26. Al vostro servizio, principessa
Siamo appena arrivati davanti alla casa di Amanda, la madre di Dominik. Casa è riduttivo, davvero riduttivo; nemmeno reggia renderebbe l'idea. È un'enorme villa di quattro piani in stile moderno con interi muri fatti di vetrate, un giardino che non ho ancora capito dove inizi e dove finisca e una stupenda piscina illuminata da led colorati in cui sogno di tuffarmi, non fosse che mi congelerei anche l'anima. La guardo con la bava alla bocca da un po', mentre Dominik tira fuori le nostre valigie dall'auto.
«È riscaldata» mi sussurra all'orecchio e senza aspettare la mia reazione si dirige verso la porta d'entrata.
Mio padre si sta guardando attorno spaesato quando una donna fa capolino da dietro l'angolo. Riesco a darle un'occhiata velocemente e se non fosse per la somiglianza con Dominik e perché l'ho già vista in videochiamata, non avrei mai pensato potesse essere sua madre. Sembra avere al massimo trenta/trentacinque anni, ma dato che l'ha avuto a venticinque ne ha parecchi di più. Indossa un abito bianco e nero che le arriva al ginocchio, è molto sobrio, ma tanto attillato da sembrare una seconda pelle. Mette in mostra un fisico da modella che le invidio sin da subito. E devo dire che la telecamera del cellulare di Dominik non le rende giustizia, dal vivo è molto più bella. È bionda, a differenza del figlio, ma noto subito il colore dei suoi occhi: lo stesso inconfondibile grigio di cui mi sono perdutamente innamorata.
«Oh mio Dio, ma quando siete arrivati?» chiede avvicinandosi velocemente, per quanto le sue Louboutin tacco dodici le permettano.
«Qualche minuto fa, mamma, non ti sei persa niente».
Liquida con un gesto il figlio e viene dritta verso di me. «Helen, cara, dal vivo sei meravigliosa, lasciatelo dire». E mi stringe in un abbraccio calorosissimo.
«È un piacere conoscerti, Amanda» dico impacciata. «Ti presento mio padre, Ben Farrow» aggiungo indicando papà che è di fianco a me.
«Amanda Kromwell, è un vero piacere» si presenta porgendo la mano a papà. «Venite, questa sera non fa molto caldo», ci indica la porta d'entrata spalancata e noto che Dominik sta poggiando a terra l'ultima valigia.
«Non si preoccupi, siamo abituati a temperature ben più gelide».
«Ti prego, Ben, dammi del tu. Mi fai sentire vecchia».
«Vecchia? Non voglio sembrare indiscreto, ma credevo fossi la sorella di Dominik».
«Oh,» esclama Amanda portandosi una mano al petto, «così mi lusinghi, sceriffo» aggiunge ridendo. Ha lo stesso sorriso di Dominik. A quanto pare ha ereditato solo i capelli da suo padre: ricci e neri, al contrario di quelli biondi e lisci di Amanda.
«Va tutto bene?» mi sussurra Dominik all'orecchio mentre mi cinge la vita con un braccio.
«Certo».
«Vieni, ti faccio vedere la casa» mi dice tirandomi per la mano senza nemmeno darmi il tempo di rispondergli.
A dire il vero non ho guardato nemmeno l'open space in cui abbiamo appena messo piede. Un open space in cui il pianoterra di casa mia potrebbe starci cinque volte – e non sto esagerando, giuro! – che comprende cucina superattrezzata degna del ristorante più stellato, sala da pranzo con un tavolo degno di un palazzo reale e salotto con un divano bianchissimo.
Avete presente quelle scale doppie dalle quali si vedono scendere le debuttanti nei film? Sono proprio così quelle su cui Dominik mi trascina.
«Hai intenzione di farmi vedere la casa o di farmi slogare una caviglia?» lo riprendo con il fiatone. Non risponde: mi prende in braccio e finisco sulla sua spalla come un sacco di patate.
«Così le tue caviglie saranno al sicuro».
«Il tuo culo no, se ci vomito sopra».
«Uh, che schifo. Non sta usando un linguaggio degno di una principessa, signorina Farrow».
«Cazzo, Dom, sono a testa in giù, vedi te. E, fidati, è quello che succederà se non mi metti giù all'istante».
