29. Non nuda nuda, dai
Ben e io stiamo rientrando quando ormai fa buio, abbiamo passato l'intera giornata a girare per la città in macchina, ma verso sera abbiamo deciso di uscire in moto. Io guido l'Aprilia, una RSV4 nera opaca che amo un po' più delle altre. Ben, invece, ha scelto la rossa fiammante della collezione: una Ducati importata direttamente dall'Italia per il mio ventesimo compleanno. Scendiamo nel garage che occupa l'intera area sotterranea della villa, parcheggiamo le motociclette e riponiamo i caschi sugli scaffali.
«Ho passato una giornata bellissima. Grazie, Dominik».
«Grazie a te, invece. Non ho mai avuto nessuno con cui condividere la mia passione per le due ruote...»
«Ora ce l'hai, figliolo» mi dice dandomi una sonora pacca sulla spalla destra.
«Piano, The Rock! Prima o poi mi slogherai una spalla».
Stiamo ridendo come due scemi mentre apriamo la porta che dal garage porta direttamente nel salone, ma ci blocchiamo sull'uscio: stese sul divano ci sono mia madre e Helen. Più che dormire, sembrano svenute; con Sex and the city sul grande schermo. Sarà uno dei dvd di mia madre, è fissata con quella serie.
«Sono solo le nove e mezza, come mai stanno già dormendo?» sussurra Ben avvicinandosi cautamente al divano.
Alzo le spalle e mi avvicino a mia volta, andando verso Helen, che sta sbavando su uno dei cuscini bianchi. Mia madre russa così rumorosamente da far trasalire entrambi.
«Facciamo così: io prendo Helen in braccio e la porto in camera, tu intanto prendi una coperta da lì,» e indico a Ben la cassapanca, «e mettila sopra mia madre. Poi ci vediamo in cucina e mangiamo qualcosa; non so te, ma io muoio di fame».
«D'accordo su tutto, tranne su un piccolo dettaglio: sarò io a prendere in braccio mia figlia e a portarcela a letto».
«Ben!» esclamo alzando le sopracciglia.
«Dominik...» Continuiamo a guardarci in cagnesco per un tempo indefinito, poi la copia di Dwayne Jhonson sbuffa. «E va bene, dov'è che sono 'ste coperte?»
Sorrido trionfante e gli indico di nuovo la cassapanca posta a ridosso della parete dietro di lui, poi infilo una mano sotto le ginocchia di Helen e l'altra sotto la schiena e prego di non svegliarla nel tragitto. Devono aver fatto un bel po' di baldoria queste due per essere ridotte così.
Dopo aver infilato Helen sotto le coperte del mio letto, e averle sfilato il vestito, il tutto senza ottenere nemmeno una smorfia da lei, scendo al piano di sotto e trovo Ben seduto all'isola della cucina.
«Vediamo cosa ha preparato di buono Anita oggi...» borbotto mentre apro il frigo. Non c'è molto, ma trovo qualche avanzo di un arrosto e delle verdure cotte, il che va più che bene. Tiro fuori anche due birre e impiatto tutto, sotto lo sguardo attento di Ben. «Che c'è?»
«Ti muovi bene in cucina...»
«Più o meno, non sono uno chef, ma mi piace cucinare qualche volta».
«In questo caso, sono un po' più tranquillo a lasciarti sposare mia figlia. Credo tu lo debba sapere prima di incastrati con lei a vita: è una pessima cuoca, ma pessima davvero». Lo guardo stupito; non parla mai male di sua figlia, la elogia in tutto, sempre. «E, pensa un po', non sa di esserlo. Quindi preparati a dover ingurgitare il peggio che possa esistere al mondo e dover mostrare il sorriso più raggiante che riesci a fare nel frattempo».
«Cristo, è così male?»
«Oh, sì! I suoi piatti hanno sempre qualcosa di troppo: troppo sale, troppe spezie, troppo olio. E io, da buon padre, non me la sono mai sentita di farle notare le schifezze che cucina, mi sono sempre limitato a mangiare il mangiabile e a uscire per una vera cena subito dopo».
