18. Non credo sia una bomba, tesoro
Sono andata a letto con Dominik. Io sono andata a letto con Dominik Kromwell. Continuo a ripetermelo, ma in qualunque modo lo pronunci non riesco a capacitarmi del fatto che non sia stato solo un sogno. Se n'è andato poco dopo, quando gli ho detto che avevo bisogno di una doccia e di dormire. Mi ha dato un bacio e si è rivestito, sparendo sulla sua Honda. E io sono rimasta ancora lì, nella mia cucina, nuda, a pensare se fosse stato tutto frutto della mia fervida immaginazione. Poi ho fatto una doccia lunghissima, continuando a pensare alla sensazione delle mani di Dominik sulla mia pelle, delle sue labbra sulle mie, cercando di imprimermi nella memoria ogni istante passato insieme. Poi mi sono infilata sotto le coperte e ho continuato a ripassare nella mente ogni secondo, dal giro in moto al mio nome mormorato dalle sue labbra durante l'orgasmo. È stato tutto perfetto. Un ricordo da aggiungere alle centinaia che ho in questa casa. E ho voluto farlo, ho voluto portarmi a letto Dominik perché non potevo continuare a convincere me stessa che mi sia indifferente e perché non so se avrò altre occasioni per farlo. Venerdì prossimo sarò una senzatetto e non so in quale parte del mondo andrò a finire. Non so se papà troverà una sistemazione qui attorno oppure se chiederà il trasferimento del lavoro da qualche altra parte. Ieri ne abbiamo parlato e mi ha accennato a un amico che ha in Iowa. Sarebbe la soluzione più drastica, ma in assenza di qualsiasi altra opzione è quello che faremo.
Raccontare tutto a April è stata la cosa più difficile da fare. Come mi aspettavo, si è offerta di farci stare a casa sua finché non capiamo cosa fare, l'ho proposto a papà anche se sapevo sarebbe stato riluttante, ma mi ha stupita dicendomi che aveva già parlato con il padre di April e che sono già d'accordo con il fatto che staremo da loro per i primi giorni. Poi papà mi ha assicurata che non approfitteremo troppo dell'accoglienza della famiglia di April, cosa che mi aspettavo di sentire. Una settimana al massimo, ha detto, quindi l'ipotesi Iowa è parecchio presente. Continuo a sperare non sia la soluzione definitiva, ma devo essere realista. Dovremmo vincere alla lotteria nei prossimi giorni per poter tenere la casa, ma dato che né io né papà siamo in grado di giocarci, la luce in fondo al tunnel la vedo molto, molto lontana.
Mi sono svegliata presto, nonostante sia domenica e nonostante abbia dormito davvero poco, ma voglio godermi ogni minuto in questa casa. E devo aiutare papà con gli scatoloni. È difficile per me dover richiudere in scatole di cartone tutto quello che possediamo, ma per mio padre è straziante. Oltre a essere triste per la casa, in questi giorni pensa anche molto alla mamma. Ogni volta che si avvicina il mio compleanno lo fa, è dura per lui festeggiare proprio in quei giorni.
Mia madre è morta il giorno della mia nascita. Aveva scelto di partorire in casa, essendo un'ostetrica lei stessa sapeva quello che stava facendo e i rischi a cui andava incontro. Mio padre mi ha raccontato che lui non era d'accordo, ma mia madre era stata irremovibile, finché non si è convinto anche lui. Le aveva chiesto di prendere solo due accorgimenti: un'ambulanza parcheggiata davanti a casa e una sua collega ostetrica in casa. Mia madre iniziò ad avere le doglie al mattino ed entrambe le cose arrivarono in giro di mezz'ora. Io sono nata alle cinque del pomeriggio. La prima cosa che chiese mia madre fu se stessi bene, quando la sua collega le disse che ero perfetta, si lasciò andare a un pianto liberatorio. Non è stato un parto semplice, a un certo punto avevano addirittura pensato di trasferirla in ospedale, ma mia madre si rifiutò. L'unica fotografia che abbiamo insieme è proprio mentre lei continuava a piangere. È bellissima perché io ho un'espressione serissima, imbronciata, mentre lei piangeva come una neonata. È tenerissima. È stato proprio dopo quell'unico scatto che tutto precipitò. Mia madre disse a mio padre di prendermi, dopodiché roteò gli occhi e svenne. L'ostetrica era ancora in casa, ma l'ambulanza se ne era andata subito dopo la mia nascita. Non avrebbe più dovuto servire. Mia madre ebbe un'emorragia, inutili sono stati i tentativi della sua collega di tenerla in vita fino al ritorno dell'ambulanza; quando finalmente arrivò, soltanto cinque minuti più tardi, mia madre aveva già emesso l'ultimo respiro. Così il giorno della mia nascita divenne un giorno di lutto invece che uno di festeggiamenti.
