Vecchi amici
Se non fosse stato per Malcolm e Kate, non sarei riuscita a salire le scale che portavano all'interno di Hogwarts. Come se fossero le mie guardie del corpo, mi avevano sorretta per le braccia aiutandomi a fare un gradino alla volta; gli occhi strabuzzati e la bocca semiaperta che boccheggiava nel tentativo di dire qualcosa di sensato.
Non mi importava che i miei compagni mi guardassero perplessi; per una volta, il loro giudizio era l'ultimo dei miei pensieri.
Mai avrei immaginato che uno dei miei idoli mi avrebbe fatto visita ad Hogwarts. Certo, Viktor non era lì per me e non si era fatto largo tra la folla per raggiungermi e proclamarmi il suo amore; ma era comunque nello stesso posto in cui ero io e qui avevo molte più probabilità di poterci scambiare qualche parola.
Malcolm e Kate mi trascinarono per il corridoio, diretti nella Sala Grande.
"Kate," dissi.
Lei si voltò dubbiosa verso di me.
"Dov'è il rossetto che volevi mettermi? Lo hai ancora nella tasca del mantello?"
Malcolm le lanciò un'occhiata furtiva; mi mise una mano sulla fronte.
"Cassie, sei sicura di stare bene?"
"Credi che mi firmerà il cappello con il rossetto?"
Sollevato dalla mia risposta, Malcolm scoppiò a ridere e mi cinse le spalle con un braccio. Kate – che aveva osservato tutta la scena in silenzio- alzò gli occhi al cielo, serrando le mani in due pugni.
"Non ti presterò il mio rossetto per farti autografare il cappello!"
"Ma è una questione vitale! Krum come può innamorarsi di me se non trovo un pretesto per parlargli?!"
"Cassidy domani troverai una penna!"
"Mi serve quell'autografo ora!"
Un gruppetto di Grifondoro del quarto anno ci superò zittendoci. Kate stava continuando a guardarmi torva, ma, rassegnata, infilò una mano dentro il mantello ed estrasse il rossetto.
"Tieni, Cassie, ma sappi che ora ti iscriverai con me al corso di Moody in preparazione ai M.A.G.O.," disse con uno sbuffo.
Senza replicare, sorrisi e le strappai il rossetto dalle mani. Una volta che Krum mi avesse vista così volenterosa ad avere il suo autografo, si sarebbe sentito in dovere di passare del tempo con me. D'altronde, dovevo farlo innamorare in qualche modo, no?
Soddisfatta, presi a braccetto i miei amici ed entrammo nella Sala Grande, dove prendemmo posto al tavolo dei Tassorosso. Per mia sfortuna, i ragazzi di Durmstrang si erano già seduti al tavolo dei Serpeverde; spogliati dalle pellicce, stavano osservando il soffitto stellato in attesa.
Kate mi tirò la manica del mantello.
"Cassie, è lui quello che dicevo! Il ragazzo bello! Mi pare anche di averlo già visto!"
Incuriosita, aggrottai la fronte e guardai nella direzione che stava indicando con foga. In disparte, un ragazzo di Durmstrang si era seduto sul bordo della panca e guardava annoiato un punto indefinito della sala. Rispetto ai suoi compagni, sembrava meno massiccio e più atletico; anche i lineamenti del suo viso parevano fuori contesto in confronto a quelli grossolani degli altri ragazzi. Incuriosita, mi voltai del tutto per guardarlo meglio. Perché mi sembrava tremendamente famigliare? Prima di riuscire a capirlo, i professori fecero il loro ingresso nella sala e si sedettero al loro tavolo.
"Perché Gazza ha preparato quattro posti in più se ci sono solo Madame Maxime e Karkaroff?" chiese Tamsin incuriosita.
Alzai le spalle incapace di dare una risposta.
I presidi delle tre scuole furono gli ultimi a entrare e una volta raggiunta la propria postazione, Silente rimase in piedi. L'intera Sala Grande venne avvolta dal silenzio.
"Buona sera, signore e signori, fantasmi e - soprattutto – ospiti," disse Silente rivolgendo un gran sorriso agli studenti stranieri, "è un grande piacere per me darvi il benvenuto qui a Hogwarts. Spero e confido che la vostra permanenza qui sarà tanto comoda quanto piacevole."
