16. Andrà tutto bene
Il resto della mia domenica di relax va come previsto: divano, divano e divano. Non faccio che tenere impegnato il mio cervello con serie tv e film vari per non pensare a Dominik e la cosa sembra funzionare. Poi però arriva l'ora di andare a dormire ed è mentre fisso il soffitto della mia camera che gli avvenimenti degli ultimi giorni tornano a impegnare i miei pensieri, tutti insieme, soprattutto quelli dell'ultimo incontro con Dominik. Forse sto esagerando davvero, forse non avrei dovuto respingerlo, ma non ho il coraggio di impegnarmi con lui.
Ho paura. Ecco, l'ho detto: ho paura, cazzo! Il fatto che si sia portato a letto April in quel modo mi fa pensare a quanto sia uno a cui piace il sesso occasionale, nonostante Pete dica il contrario. Anche Connor sembrava tenesse solo a me, invece poi si è rivelato per quello che è sempre stato. Mi ha fatto perdere cinque anni della mia vita, non ne voglio perdere altri dietro a uomini allergici alla monogamia. Dio, ho sentito bene le mani di Dominik su di me, sa dove e come toccare una donna, lo sa davvero bene, quindi di esperienza ne ha fatta tanta e forse ne sta ancora facendo. Mentre io, beh, io ho fatto sesso occasionale una sola volta in tutta la mia vita. E con Connor non è che abbia sperimentato chissà cosa, quando facevamo sesso era tutto molto meccanico, ordinario. Forse perché il resto del divertimento lo riservava alle cheerleader.
Era da un po' che non pensavo a Connor e me ne rendo conto solo ora. È merito di Dominik se non ci pensavo più, lo so, ma è anche per colpa sua che ora ci sto pensando. Nessuno nella mia vita mi ha mai ferita quanto l'ha fatto Connor Havery, e non permetterò a un altro cattivo ragazzo dal bel faccino di fare altrettanto. Perché è inutile negare l'evidenza: quei due si somigliano parecchio.
Mi sveglio grazie al suono insistente della sveglia e mi ricordo di April e del suo "problema", quindi la sto per chiamare quando sento sbattere la porta d'entrata.
«Helen! Helen!» grida saltellando mentre irrompe in camera mia. «Mi è arrivato il ciclo!» esclama e vedo la felicità sul suo viso.
«Lo sapevo, April! Fantastico, cazzo!» esclamo abbracciandola.
Tiriamo entrambe un grandissimo sospiro di sollievo e ci prepariamo per le lezioni. Oggi inizia l'ultimo semestre del penultimo anno. E sono cambiate un sacco di cose dal giorno in cui ho varcato quel cancello per la prima volta. All'epoca ero felicemente fidanzata con quello che ero convinta sarebbe diventato mio marito e il padre dei miei figli, non avevamo tutti questi problemi di soldi o non sapevo di averli ed ero concentrata sullo studio, lasciando agli altri il divertimento. April c'era allora e c'è anche oggi, forse lei e mio padre sono e resteranno i miei unici pilastri, le uniche persone che nonostante tutto troverò sempre al mio fianco, pronte a sorreggermi qualora ne avessi bisogno e pronte a volermi bene sempre, come io ne voglio a loro.
«Dobbiamo festeggiare» grido dal bagno.
«Puoi dirlo forte. Ho sentito Vince e stasera danno una festa per il ritorno dei membri della confraternita».
«Fatta! Ma quando hai sentito Vince?» le chiedo mentre torno in camera.
«Ora» mi risponde April mostrandomi il cellulare. «Dovresti chiedere a Dominik di venire» aggiunge poi.
«Dominik? E perché dovrei farlo?» Non è possibile che sappia quello che è successo tra noi, a meno che non gliel'abbia raccontato Dominik stesso... e questo rafforzerebbe l'idea che mi sono fatta di lui.
«Perché ho visto come ti guarda e come tu guardi lui, quindi se lui non fa il primo passo, fai la tua parte e chiedigli di venire alla festa, semplice no?»
«No, April, tra me e Dominik non c'è nulla e mai ci sarà qualcosa».
«Sicura che non sia successo nulla?»
«A parte lui che si comporta da stronzo a ogni occasione, direi di no».
«Allora non ti dispiacerà se lo invito io» aggiunge come se fosse una specie di test, come se mi volesse mettere alla prova.