Papà ha sempre tentato di non farmelo percepire, ma è impossibile non notare il suo cambio d'umore man mano che si avvicina il tredici maggio. Quando ero piccola mi organizzava comunque delle feste in casa con altri bambini, crescendo ho cominciato sempre più spesso a festeggiare fuori, alla sera, dopo aver passato l'intera giornata con lui. A volte mi racconta di mamma, altre passiamo quella giornata al cimitero a raccontare alla sua tomba della nostra vita, di quello che facciamo, dei miei progressi a scuola oppure delle sue promozioni al lavoro.
«Tesoro, dovremmo fare una selezione, non ci servono tutti questi oggetti».
«Sì, papà, hai ragione, intanto inscatoliamo solo il necessario poi penseremo al resto».
Andiamo avanti quasi tutto il giorno così, immersi tra gli oggetti del salotto e della cucina, lasciando fuori soltanto quelli che ci sarebbero serviti negli ultimi giorni qui. E più gli scatoloni si riempiono più la situazione diventa reale, tangibile, e orribile.
Passo la domenica sera davanti alla tv insieme a papà. Guardiamo un film di cui non ricordo nemmeno il titolo, era qualcosa con dei supereroi, i film preferiti di mio padre.
Il lunedì mattina, scendo per bere il caffè prima di andare a lezione e trovo papà in cucina, anche lui pronto per il lavoro.
«Tesoro, è arrivata una busta per te. L'ho trovata per terra, probabilmente è stata inserita sotto la porta perché sulla busta c'è scritto solo il tuo nome» mi informa perplesso.
«L'hai aperta? Di chi è?» chiedo incuriosita.
«No, piccola, è per te, aprila tu. Non c'è scritto altro che il tuo nome...»
Prendo la busta che mi porge e la soppeso tra le dita. È bianca, una semplice busta da lettere, e leggera.
«Non credo sia una bomba, tesoro. Aprila, dai, magari è di un ammiratore segreto di cui non so nulla» azzarda insinuando qualcosa che mette in moto i miei neuroni. Possibile che sia di Dominik? Se così fosse sarebbe davvero imbarazzante aprirla davanti a mio padre.
«La apro dopo le lezioni, non voglio arrivare in ritardo» mento.
«Mmm... non me la dai a bere, piccola. Forza, vai di sopra se vuoi essere da sola per aprirla. Cercherò di non farti domande, vista la situazione, ma non so per quanto resisterò».
«Nessun ammiratore segreto, papà. E nemmeno quello che pensi tu... Guarda, la apro» dico cominciando a rompere la busta, con il cuore a mille e le mani tremanti.
Dentro ci sono due foglietti, sembra quasi uno scherzo. Tiro fuori il primo e leggo quello che c'è scritto: "Non è molto, ma servono più a te e alla tua famiglia che a me. Usali, per favore". Non è firmato e non capisco a cosa si riferisca. Ho una mezza idea, ma non può essere. Tiro fuori l'altro foglio e resto letteralmente a bocca aperta. Le ginocchia mi cedono e mi aggrappo allo sgabello più vicino per non stramazzare a terra.
«Tutto bene? Helen, che cos'è?» mi chiede mio padre allarmato.
«Non ci crederai, papà!» esclamo scoppiando a ridere. Non. Ci. Posso. Credere.
«Ora sono ancora più preoccupato. Sei sicura di star bene?»
Continuo ad annuire con la testa mentre gli passo quello che ho in mano e mi asciugo le lacrime.
«Cosa? Chi? Chi ha fatto questo?»
«Non ne ho idea, papà, ma chi se ne importa?!»
«Non possiamo usarli. Vanno restituiti. Con chi hai parlato della nostra situazione?» grida mio padre continuando a sventolarmi la busta davanti agli occhi. Non capisco, perché non può esserne felice e basta?
«Perché? Leggi qui» dico porgendogli l'altro foglietto, «non sappiamo di chi siano, non ne ho la più pallida idea, credimi, quindi perché sprecarli. Ne abbiamo bisogno, davvero bisogno, papà. Usiamoli e se nel frattempo capiamo chi è stato a farlo glieli restituiamo. Ora ho un lavoro anch'io, pian piano ce la faremo a risparmiare quella somma».
Papà mi guarda con gli occhi lucidi e si accascia sullo sgabello continuando a spostare lo sguardo tra il mio viso e l'assegno che tiene tra le mani. Duemilacinquecento dollari. Con quei soldi ci teniamo la casa e paghiamo anche un paio di mesi di affitto. Non capisco come mio padre abbia potuto anche solo pensare di non usarli.