«Prima ti faccio vedere la casa».
«Sottosopra?» grido dandogli una pacca sul sedere, che ovviamente lo fa solo ridere. «Dai, mi sta venendo il mal di mare».
«Mi sto godendo la vista del tuo sedere, abbi pazienza ancora un po'» e mi morde una natica attraverso il sottile tessuto dei leggings.
«Dominik Kromwell!»
«Al vostro servizio, principessa».
«Questa principessa sta per sentirsi male davvero, prode cavaliere».
«Allora questo cavaliere dovrà ingegnarsi per farla star meglio».
Ed ecco che finalmente torno a vedere il mondo dal verso giusto. Chiudo un attimo gli occhi perché mi gira la testa e azzardo un pugno, che stranamente va a segno colpendo qualcosa che sembra il petto di Dominik, ma potrebbe benissimo essere quello di una statua greca.
«Tieni gli occhi chiusi finché non ti dico di aprirli» mi sussurra all'orecchio.
«È l'unica cosa che riesco a fare al momento, quindi ti è andata bene».
Sento una porta aprirsi, poi vengo spinta verso sinistra e una porta sbatte alle mie spalle.
«Aprili».
Non so se averne paura o fidarmi di lui, quindi li apro lentamente, uno alla volta. E resto senza fiato. Siamo in una camera da letto che sembra all'ultimo piano della villa, ma per quanto sia ben arredata non la guardo nemmeno, quello che cattura e monopolizza il mio sguardo è proprio davanti a me: un'enorme vetrata che sostituisce tutta una parete e attraverso la quale si vede il Golden Gate Bridge con tutte le sue luci che di notte sono uno spettacolo meraviglioso.
«Non è bellissimo?» Annuisco senza distogliere lo sguardo dal panorama e sento il petto di Dominik che si appoggia alla mia schiena e le sue braccia che mi circondano la vita. Prende il lobo del mio orecchio destro tra le labbra e tira leggermente, facendomi socchiudere gli occhi. «È la mia camera, quella che preferisco di tutta la casa. E ti consiglio di goderti la vista finché puoi perché appena saranno tutti a letto ti scoperò contro questa stessa parete» sussurra con la sua voce roca da conquista e io mi sciolgo. Potrei avere un orgasmo solo per la sua vicinanza e per la vista che ancora attrae il mio sguardo. Poi mi rendo conto di quello che ha detto.
«È di vetro, sei pazzo? Ci vedranno!»
«Le vetrate delle camere sono specchiate, da fuori non si vede assolutamente nulla, punto primo; non ci sarà nessuno in giro, punto secondo; e non l'ho mai fatto con nessuna in camera mia quindi bisogna rimediare, punto terzo».
Ed è sul terzo punto che rischio di avere davvero quell'orgasmo.
«Scordatelo che farò sesso con te nella stessa casa in cui ci sono i nostri genitori».
«Le pareti di ogni stanza sono insonorizzate, potresti urlare fino a perdere un polmone e nessuno ti sentirebbe, nemmeno se fosse dietro la porta. Ora, signorinella, hai altre lamentele o possiamo andare a cenare così poi posso mettere in pratica le mie fantasie più perverse?»
Non parlo. Annuisco e basta. Come potrei parlare? Ho perso completamente la voce e l'uso delle mie facoltà di intendere e di volere. Mi prende per mano e mi dà un bacio, troppo casto per quello a cui mi ha fatto pensare, poi mi tira per farsi seguire.
Una volta al pianoterra troviamo mio padre e Amanda seduti uno di fronte all'altra al tavolo da pranzo. I piatti già pronti in tavola, con al centro un arrosto davvero invitante circondato da più contorni di quanti ne abbia mai visti. E il mio stomaco mi ricorda di aver saltato il pranzo.
«Era ora» sibilla mio padre tra i denti.
«Scusate, ho portato Helen a vedere la mia camera» dice Dominik e mi fa un occhiolino che spero di aver notato solo io e che mi fa arrossire fino alle punte dei capelli. Mio padre tossisce. Prende il bicchiere d'acqua. Beve un lunghissimo sorso senza distogliere lo sguardo da me.
«Ehm... Il... il Golden Gate... bellissimo... meraviglioso» farfuglio.
