23. Il bianco sta meravigliosamente bene con il nero
Un mese. Un mese intero in cui mi sono ridotto a uno schifo nel tentativo di non pensare a colei che mi ha spezzato il cuore, che l'ha disintegrato, l'ha preso, fatto suo, poi l'ha calpestato davanti ai miei occhi. Non riesco a pronunciare il suo nome. Non riesco nemmeno a pensarlo, il suo maledetto nome. Quello stupido nomignolo che le avevo dato scherzando sul fatto che fosse il mio inferno e che si è avverato: è diventata il mio cazzo di inferno personale per davvero. E non si può uscire dall'inferno. Una volta finiti tra le fiamme non c'è nulla che possa spegnerle, si continua ad ardere. E io brucio. È da un cazzo di mese che brucio senza sosta. A nulla servono le puttanate che Pete continua a dirmi per farmi uscire da questo cazzo di girone infernale, io non ci esco, io non so se voglio uscirci. Quando non bevo penso a lei. Allora bevo per smettere di farlo. Ma non accade subito, devo bere fino a dimenticare anche il mio cazzo di nome per scordare il suo. E dura talmente poco che poi devo ricominciare da capo. Giorno dopo giorno. Ancora e ancora finché finirò per uccidermi, solo così la strapperò per sempre dalla mia mente.
Ieri Pete mi ha urlato contro dicendomi che mi sto comportando come un fottuto moccioso capriccioso, che non è così che risolvo i problemi, per poi stordirmi con la puttanata del secolo: "Devi uscire e incontrare altre donne". Mi fotterei gli uomini piuttosto, perché l'unica volta che ho provato a scopare dopo di lei sono riuscito a eiaculare solo pensando al suo viso.
«Devi tornare al college» mi dice Pete mentre facciamo colazione. «Perderai l'anno e dovrai restare qui un anno in più, non è questo che vuoi».
«Come fai a sapere quello che voglio? Non lo so nemmeno io».
«Lo so e basta. Lavati, vestiti e metti il tuo culo alcolizzato su quella cazzo di moto. Riprendi la tua vita, maledizione!» Ora mi urla contro, ma non mi smuove. Nulla mi smuove più. Ho raggiunto un equilibrio: bevo, dormo o svengo, mi sveglio e prendo qualche analgesico, che mando giù con qualche liquore comprato a pochi spiccioli. «Devi tornare al lavoro. Non ti posso più coprire con Minerva e l'affitto va pagato» aggiunge poi in tono duro.
«Non ci torno in quel posto,» sentenzio, «mandami pure via dal tuo appartamento se vuoi, ma lì non ci torno. Fa' come ha fatto mia madre, come fatte tutti: liberati di me e falla finita». Ora sono io a gridare. La testa pulsa. La bottiglia, mi serve quella cazzo di bottiglia. Vado a cercarla nel nascondiglio in camera mia, dato che se le lascio in giro poi Pete le svuota nel lavandino. È l'ultima, ma per oggi mi basterà. Mando giù un bel sorso di liquore che mi brucia la gola.
«Smettila, Dominik! Cazzo, la devi smettere! Ti ucciderai, ti ammazzerai a furia di bere. Merda, non voglio tornare a casa e trovare il tuo cadavere nel letto» grida prendendomi la bottiglia dalle mani. Ha gli occhi lucidi. Mi rendo conto di ferirlo e so anche che non si merita quello che gli sto facendo passare.
«Me ne andrò. Oggi stesso».
«Ora vado al lavoro e se non ti trovo qui al mio ritorno giuro che ti cercherò in ogni angolo del fottuto mondo finché non ti scoverò e ti ammazzerò con le mie stesse mani» ringhia a un palmo dal mio viso. «Fatti trovare lavato e rasato che stasera usciamo».
Cerco di protestare, ma lui si dirige in bagno e si chiude la porta dietro.
«Se vuoi bere ancora dovrai fare come ti ho detto» aggiunge lanciandomi la mia ultima bottiglia, vuota, e se ne va sbattendo la porta.