«Fai pure» le rispondo, ma non riesco a guardarla in faccia. April mi conosce troppo bene, le basterebbe uno sguardo per capire che mi dà fastidio solo il pensiero.
«Bene, allora lo farò. Al diavolo il mio motto, lui è davvero bravo, credo sia il caso di dargli una seconda possibilità» e rigira il coltello nella piaga.
«Bene».
Non parliamo più fino al college e fortunatamente le prime lezioni non sono in comune, quindi ho un po' di tempo per incazzarmi. Dio, non dovrei, ma non ci posso fare nulla. Non lo voglio per me, ma non mi sta nemmeno bene che Dominik esca con April. Mi ucciderebbe vederli insieme. A dire la verità mi darebbe fastidio vederlo insieme a qualsiasi altra ragazza. Solo l'immagine di lui alla festa di Vince, circondato dalle cheerleader, mi fa venire la nausea.
La giornata vola, così come la serata e la settimana, senza Dominik. Non lo vedo mai e April non lo nomina più, cosa per cui le sono grata. Sto quasi per dimenticarmi della sua esistenza; okay, no, impossibile. Però non monopolizza più ogni mio pensiero.
Mi sto preparando per il lavoro quando mio padre mi chiama dal piano di sotto.
Scendo le scale di corsa. «Tutto okay?» gli chiedo perché il suo tono di voce mentre mi chiamava non presagiva nulla di buono.
«Siediti, tesoro, ti devo parlare...» È già seduto al tavolo della sala da pranzo e mi fa segno di sedermi davanti a lui, così lo accontento.
«Papà, devo andare al lavoro, non voglio fare tardi. È così importante?»
«Sì, Helen. Se avrai problemi al lavoro parlerò io con Minerva, però ora ascoltami». Non voglio che parli con Minerva e non glielo lascerò fare, ma lo ascolto. «Non te ne ho mai parlato perché credevo di avere la situazione sotto controllo. Vedi, è da un po' che non siamo messi bene sul piano economico», il suo viso si rabbuia e abbassa lo sguardo. «Non c'è un modo facile per dirlo. Helen, tesoro,» ora prende le mie mani tra le sue, «dovremo trasferirci. Non so ancora dove, ma tra una settimana da oggi dovremo lasciare questa casa».
Sento la voce di mio padre come distante, ovattata, come se non stesse parlando a me. Una settimana?
«Cosa? Papà... perché?» Non posso dirgli che sapevo dello sfratto, ma non era previsto tra una settimana, avevamo ancora poco più di un mese a disposizione.
«Non abbiamo pagato alcune rate dell'affitto. Ci avevano dato il tempo di farlo fino alla fine del mese prossimo e non ti ho detto nulla perché ero convinto di farcela. Ho chiesto un anticipo al lavoro e me lo stavano concedendo, ma oggi mi ha contattato il proprietario dicendomi che i termini sono cambiati. C'è una persona disposta ad acquistare l'immobile, ma vuole trasferirsi il prima possibile, quindi se in una settimana non gli faccio avere i soldi dovremo lasciare la casa. E, Helen tesoro, le ho pensate tutte, ma in una settimana non posso farcela». I suoi occhi sono lucidi mentre mi parla, ma io non riesco ad avere alcuna reazione. Me ne sto qui, come in trance, impossibilitata a muovere anche un solo dannato muscolo.
«Io... ho quasi trecento dollari, papà. Posso chiedere a Minerva un anticipo. Non sarà tanto, ma magari possono essere d'aiuto» dico dopo un infinito momento di silenzio.
«Tesoro, non ti preoccupare, troveremo qualche altro posto dove andare. Andrà tutto bene, vedrai».
«No, papà! Non puoi gettare la spugna così, non puoi semplicemente smettere di lottare. È la nostra casa, è la casa in cui c'era mamma...»
«Credi che non lo sappia?» aumenta appena il tono di voce mentre si alza e mi dà le spalle.
«E allora perché ti arrendi?»
«Non mi arrendo, Helen. Sono solo realista, dannatamente realista. Le cose stanno così».
«Ne riparliamo domani, okay?» replico infine.
Annuisce senza proferire parola e io corro come una dannata al lavoro. Proprio oggi dovevo rinunciare al passaggio di April? Le lacrime continuano a scendere sulle mie guance per tutto il tragitto fino al Minnie's, dove arrivo con un quarto d'ora di ritardo.