«Tesoro, stai bene?» mi chiede papà lanciandomi uno sguardo di sfida. Non starà davvero pensando che io... che noi... Merda!
«Sì, sì». Credo, o spero, che tra poco morirò per autocombustione.
«Oh!» esclama Dominik. «Ora mi rendo conto... No, Ben, le ho davvero solo mostrato la mia camera, lo giuro. Ho tenuto le mani a posto. Helen sta cercando di dire che dalla mia camera si ha una bellissima vista sul Golden Gate Bridge, è questo che le ho mostrato». In parte è vero, le mani le ha tenute a posto, è bastata la sua voce a mandarmi in pappa il cervello.
«Ragazzi, sedetevi prima che ci tocchi riscaldare tutto. E, sceriffo, andiamo, sappiamo entrambi che non si limitano a giocare a carte quando sono da soli» cerca di alleggerire la situazione Amanda, ma non conosce mio padre.
«Preferisco non pensare a cosa combina tuo figlio con la mia principessa, avvocato» risponde a tono lanciando un'occhiata torva a Dominik, ma nel frattempo cerca di nascondere un sorriso con il bicchiere che ancora tiene in mano.
«Ti capisco, con le figlie femmine deve essere tutta un'altra cosa».
Pian piano l'atmosfera si distende e, tra una pietanza e un bicchiere di ottimo vino, ci ritroviamo tutti sul divano a raccontare aneddoti. Ho scoperto che Dominik fino all'adolescenza era sovrappeso, Amanda mi ha anche mostrato qualche foto di lui da piccolo e devo dire che era un bambino adorabile, davvero bellissimo. Ho scoperto anche che i genitori di Amanda sono entrambi deceduti, il padre poco prima che lei compisse diciotto anni a causa di una malattia e la madre quando Dominik aveva cinque anni. Lui non ricorda la nonna, ma Amanda mi ha detto che era molto legato a lei e che passavano insieme tantissimo tempo; sua madre le è stata d'aiuto con il figlio per consentirle di far decollare la carriera. Mi ha raccontato anche del suo studio legale e abbiamo parlato davvero un sacco del futuro di Dominik in quello stesso studio. Quello che non è mai trapelato dai nostri discorsi nonostante abbia provato più di una volta a introdurre l'argomento è il motivo per cui Dominik è stato espulso da Stanford. Ha insistito un po' perché Dominik faccia domanda alla Harvard per frequentare legge lì, come ha fatto lei, ma lui si rifiuta categoricamente. Qualche mese fa mi ha confidato di averci pensato. Appena arrivato in Minnesota l'idea di entrare a Harvard gli era passata per la testa, ma solo perché avrebbe voluto vendicarsi dell'uomo che ha contribuito alla sua nascita; ora dice di essere troppo felice per lasciare che l'odio che ha sempre provato per quell'uomo lo travolga di nuovo. E io lo capisco, sono completamente dalla sua parte quando dice di non volerci avere a che fare. È molto intelligente, al college si impegna e prende il massimo dei voti, una qualsiasi delle altre università della Ivy League andrà benissimo per avviarlo a una brillante carriera da avvocato.
«Direi che è arrivata l'ora di ritirarci, no? Non so voi, ma io sono stanchissima» esordisce Amanda alzandosi dal divano. «Se volete restare a guardare un po' di tv, fate pure. Voglio che vi sentiate davvero come se foste a casa vostra» aggiunge poi.
«Grazie, sei davvero gentile, ma il viaggio mi ha distrutto. Voi cosa fate?» chiede mio padre a me e a Dominik.
«Anch'io sono stanchissima» confermo.
«Ottimo. Ho fatto portare la tua valigia nella camera di Dominik» mi informa Amanda per poi girarsi verso papà: «Vieni, Ben, ti mostro la tua camera».
«Aspetta un attimo! Non c'è una camera per gli ospiti in più?» chiede mio padre.
«Beh, ce ne sono parecchie, perché?» risponde Amanda e io lancio un'occhiata a Dominik perché credo di aver capito dove vuole andare a parare mio padre.
«Per Helen».
«Papà!»