Ho passato la giornata maledicendo Pete per avermi lasciato senza un goccio d'alcol. Ho pensato talmente tanto a come procurarmi dell'altro alcol e a come vendicarmi del mio migliore amico che quasi non mi sono reso conto quando è tornato e che per tutto il giorno avevo pensato pochissimo a lei.
«Vado a fare una doccia e poi usciamo» mi informa entrando. «Puzzi, Dom, puzzi davvero, quindi datti una ripulita».
E lo faccio. Forse la mancanza di alcol mi ha fatto bene, perché riesco quasi a tornare in me. Mi faccio la barba, che era davvero lunga, e faccio una lunghissima doccia. Quando torno in salotto trovo Pete che mi aspetta sul divano.
«Andiamo» si alza di scatto e prende le chiavi dell'auto.
«Dove andiamo?»
«Lo vedrai quando ci saremo arrivati» e si dirige verso il garage.
«Perché non hai lasciato fuori l'auto?»
«Devo solo prendere una cosa in garage, vieni». Mi afferra per un braccio e mi tira verso il garage del nostro appartamento.
Apre la porta. La macchina non c'è. C'è solo la mia moto e...
«Helen?» Cazzo, ora ho le allucinazioni. E non bevo da stamattina.
«Mi porti a fare un giro?» È la sua voce, è la sua cazzo di voce. Mi guardo attorno. Pete è sparito. Helen è qui. È seduta sul sellino della mia nuova moto, con il casco che ho comprato per lei in testa.
«C-cosa?» Non riesco a mettere insieme una frase.
Si toglie il casco e scende dalla moto. È davvero lei. Ha i capelli castani ora, tutti. Si avvicina e mi inchioda sul posto con i suoi occhi verdi.
«Sono stata una cogliona. Perdonami, Dom, ho sbagliato. Ho fatto una cazzata, una grandissima cazzata».
Non voglio sentire altro, non sono in grado di stare ad ascoltarla. Le afferro la testa con prepotenza e la tiro a me. La bacio come non ho mai baciato nessuna in vita mia. Mi sto nutrendo di questo bacio come se fosse ossigeno puro. Lei è il mio cazzo di ossigeno. Si stacca da me per prendere fiato, ma non stacca gli occhi dai miei.
«Allora questo è un sì? Signor Kromwell, porterebbe questa ragazza pentita e stupida a fare un giro sulla sua nuova moto?»
Sto per piangere, cazzo. Sto per ridurmi a un fottuto moccioso piagnucoloso. Annuisco, prendo il casco che ancora tiene in mano e glielo infilo dopo averle dato un bacio veloce. Prendo il mio casco e monto in sella. Sento il suo peso dietro di me, mi abbraccia e comincio a volare. Volo insieme al motore che ruggisce sotto di me.
Mi limito ad accelerare, non so dove sto andando e non m'interessa. Finché c'è una strada davanti a me e Helen aggrappata a me non ho bisogno d'altro. Ogni volta che accelero lei si stringe un po' di più a me. Ed ecco che volo verso il paradiso. A ogni miglio sono sempre più fuori dall'inferno e sempre più vicino al paradiso. Al mio paradiso. Dove c'è Helen.
Mi fermo solo quando si accende la spia della riserva e mi maledico per non aver fatto il pieno prima di parcheggiare la moto in garage. L'ho guidata solo per portarla dall'officina in cui lavora Pete a casa, poi non l'ho più toccata. Ogni tanto scendevo a guardarla, ma poi vedevo il casco bianco che avevo preso per lei sul sellino e tornavo di sopra per attaccarmi a una nuova bottiglia.
«Ti va di bere o mangiare qualcosa?» le chiedo mentre faccio rifornimento. Non so nemmeno che ore siano né per quanto tempo ho guidato, so solo che ormai è buio, segno che l'ora di cena è passata da un po'. Helen annuisce e si toglie il casco, inebriandomi con il profumo dei suoi capelli. Non l'avevo scordato, non ci ero riuscito.