Mezz'ora più tardi siamo ancora abbracciati e ci stiamo asciugando le lacrime. Papà ha chiamato al lavoro per avvisare che sarebbe arrivato più tardi; è intenzionato ad andare subito dal proprietario della casa e dargli l'assegno. Io rinuncio al caffè e mi precipito al college. Arrivo giusto qualche minuto in ritardo alla prima lezione, ma non è un problema, nulla mi può preoccupare oggi.
Arriva la fine delle lezioni che ancora non riesco a credere a quello che è successo questa mattina. Ho pensato per tutto il tempo a chi potrebbe aver fatto un gesto del genere, ma non sono arrivata a una conclusione. La busta era indirizzata a me, quindi non può essere qualche amico o collega di papà. Da parte mia, le uniche persone che erano a conoscenza della situazione sono April, che non avrebbe la possibilità di farlo, la sua famiglia non naviga nell'oro, e Dominik, di cui non so molto, ma è impossibile che abbia fatto un gesto del genere. Ho cambiato opinione per quanto lo riguarda, non è lo stronzo che credevo fosse, ma lavora solo al Minnie's e l'ho sentito un paio di volte che si lamentava con Pete di essere al verde. A meno che uno di loro due non ne abbia parlato con qualcuno che ha deciso di darci una mano.
Smetto di pensarci, almeno per oggi, e corro dalla prima persona alla quale ho pensato di volerlo raccontare nel momento in cui ho visto l'assegno. E non è April. Tra l'altro, lei ancora non lo sa, oggi non si è presentata alle lezioni. Le ho scritto e mi ha detto che non stava bene, presumo per il ciclo.
Cammino sorridendo a trentadue denti, sono perfino uscita dieci minuti in anticipo all'ultima lezione per arrivare al Dipartimento di Letteratura prima che Dominik finisca le lezioni. Mi fermo davanti all'edificio, verde menta come tutti gli altri e scrostato come tutti gli altri, solo che ai miei occhi diventa il più bello dell'intero campus, acquisisce una bellezza intrinseca nel momento in cui il ragazzo più bello che abbia mai visto attraversa la soglia e mi guarda aggrottando le sopracciglia. Il mio sorriso si allarga ancora di più. Mi torco le mani e continuo a muovermi sul posto finché non riesco più a stare ferma. Corro verso di lui e gli salto in braccio. È confuso, ma ci mette un attimo a sollevarmi da terra. Allaccio le gambe attorno ai suoi fianchi e infilo una mano tra i suoi capelli ricci mentre poggio le labbra alle sue.
«A cosa devo questa meravigliosa sorpresa?» chiede quando mi stacco per riprendere fiato.
«Ti devo raccontare una cosa bellissima... non bellissima, meravigliosa, strabiliante, incredibile».
«Wow... ora sono davvero curioso».
«Qualcuno – non ho idea chi sia, ma prima o poi lo scoprirò, ne sono certa – mi ha fatto recapitare un assegno che copre gli arretrati dell'affitto e anche qualcosa in più. Non ci posso credere, Dom, non dovrò più trasferirmi» grido quasi per l'entusiasmo che arriva alle stelle.
«Sono davvero felice per te! Dobbiamo festeggiare, sì, per forza, dobbiamo festeggiare tanto, tantissimo, e ho anche qualche idea di come farlo...» mi dice concludendo il tutto con un più che eloquente occhiolino. Inutile dire che avvampo, mi sciolgo, divento cera fusa tra le sue mani infuocate.
Tocco di nuovo terra. «Passa a prendermi dopo cena... facciamo alle otto» e questa volta sono io a fargli l'occhiolino, per poi girarmi e scappare nella direzione opposta, come la codarda che sono perché non riuscirei a sostenere il suo sguardo per un altro secondo. E perché temo di cambiare idea.
Quando sono con lui sembra che il mio cervello cancelli momentaneamente tutto quello che di negativo lo riguarda. Il fatto che sia andato a letto con la mia migliore amica? L'ha fatto davvero? Il fatto che abbia fatto lo stronzo con me sul lavoro? Chissenefrega! Somiglia fin troppo a Connor? Davvero? Dove? Ecco, non sono lucida quando Dominik è vicino a me.
Decido di passare da April prima di tornare a casa. Un po' per vedere come sta e un po' perché sono un'egoista e voglio dirle dell'assegno. Le auto dei suoi non ci sono, quindi faccio come fa lei quando viene da me: spalanco la porta e corro al piano di sopra, nella sua camera. La trovo distesa sul letto, con il portatile in braccio – che chiude con uno scatto appena mi vede – e circondata da fazzoletti. Influenza? Ad aprile? April non si ammala nemmeno d'inverno.
