua amica rovinando il momento. «Che c'è?» chiede all'altra ragazza, che le lancia un'occhiataccia.
«Beh, un "per favore" non sarebbe così sgradito, sai?» mi intrometto io e un paio di occhi verdi si incastrano nei miei, anzi mi fulminano tanto che mi viene quasi voglia di scusarmi, non fosse che la sgarbata è stata lei.
La maleducata sbuffa e distoglie lo sguardo, mentre io lancio un'altra occhiata alla ragazza che ha invaso i miei pensieri per una settimana e mi metto all'opera a preparare i loro drink. Devo assolutamente chiederle il numero stasera, non posso farmi scappare un'occasione del genere.
«Ecco a voi» esclamo porgendo loro i due cocktail, in cambio ricevo un sorriso e un grazie dalla ragazza dei miei sogni – sì, sto esagerando! – mentre l'altra si limita a prendere il bicchiere. Sembra quasi le abbia fatto qualcosa di irreparabile e ci sto davvero pensando, magari ci siamo davvero incrociati da qualche parte e le ho fatto qualcosa, ma non riesco a ricordarmi il suo viso, non mi sembra di averla vista prima di oggi.
«Minerva?» insiste.
«Vado a chiamarla». Le lancio uno sguardo truce mentre faccio il giro per uscire dal bancone e mi scappa un: «Stronza!» tra i denti, ma la musica alta mi salva il culo.
Busso alla porta dell'ufficio della mia titolare, che mi fa subito entrare. «C'è una str... ehm, una ragazza di là che ti sta cercando».
«Una ragazza?» chiede e io mi trattengo dall'informarla che si tratta di una stronza patentata con la puzza sotto il naso e mi limito ad annuire. «Andiamo allora».
Mi segue fino al bancone, dove io faccio il giro per piazzarmi dal mio lato, mentre le indico le ragazze.
«April, Helen! È una vita che non vi vedo da queste parti. Come state?» la sento chiedere alle due mentre fingo di essere impegnato dietro il bancone proprio nella zona dove sono sedute loro.
«Tutto bene, Minerva. Qui come vanno le cose?» chiede la tipa sexy con un sorriso.
«Alla grande direi. Ho sentito che mi stavate cercando...»
«Sì, ecco, io... Non è che avresti bisogno di una cameriera o qualcosa del genere?» sento dire alla stronza e mi pietrifico alzando lo sguardo.
«Mi stai chiedendo un lavoro, tesoro?» Continuo a guardare la stronza che annuisce guardando Minerva. «Allora sarò felicissima di trovarti un posto nello staff. Guarda, uno dei ragazzi mi ha appena chiesto qualche weekend libero, potresti cominciare un fine settimana sì e uno no per vedere come ti trovi» le propone e credo di non aver mai strabuzzato gli occhi così tanto come in questo momento, poi mi riscuoto dicendomi che comunque non farebbe il mio turno, ma è troppo tardi dato che mi ritrovo i suoi occhi fissi nei miei. La faccia imbronciata tanto da farla sembrare una bambina capricciosa. Così prendo il primo ordine che trovo sul bancone, lo preparo in fretta e vado a servirlo al tavolo tre senza più ascoltare la loro conversazione.
Non so se vi sia mai capitato, ma avete presente quella sensazione di quando una persona vi sta terribilmente antipatica senza nessun motivo in particolare? Ecco, questa tizia mi sta sulle palle così tanto che vorrei chiamare Pete e farla sloggiare con qualche scusa. Ed è stata sgarbata, è vero, ma non è per quello, sono fin troppo abituato ai clienti con la puzza sotto il naso, anche se dovrebbero abbassare la cresta visto l'angolo d'inferno in cui vivono. Comunque, devo riscuotermi da questo stato e cercare il modo di chiedere alla sua amica di uscire oppure di darmi almeno il suo numero.
Lavoro per l'ora successiva continuando a tenerle d'occhio. La bellissima mora che me lo fa rizzare alla sola vista del suo corpo perfettamente avvolto in un tubino color oro sta ballando con la stronza quando decido di prendermi una pausa e cercare di parlarle.
«Callie, ti dispiace se mi prendo dieci minuti?» chiedo alla mia collega che è alle prese con lo spillatore di birra senza mai distogliere lo sguardo dalla pista da ballo.
«No, certo, vai pure».