«Non ti credo, Ben. Davvero!» esclamo mentre tiro fuori il mio piatto dal microonde e mi siedo accanto a lui.
«Allora non venire a lamentarti da me quando ti toccherà la mia stessa sorte».
Scoppiamo a ridere entrambi, ma mi ricordo che mia madre dorme a pochi passi da noi – anzi, è lei stessa a ricordarmelo con il suo russare – e mi poggio l'indice sulle labbra nel tentativo di zittire Ben mentre cerco di soffocare la risata. Avete presente quando vi parte quella ridarella incontenibile e più cercate di smetterla più diventa violenta? Ecco, è proprio il mio caso. Tempo cinque minuti e ho già le lacrime agli occhi. Ben cerca, inutilmente e non so per quale motivo, di farmi smettere battendomi sulla schiena, come si fa quando a qualcuno va di traverso l'acqua. E ancora una volta non si rende conto del perché lo chiamiamo The Rock, ancora una pacca e sputo un polmone.
Dopo essermi ricomposto, mi rendo conto che domani è il grande giorno e io ancora non ho un discorso pronto.
«Senti, Ben, ho tutto pronto per domani sera: l'anello di mia nonna, la serata perfetta, l'abito giusto; ma non riesco a trovare un modo originale per farle la proposta».
«Oh, meno male che me ne hai parlato. Niente di originale, Dominik. Helen odia quelle proposte in grande stile, con sorprese varie, cose da film, insomma. Quando guardiamo qualche film insieme e c'è qualche proposta del genere sbuffa sempre e mi dice che se la facessero a lei scoppierebbe a ridere in faccia al malcapitato».
Sgrano gli occhi. «E quando avevi intenzione di dirmelo? Dopo che mi sarei reso ridicolo?»
«Beh, non nego che ho sperato facessi qualcosa di avventato per poter ridere un po'».
«Credevo fossimo amici» esclamo mimando il labbro tremante di un bambino che sta per piangere.
«È proprio per questo che non me lo sono tenuto per me. Comunque, un brindisi accompagnato da un bel discorso dovrebbe andare più che bene».
«Ed è proprio qui che sta il problema: non so fare discorsi e cose del genere. Pensavo più a una cosa tipo l'anello nascosto da qualche parte, oppure far comparire "Helen, vuoi sposarmi?" scritto con i fuochi d'artificio. Cose così...»
«Dio, no. Non ci siamo proprio. Facciamo così, proprio perché sono tuo amico,» ed ecco che parte un'altra pacca, «scrivi il discorso e domani fammelo leggere, così ti do una mano. Ricordati che deve partire dal cuore, devi essere estremamente sincero».
Lo ringrazio e, con milioni di pensieri che mi si accavallano nella mente, mi ritiro in camera mia. Helen ora è distesa stile stella marina occupando quasi tutto il letto e sta sbavando proprio sul mio cuscino, quello che mi sono portato perfino in Minnesota perché non riesco a dormire su altri. Ottimo!
La spingo delicatamente e mi stendo al suo fianco, ma mi rendo quasi subito conto di non riuscire a chiudere gli occhi. Mi alzo piano, indosso un paio di boxer – nell'eventualità Ben fosse ancora sveglio – e vado nella biblioteca. Prendo una manciata di fogli dalla stampante, una penna e mi siedo alla scrivania. Le parole mi si accavallano nella mente, cercano di uscire tutte insieme, ma appena provo a scriverne qualcuna mi innervosisco e accartoccio il foglio. Passo al successivo, ma non va molto meglio... vado avanti così finché non sono circondato da fogli accartocciati e quello davanti a me è bianco in modo altamente demoralizzante.
Comincio a intravedere un po' di luce attraverso le vetrate e non vorrei che Helen si svegliasse e non mi trovasse accanto a lei, così abbandono il progetto e torno in camera. Ora sta abbracciando il mio cuscino, ma riesco a sfilarglielo dalle mani e a stendermi accanto a lei.