«Nessun "Papà!", ho dovuto accettare che dormi nel suo appartamento, ma non dormirai insieme a lui nella stessa casa in cui ci sono io. È fuori discussione». Amanda lo sta guardando allibita, Dominik cerca di nascondersi per non dar a vedere quello a cui sta pensando – lo so perché ci sto pensando anch'io: a tutte le volte in cui sono sgattaiolata nella camera per gli ospiti o lui nella mia quando dorme da noi – e io vorrei solo sotterrarmi per la vergogna.
«Papà, sono più che maggiorenne, stiamo insieme da otto mesi e tu conosci Dominik meglio di me. Ora prendi un bel respiro e fingi di non pensarci, puoi farlo? Per favore» lo supplico più con gli occhi che con le parole, ma sembra funzionare.
«Scusate,» dice guardando prima Amanda e poi suo figlio, «non volevo sembrare scortese, ma è la mia bambina, capite?»
«Ben, capisco, davvero. Sai che la sto trattando bene. Ricordi cosa ti ho promesso?» dice Dominik e papà annuisce. «Sono un uomo di parola. E, fidati, ricordo bene anch'io le tue promesse».
«Promesse? Di cosa diavolo state parlando?» mi intrometto.
«Cose da uomini» dicono all'unisono. Mio padre dà una pacca sulla spalla di Dominik mentre Amanda e io ci guardiamo e alziamo le spalle. Uomini, appunto.
Lancia un'ultima occhiata d'intesa a Dominik e poi mio padre sparisce sulle scale insieme ad Amanda.
«Tranquilla, la sua camera è al secondo piano» mi sussurra Dominik all'orecchio appena restiamo soli.
«Sei ancora dell'idea di portare a termine il tuo piano?»
«Oh, puoi scommetterci, principessina. Sarai sul mio pisello prima ancora di rendertene conto». Avvampo.
«Hai sentito mio padre. È in grado di piombare nella tua camera da un momento all'altro».
«Non lo farà».
«Come fai a esserne così sicuro?»
«Perché c'è un patto tra noi, se io lo rispetto lo farà anche lui. E non farmi domande perché non ti dirò mai più di questo».
«Mi fatte sentire un oggetto, voi due» replico mettendo il broncio, con tanto di braccia incrociate al petto.
«Oh, lo sei... sei il mio magnifico oggetto dei desideri». Lo guardo malissimo. Lui ride. «Credi di potermi seguire o facciamo come prima?»
«Cammino».
«Bene» e si avvia verso le scale.
Come anticipato da Amanda, trovo il mio trolley adagiato sulla poltrona nell'angolo destro della camera di Dominik. Mi prendo qualche secondo per ammirare il paesaggio da favola e do un'occhiata alla stanza: il letto – al centro della camera – è enorme, coperto da lenzuola nere di seta, tutto l'arredamento è nero. Dominik mi ha detto che non c'è una ragione di fondo, ma gli è sempre piaciuto il nero, e si nota. Non vedo armadi, ma immagino ci sia una cabina armadio da qualche parte, anche se non vedo alcuna porta.
«Vorrei fare una doccia, dove trovo un bagno?» gli chiedo. Prende il suo cellulare dalla tasca posteriore dei jeans e, mentre lo sto per riprendere perché sembra si sia messo a messaggiare invece di prestarmi ascolto, quello che sembrava un quadro astratto che occupa metà di una parete dal soffitto al pavimento si muove, scorre sul muro rivelando uno splendido bagno.
«Eccoti servito. Desideri altro?» e fa un mezzo inchino per sfottermi. Dio, devo avere un'espressione davvero divertente da guardare in questo momento.
Faccio un passo nel bagno: piastrelle nere che occupano tutto il pavimento e si fermano a metà del muro. Una doccia in cui ci starebbero cinque persone davvero comode e una vasca al centro della stanza.
«Sei sicura di voler fare la doccia? È da un po' che penso a tutto quello che vorrei farti lì dentro» dice indicandomi la vasca.
Non aspetta la mia risposta, mi supera e apre il rubinetto della vasca. Ci versa un po' di bagnoschiuma e, sotto il mio sguardo perso, inizia a spogliarsi. Via la felpa. La T-shirt bianca che indossa sotto è talmente aderente che riesco a vedere ogni muscolo della sua schiena guizzare mentre lancia la felpa verso una sedia posta nell'angolo destro del bagno. Via anche la maglietta. Mi sto godendo la meravigliosa vista della sua schiena, ancora ferma all'entrata.