Slaccio il grembiule ed esco da dietro al bancone, quando la ragazza intercetta il mio sguardo, così le faccio segno verso l'uscita del pub. E mi va di lusso dato che lei capisce, sussurra qualcosa all'orecchio della stronza, che annuisce, e poi si incammina verso di me ancheggiando sulle altissime scarpe nere. È davvero bella! Ha una cascata di ricci scuri che le coprono la schiena e una perfetta pelle color cioccolato, per non parlare dello sguardo, basterebbe quest'ultimo a farmi capitolare ai suoi piedi. Potrebbe schiacciarmi come un moscerino sotto le sue décolleté dal tacco vertiginoso e nemmeno lo sa.
«Fumi?» le chiedo mentre tiro fuori una sigaretta, una volta nel vicolo dove ho parcheggiato la moto, e lei mi fa segno di sì, così gliene offro una.
«Posso fidarmi a stare su un vicolo buio con te?» mi chiede sbattendo le lunghe ciglia subito prima di portarsi la sigaretta alle labbra, gesto che fa risvegliare il mio cazzo.
«Beh, se sei qui vuol dire che ti fidi... poi, sai com'è, tu hai già dato una sbirciatina, magari ti andrebbe di darmi la possibilità di fare altrettanto» azzardo e spero di non farla scappare.
Ma lei non scappa. No, cazzo, non scappa. Per. Niente. Si avvicina a me, mi cinge il collo con le braccia e posa le sue bellissime labbra carnose sulle mie. Non so che fine fanno le sigarette, non so che intenzioni abbia, so solo che per un bel po' la mia lingua gioca con la sua, la mia mano destra finisce tra le sue gambe mentre la sinistra si perde tra i suoi morbidissimi ricci. Le sue vagano sotto la mia maglietta, le sento dappertutto: sui miei addominali, sui miei pettorali, fino all'elastico dei miei boxer. Il mio cazzo continua a pulsare contro il tessuto dei jeans fin troppo stretti, ma non posso dargli ciò che desidera ora. Mi stacco appena dalla bocca della ragazza, che mi ricompensa con un gemito che arriva dritto tra le mie gambe, come un fottuto fulmine che colpisce proprio lì, mentre il medio della mia mano destra affonda dentro di lei e il pollice traccia cerchi sul suo clitoride ipersensibile.
«D-devo tornare... Merda!» A tradimento, la sexy mora mi infila la mano nei boxer, sfiorando appena la punta del mio membro ormai del tutto in erezione. «Devo tornare al lavoro» dico in un soffio cercando di resistere alla voglia di affondare dentro di lei qui, in questo maledetto vicolo, senza alcuna protezione dato che ne sono sprovvisto al momento.
«A che ora stacchi?» mi chiede con la voce carica di desiderio.
«Alle tre».
«Hai qui il tuo telefono?» mi chiede e io annuisco tirandolo fuori dalla tasca posteriore dei jeans. «Dammelo!» ed è quello che faccio. «Sono April, ora hai il mio numero, quindi fatti sentire quando stacchi, io sarò qui in giro» mi dice ridandomi il cellulare e facendomi l'occhiolino.
E poi la serata prosegue. Continuo a lavorare come se niente fosse, cercando lei con lo sguardo, la sexy mora che ora ha un nome: April. Poco prima della chiusura, quando nel locale sono rimasti ormai pochi avventori ubriachi di cui si dovrà liberare Pete, la cerco con lo sguardo e la vedo seduta a un tavolo in compagnia di altri tre ragazzi, che qualche ora fa hanno offerto da bere a lei e alla sua amica stronza, che al momento non vedo. Intanto mi do da fare per finire di lavare gli ultimi bicchieri il più in fretta possibile. Pete mi si avvicina.
«Finita anche questa cazzo di nottata! Sono allo stremo, amico» mi confessa. «È rimasto un po' di caffè per me?» mi chiede poi.
«Facciamo una cosa...» dico in un sussurro e mi avvicino a lui, «io fingo di non aver già lavato la caffettiera se tu mi presti un paio di profilattici e non mi chiedi spiegazioni».
«Solo se domani sera mi racconti i dettagli».
«Pervertito!»
«Allora tieniti il tuo caffè e io mi tengo i miei... accessori».
«Okay, okay, hai vinto!» esclamo ridendo. «Accessori, eh?»
«Beh, lo sono, no? Uno, non giro mai senza come le donne con gli orecchini o i braccialetti; due, servono a ornare una parte del mio corpo, la migliore parte del mio corpo direi, quindi sono degli accessori. Dei meravigliosi accessori, cazzo!» Ed è pure convinto mentre mi spiega la sua teoria che sembra tanto una stronzata.
«Quante birre?»
«Me ne hanno offerte un paio... okay, forse erano quattro o cinque». Ecco spiegato.
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