«Ehi, sei viva!» esclamo.
«Cosa ci fai qui?» mi chiede con un'espressione strana.
«Sono passata a trovarti... volevo vedere come stai» le dico, «e darti una notizia meravigliosa» esclamo poi sorridendo, non riesco a smettere di farlo.
«Sono viva, no? Ora dammi la tua notizia». Sembra annoiata, ha la voce di chi lo è, come se la mia notizia non le interessasse. Sarà perché non sa di cosa le voglio parlare.
«Ho ricevuto un assegno di duemilacinquecento dollari. Per la casa. Non è incredibile?» la metto al corrente saltellando per la sua stanza.
«Wow. E chi te l'ha dato?»
«Non ne ho idea. Gli unici a saperlo siete tu e Dom, e lui non è stato, non ne sapeva nulla. Resti tu, ma a quanto pare anche tu cadi dalle nuvole...»
«Dom? Ora lo chiami Dom? Cosa mi sono persa?»
«Ti racconterò tutto, promesso, ma non ora. Dimmi solo se hai parlato a qualcuno della mia situazione con la casa».
«Beh, ti ricordi il tipo newyorkese?»
«Aaron?»
«Mi sembra si chiamasse così... ecco, è saltato fuori l'argomento e ne ho parlato al suo amico, tutto qui».
«Dio, April, se non fossi così felice e tu così moribonda giuro che ti sgriderei fino a perdere il fiato».
«Però la mia lingua lunga ha portato a qualcosa di buono, no?»
«Sì, però ora come faccio a ritrovarlo? Vorrei almeno ringraziarlo. Non ho il suo numero, non conosco nemmeno il suo cognome».
«Beh, ha fatto una buona azione, se non ti ha lasciato i suoi contatti e non si è nemmeno firmato credo sia perché non vuole essere ringraziato, non credi?»
«Hai ragione. Grazie, April, non so cosa farei senza di te. Cerca di rimetterti presto, okay?» le dico e mi chino per darle un bacio sulla fronte. «E basta con i film strappalacrime, intesi? Ora scappo, ma ti passo a trovare domani dopo le lezioni se non ti rimetterai prima».
Vado a casa di corsa e approfitto dell'assenza di papà per disfare gli scatoloni. Non riesco a togliermi il sorriso dalle labbra. E non riesco a credere che Aaron abbia fatto una cosa del genere per me. Dio, non posso nemmeno raccontarlo a papà! Non posso certo dirgli: "Papà, ho scoperto che il nostro benefattore è un ricco imprenditore newyorkese che mi sono portata a letto un po' di tempo fa". Anche no.
Quando si avvicina l'ora di cena mi metto ai fornelli e preparo il mio ormai famoso pasticcio di carne e patate, quello che la mamma preparava per l'anniversario e che mi sembra perfetto per festeggiare questa casa.
Continuo a guardare l'ora mentre ceno con papà, che è sorridente quanto me. Ho ereditato il colore degli occhi da mia madre, ma per il resto somiglio moltissimo a papà – solo fisicamente perché lui mi dice spesso che ho il carattere di mamma – e in questo momento credo che siamo l'uno il riflesso dell'altra, entrambi il riflesso della pura felicità. Mi ha detto di essere andato dal proprietario e che non è stato troppo contento di vederlo dato che non vede l'ora di vendere la casa, ma ha dovuto accettare il nostro assegno.
Quando sono ormai le sette e mezzo, vado nella mia camera a scegliere l'outfit per la serata. Opto per i jeans dato che sicuramente Dominik arriverà in moto, quindi i miei vestiti sono bocciati a prescindere, ma posso comunque darmi da fare e indossare il più bel completino intimo che ho. Perché sì, Dominik questa sera vedrà il mio intimo, e me lo toglierà anche. Fanculo tutto il resto, io lo voglio, lui mi vuole, siamo giovani, al diavolo le paranoie inutili. Cerco in fondo al cassetto della mia biancheria perché ricordo di avervi riposto un completino carino in pizzo rosso. Tasto per bene finché non trovo quello che cercavo, ma mi accorgo anche di un'altra cosa: manca uno dei due test di gravidanza. Dio, fa che non l'abbia visto mio padre! Cosa potrebbe pensare?
Scrivo un messaggio a April per chiederle se l'ha preso lei, ma non faccio in tempo a ricevere risposta che sento suonare il campanello.
Oh, cazzo, non sono ancora pronta, per niente, e giù c'è mio padre. Lo farà scappare, lo so, quando sarò pronta e scenderò non troverò più nessuno ad aspettarmi perché papà avrà fatto scappare a gambe levate Dominik.
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