Ci sediamo a un tavolino appartato nella tavola calda della stazione di servizio, uno di fronte all'altra e non riesco a distogliere lo sguardo da lei. Nemmeno quando arriva la cameriera a prendere le ordinazioni, parlo guardando lei. Poi la cameriera se ne va e restiamo soli.
«Ho bisogno di farti una domanda, ma promettimi che non ti arrabbierai» mi dice Helen e io annuisco preoccupato. «C'entri qualcosa con l'assegno per la mia casa?» Oh, cazzo!
«Io... ecco... Merda, non voglio più mentirti».
«Lo prendo per un sì. Grazie, grazie davvero. Mi dispiace tu abbia dovuto vendere la moto per me, non ti avrei mai chiesto di farlo. Sto già mettendo da parte i soldi, ti ridarò fino all'ultimo centesimo».
«Non li voglio. È per questo che non volevo che lo sapessi. Non li voglio, quei soldi», mi acciglio, il mio era un gesto disinteressato, un gesto che sentivo il bisogno di fare. Per lei e per suo padre, non per un riconoscimento. «Ho fatto quello che era giusto fare» aggiungo sussurrando.
«Grazie, Dom. Mi perdoni per quello che ti ho fatto passare in questo ultimo mese?»
«Come fai a... Pete, vero?»
«Già. Quel ragazzo non sa farsi i cazzi suoi, eh?!»
«Proprio per niente».
Ride. Lo stesso sorriso che mi ha fatto finire in questo casino.
«Non puoi sorridermi così, mi uccidi» le confesso coprendo la sua mano con la mia. Cazzo, sembra passato un secolo dall'ultima volta che l'ho fatto.
«Ti amo, Dominik». Resto imbambolato a guardarla. Non riesco a proferire parola. L'ha detto davvero? Ha detto quelle due parole? «Scusa, è da un po' che me lo tenevo dentro, forse non ho scelto il momento migliore per dirlo, ma è così. E sai cosa? Non m'importa se tu non provi lo stesso o se non sei pronto a dirmelo, io ti voglio nella mia vita, ti voglio e basta. Mi darai ciò che riuscirai a darmi e mi concederai il tempo che riuscirai a concedermi, non chiedo altro».
Mi alzo e faccio il giro del tavolo, sotto lo sguardo interrogativo di lei. Mi abbasso alla sua altezza e la bacio. La bacio fino a lasciarla senza fiato.
«Tu mi hai già. Sono tuo, tutto tuo, finché mi vorrai. Non tornerò in California se tu non verrai con me. Imparerò a vivere qui, ad amare questo Stato come lo ami tu, lavorerò sodo per farti avere la vita che meriti».
«Amare?» dice tra le lacrime, che mi accorgo solo ora che stanno scorrendo libere anche sulle mie guance. «Non ho mai amato quest'angolo dell'inferno. E, credimi, dopo gli ultimi avvenimenti voglio andarmene il più lontano possibile. La California va benissimo».
«Sei sicura? E tuo padre?»
«Troveremo una soluzione» dice alzando le spalle. Qual è la parola per descrivere il superlativo della felicità? Estasi? No, non basta a descrivere il mio stato d'animo in questo momento.
«Te le dirò, quelle due parole, ma lo farò quando non te lo aspetti, perché è ciò che sento anch'io».
La cameriera torna con le nostre ordinazioni, interrompendo il momento. Mi lancia un'occhiata visto che sono ancora inginocchiato davanti a Helen. Mi alzo e torno al mio posto, felice come non lo sono mai stato in tutta la mia vita.
«Perché bianco?» mi chiede mentre mangiamo indicando il suo casco.
«Perché il mio colore è il nero, lo è da sempre... e il bianco sta bene con il nero».
«Hai ragione. Il bianco sta meravigliosamente bene con il nero».
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