Sento dei rumori provenire dal bagno e mi alzo di scatto. La camera è inondata di luce, il che vuol dire che siamo ben oltre la mattina. Non mi ero nemmeno accorto di essermi addormentato, credevo di passare la notte in bianco. Cristo, che casino! Il rumore in bagno ricomincia e, un po' rintontito dal sonno, mi affaccio. La scena che mi trovo davanti è qualcosa in stile L'esorcista, solo leggermente meno macabro. D'accordo, sto esagerando, si tratta solo di Helen chinata sul gabinetto che sta vomitando l'anima. Ma, ehi, sono delicato di stomaco; infatti, viene un conato anche a me, che riesco a contenere, ma devo assolutamente spostare lo sguardo.
«Fatto baldoria ieri?» chiedo girandomi di schiena. Lo so, le sembrerò un idiota insensibile, ma davvero non ce la posso fare. Vomiterei anch'io e qui dentro c'è un solo water.
«Mmm...» ed ecco che arriva anche la voce alla Regan MacNeil.
«Amore, perdonami, ma non ce la faccio a starti vicino... farei la tua stessa fine» cerco di giustificarmi.
«Tranquillo,» dice e sento l'acqua del lavandino scorrere, «credo di aver finito... almeno per ora».
«Oh, menomale» esclamo girandomi a guardarla. Amo questa ragazza, ma è un vero disastro. Non l'ho mai vista conciata così: i capelli formano una cosa informe sopra la testa, ha il trucco ovunque tranne dove dovrebbe essere, ma tutto va in secondo piano quando guardo il suo magnifico corpo avvolto solo dalla mia T-shirt. Sono un pervertito, è ufficiale. Anzi, un pervertito uomo di Neanderthal.
«Tua madre come sta?»
«Non ne ho idea, devo ancora scendere».
«Non ricordo di essere salita... a dire il vero ho un bel vuoto su gran parte della serata».
«Tutto quello che so è che stavi sbavando sui cuscini del divano, accanto a mia madre che russava come un trattore, con tanto di Sex and the city sullo schermo».
«Dio, che vergogna!» esclama coprendosi il viso con le mani.
«Vorrei tanto sapere cosa avete combinato, voi due, ma prima vorrei mangiare qualcosa».
Helen annuisce poi entrambi ci prepariamo per scendere a fare colazione, o pranzo visto che sono le undici e mezza. Stiamo per uscire dalla camera, quando Helen si blocca e mi trattiene per un braccio: «Ero nuda quando mi sono svegliata... dimmi che mi hai spogliata tu per mettermi a letto e non è successo altro».
«Beh, e chi avrebbe dovuto spogliarti se non io?» le chiedo dubbioso.
«Che ne so, mio padre o magari mi sono spogliata da sola».
«No, sono stato io. E, tranquilla, non mi approfitto delle donzelle svenute...»
Fa una riverenza in risposta e, con il sorriso sulle labbra, scendiamo in cucina.
«Buon Natale, ragazzi!» sento esclamare appena scendiamo l'ultimo scalino. Ben si sta avvicinando a braccia aperte, come per volerci abbracciare e io mi rendo conto solo ora di aver completamente rimosso che giorno è oggi. E anche cosa devo fare oggi.
«Buon Natale, papà! Dio, me ne stavo dimenticando...»
«Smettetela di urlare, santo cielo!» Una voce che somiglia vagamente a quella di mia madre arriva dalla zona del divano. Quando mi giro nella sua direzione, si sta sistemando gli occhiali da sole.
«Comodo il divano, mamma?» chiedo sarcastico.
«Il divano? Beh, sì, lo sai bene che è uno dei migliori, ma perché me lo chiedi ora?»
«Perché io non ci ho mai dormito». Alza gli occhiali e mi guarda di traverso.