Entro come una furia e mi dirigo dritto nello spogliatoio. Faccio appena in tempo a intravedere Callie tra i tavoli. Mi cambio la maglia e mi lascio cadere sulla panchina. Devo riprendermi, non posso farmi vedere di là in queste condizioni. Faccio qualche respiro profondo, ma non serve a nulla.
«Va tutto bene?» Alzo lo sguardo e mi trovo davanti l'ultima persona che ho bisogno di vedere in questo momento: Dominik, in tutto il suo splendore. E, Dio, vorrei corrergli incontro e rifugiarmi tra le sue braccia, piangere tutte le mie lacrime sul suo petto, sentirmi protetta da lui.
«Scusami, ora mi riprendo e arrivo. Dammi solo un secondo, per favore» lo supplico. Spero che se ne vada perché per quanto mi piacerebbe rifugiarmi tra le sue braccia, ho paura che possa essere lo stronzo che è sempre durante il lavoro e ora non potrei proprio sopportarlo. Ma invece di andarsene Dominik si inginocchia davanti a me e prende le mie mani tra le sue, cercando un contatto con i miei occhi.
«Posso fare qualcosa per te, Helen?» mi chiede con la voce più dolce che abbia mai sentito, e scoppio di nuovo a piangere. «Mi stai spaventando, cos'è successo? Stai bene?»
«S-sì... io sto bene. È... è la casa» biascico.
«Ci sono ancora problemi con l'affitto?» mi chiede e sono colpita nel capire che si ricorda quello che gli avevo confidato.
«Hanno cambiato i termini... abbiamo una settimana per dare i soldi al proprietario, ma siccome non ce la faremo, mio padre mi ha detto di prepararmi a traslocare».
Non dice nulla, mi attira semplicemente a sé. Mi abbraccia e mi dà un bacio sulla testa mentre continua ad accarezzarmi la schiena mossa dai singhiozzi. Non riesco a smettere di piangere, ma il suo inebriante profumo e il calore del suo abbraccio mi aiutano a sentirmi meglio. Nulla di tutto questo può cambiare qualcosa, ma averlo vicino mi fa sentire più al sicuro.
«Quella... quella casa... Ci sono nata lì, capisci?» dico tra i singhiozzi, «Mia madre ha vissuto lì dentro, ci sono tutti i ricordi di mio padre e tutta la mia infanzia lì».
«Troveremo un modo, Helen».
«Grazie, Dominik... ma non c'è nulla che tu possa fare. Grazie comunque per avermi ascoltata» dico staccandomi da lui.
Mi alzo e vado a sciacquarmi il viso, Dominik torna nel locale e io lo raggiungo qualche minuto più tardi, dopo essere andata nell'ufficio di Minerva per scusarmi del ritardo. Non sono riuscita a chiederle l'anticipo, sono troppo sconvolta per essere in grado di parlare senza scoppiare a piangere. Lo farò domani prima del turno di lavoro.
È la prima sera da quando lavoro qui che Dominik non mi fa impazzire. Mi lascia lavorare con i miei ritmi, permettendomi di stare dietro al bancone e facendomi fare le cose più semplici. Callie continua a guardarci come se fossimo degli alieni, soprattutto Dominik, e la capisco, non l'ho mai visto comportarsi così. È sempre piuttosto duro con me sul lavoro, ma anche con i suoi colleghi. Se non lo conoscessi e lo vedessi oggi per la prima volta, penserei che sia il ragazzo più dolce e premuroso del pianeta.
«Passa a prenderti April dopo il lavoro?» mi chiede quasi a fine turno.
«No, tra tutto quello che è successo mi sono dimenticata di chiamarla per mettermi d'accordo con lei».
«Allora ti accompagniamo io e Pete» dice come se fosse un dato di fatto, ma non ribatto.
Il turno di lavoro finisce e mi accompagnano a casa, dove mi ritrovo da sola. La realtà delle cose mi investe quando vedo gli scatoloni sul pavimento del salotto. Sono ancora vuoti, ma c'è tutto l'occorrente per inscatolare tutto ciò che possediamo. In una settimana tutta la mia vita sarà dentro a dei banali scatoloni di cartone.
Tutti i ricordi di mamma e papà ridotti a un mucchio di oggetti.
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