«Ti piace ciò che vedi, principessa?» mi chiede cogliendomi di sorpresa quando si gira di scatto.
Mormoro qualcosa in risposta, incapace di distogliere lo sguardo dal suo petto scolpito. Sono otto mesi che mi godo la meravigliosa vista del capolavoro che è il corpo di Dominik a ogni occasione, ma ancora non ne ho abbastanza, è ancora in grado di monopolizzare ogni mio pensiero, di far vibrare di desiderio il mio corpo. Non distoglie lo sguardo da me mentre si porta le mani al bottone dei jeans, che seguo mordendomi il labbro inferiore. Con una calma esasperante se li fa scivolare sulle cosce, rivelandomi un paio di boxer neri che a malapena riescono a contenere la sua erezione. Tutta per me. Che sembra chiamarmi, sembra reclamare le mie attenzioni. E non resisto. Fanculo il fatto che in questa stessa casa dormano sia mio padre che sua madre. Fanculo al fatto che probabilmente saranno ancora svegli e uno dei due potrebbe piombare qui da un momento all'altro. Fanculo alla razionalità.
Faccio due passi e lo raggiungo, mi inginocchio sulle piastrelle e lo libero dalla costrizione dei boxer. La sua erezione punta dritta verso il mio viso, pulsa desiderosa delle mie attenzioni mentre faccio risalire lentamente le mani sulle sue cosce muscolose. Sfioro la base del suo membro con le dita e ottengo un gemito da parte sua. Non oso alzare lo sguardo, mi perderei nel grigio dei suoi occhi e avvertirei il bisogno di fiondarmi sulle sue labbra. Afferro l'asta di marmo che mi ritrovo davanti con una mano, iniziando un delicato movimento su e giù che gli fa spostare in avanti il bacino. Freme dal desiderio di sentirsi nella mia bocca quanto io di accoglierlo, ma so che gli piace quando lo faccio attendere un po', quando lo stuzzico. Accresce il suo desiderio e aumenta la potenza del suo orgasmo, come succede a me. Passo la lingua sulla punta del suo sesso. Lui geme e spinge ancora una volta in avanti il bacino, impaziente, prepotente. Assecondo la sua muta richiesta. Ora la mia bocca è piena di lui, del suo sapore leggermente salato, del suo sesso pulsante di desiderio. Geme, spinge in avanti e si ritrae con un ritmo che vede entrambi protagonisti.
«Guardami» ordina con quella voce che adoro, roca per il desiderio.
Lo accontento, alzo lo sguardo fino a scoprire le pupille dilatate che rendono i suoi occhi meno grigi, ma ugualmente magnetici. Un verso basso gli sfugge, una sua mano mi afferra la testa tenendomi ferma mentre la sua erezione affonda ancora di più nella mia gola, dove lo sento esplodere. Fiotti di liquido caldo mi si riversano nella bocca facendomi assaporare il suo orgasmo, il piacere che io sono in grado di fargli provare. Mi piace sentirmi così potente, sapere che questo meraviglioso esemplare di uomo può capitolare ai miei piedi ogni volta che lo desidero. Ne sono diventata dipendente negli ultimi mesi; di lui, delle sensazioni che mi fa provare e di quelle che io riesco a fargli provare. Non è il momento per pensarci, ma mi capita spesso: con Connor il sesso non è mai stato così. Avevo provato il sesso orale con lui, ma non mi piaceva, evitavo di farlo e lui non moriva dalla voglia di farlo su di me. Il sesso con lui era monotono sin dai primi tempi, ma credevo fosse giusto così, non avevo termini di paragone per capire che poteva essere molto meglio.
«Sei troppo vestita, principessa» mi riscuote Dominik facendomi alzare. Mi sfila un indumento alla volta in modo frenetico, finché non mi ritrovo completamente nuda, come lui.
Scavalca il bordo della vasca piena di schiuma.
«Entra, ma non immergerti, siediti sul bordo». Lui ordina e io eseguo.
L'acqua è della temperatura perfetta, bollente come piace a me, come il mio corpo che arde sotto il suo sguardo. Si avvicina e mi lascia una scia di baci lungo le cosce, allargandomele. E raggiungo il paradiso con il suo viso tra le mie gambe.
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