«Nemmeno io...»
«Cristo, ma sei ancora ubriaca? Dove ti sei svegliata stamattina?»
«Nel mio letto... mi sa che quello che si è fatto un goccio di prima mattina sei tu, caro».
La guardo perplesso, poi guardo Helen che sta ancora abbracciando suo padre.
«Scusa, Dominik, colpa mia. L'ho portata io in camera sua, dopo che tu te ne sei andato».
«Eh?» gridiamo io, mia madre e Helen all'unisono.
Ben prima arrossisce, poi si gratta la nuca con fare imbarazzato e solo dopo decide di spiegarsi: «Beh, stavo per andare a dormire, ma poi Amanda stava tentando di girarsi e ho temuto potesse cadere dal divano. Ecco, scusami, Amanda, non volevo crearti imbarazzo, ti ho solo portata nel tuo letto e ti ho coperta, tutto qui» dice tutto d'un fiato. Non riesco a trattenermi e scoppio in una gran risata.
«Bene, ora, voi due» dico indicando Helen e mia madre, «ci dovete delle spiegazioni. Cosa cazzo avete combinato ieri?»
«Il linguaggio, Dominik!»
«Oh, no, mamma, potrai rimproverarmi quando ti sarà passato il doposbronza, ora cerca di iniziare a raccontare».
Ora siamo tutti seduti sul divano e le due donne cercano di raccontare. Al momento so solo che sono andate nella boutique di Sandy, poi al Marea – il ristorante preferito di mia madre –, dove hanno bevuto dello champagne e dove hanno lasciato la macchina.
«E poi? Non è possibile che foste ridotte in quello stato per dello champagne».
«Beh, poi ho voluto rilassarci un po' e... beh, sai dove mi piace rilassarmi» dice mia madre evasiva come non mai e Helen continua a guardarsi i piedi e a torturarsi le inesistenti pellicine attorno alle unghie.
«Non dirmi che...»
«Siamo andate da Diego».
«Hai portato la mia ragazza a fare un massaggio? Da quel pervertito di Diego?» sbotto alzandomi in piedi.
«Dom, sai che è gay».
«Sì, ma il suo personale no».
«Ha fatto lui personalmente il massaggio a Helen» cerca di difendersi mia madre, ma sta solo peggiorando la situazione.
«Mi vuoi dire che Diego ha visto Helen nuda? Lo stesso Diego che vediamo a ogni maledetto evento? Lo stesso Diego che ci prova con me da quando non ero ancora maggiorenne e lo stesso che è più pettegolo della più pettegola delle vecchiette?» sbraito. Helen sta sprofondando sempre più nel divano.
«Non nuda nuda, dai. Vero, Helen?»
«No, certo che no» viene in soccorso di mia madre.
«Prosegui... poi cosa avete fatto?»
«Vedi, è proprio questo il problema... ricordo di aver portato Helen al Desert Rose, ma poi...»
«L'hai portata in un casinò? In quel cazzo di casinò con i camerieri mezzi nudi?»
Ora nessuno parla. Ben mi guarda comprensivo, le altre due se ne stanno a testa bassa sul divano.
«Cos'avete fatto lì dentro?»
«N-non... ecco, non me lo ricordo. Tu, Helen?» Lei scuote la testa.
«Bene! Io esco, ho bisogno di una boccata d'aria. Per quando rientrerò fatte in modo di riuscire a raccontarmi tutto, altrimenti tu» dico puntando un dito verso mia madre, «hai chiuso con me. E tu...» faccio lo stesso verso Helen, «tu...» Non riesco a formulare la frase, per cui afferro la giacca da moto che ieri ho lasciato su una sedia del salotto ed esco come una furia.
Il mio obiettivo: sbollire la rabbia e farmi venire una maledetta idea per il discorso che dovrò fare questa sera. Perché sì, non è cambiato nulla. Sono incazzato con mia madre, ma non con Helen, anche se sono stato così bastardo da farglielo credere.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top