A quelle parole, una ragazza di Beauxbatons scoppiò a ridere altezzosamente. Roteai gli occhi.
"Idiota," mormorai.
Tamsin annuì e incrociò le braccia al petto.
"Il Torneo verrà ufficialmente inaugurato alla fine del banchetto," disse Silente, "ora vi invito tutti a mangiare, bere e a fare come se foste a casa vostra!"
Silente si sedette e i piatti si riempirono di cibo. Storsi il naso. Oltre a quelle normali, il tavolo era ricoperto di pietanze mai viste prima, dall'apparenza strane e troppo sofisticate. Davanti a me, Malcolm si passò la lingua sulle labbra e si riempì il piatto con uno stufato di crostacei.
"Quanto amo il cibo francese."
"È il cibo degli sfigati," intervenne disgustato Anthony, "non voglio mangiare come una femminuccia solo perché sono arrivati loro."
Il ragazzo si avventò sul sanguinaccio, sotto lo sguardo irritato di Malcolm.
"Meglio essere una femminuccia che un troglodita come te."
La mia voce uscì velenosa, con un sibilo. Rickett abbassò la forchetta e si scusò con Malcolm. Quando Herbert cominciò a elencare tutte le ricette francesi che conosceva, mi voltai di nuovo verso il tavolo dei Serpeverde. L'inizio del Torneo mi aveva chiuso lo stomaco, l'ansia mi stava pizzicando le braccia e le guance. Tra poco avrei scoperto come si sarebbe conclusa quella storia ed era meglio trovare qualche distrazione, prima che tutto quel cibo e tutta la mia agitazione mi avessero fatto rimettere il pranzo.
Il ragazzo di prima stava mangiando in silenzio, mentre i suoi compagni divoravano rumorosamente tutto quello che avevano davanti agli occhi. Chissà perché rimaneva solo. Come se mi avesse letto nella mente, alzò lo sguardo dal piatto e lo spostò verso di me; con una mano alzata in segno di saluto, mi fece un mezzo sorriso.
Mi bloccai di colpo. Quel sorriso. Io conoscevo quel sorriso. Quello era...
"Steve Maximoff," bisbigliai sconvolta.
"Cosa?" mi chiese Kate.
Mi voltai di scatto verso il mio tavolo, incapace di formulare pensieri sensati. Non era possibile.
"Hai presente il ragazzo di Durmstrang che ti piace?" sussurrai; avevo l'impressione di aver visto un fantasma.
Kate annuì perplessa.
"Lo conosco, si chiama Steve. Non lo vedevo da tre anni, almeno."
"Steve? Non mi hai mai parlato di nessun Steve," disse, girandosi verso il tavolo dei Serpeverde.
In effetti non lo avevo mai fatto. Avevo conosciuto Steve a otto anni, quando avevo passato la mia prima estate a 'Il Boccino d'Oro', un campo estivo dove i ragazzi imparavano a giocare a Quidditch. I miei genitori erano stati così entusiasti di quel posto, che avevano deciso di mandarci lì ogni anno. Per me era bellissimo: potevo giocare a Quidditch dalla mattina alla sera e, essendo una delle più brave, ero entrata nella cerchia dei più famosi del campo. Mi ero sentita potente, non la solita schiappa che ero ad Hogwarts. Steve era più grande di me di due anni e senza volerlo, ogni anno eravamo finiti nella stessa squadra. Un po' come ad Hogwarts, il campo divideva i ragazzi in sette squadre che si sfidavano per tutta l'estate. Non avevo mai trovato nessuno che capisse perfettamente tutti gli schemi di gioco che mi prefissavo nella mente come faceva lui; gli era sempre bastato un solo cenno per intuire tutte le mie mosse. E la stessa cosa mi succedeva con lui. Durante quelle estati, eravamo stati come una coppia di supereroi, pronti a proteggerci le spalle e a sconfiggere tutti i nostri nemici. A Hogwarts non ne avevo mai parlato a nessuno; il campo era stato il mio rifugio segreto, dove avevo potuto essere me stessa senza alcun problema. Senza contare, che – come punizione a causa dei miei voti- a tredici anni mia mamma mi aveva obbligato a passare a casa le vacanze estive. Non potendo oppormi alla sua volontà, mi ero abbandonata alla sua scelta, dicendo addio a 'Il Boccino d'Oro' e decidendo di non pensarci mai più. Da quel momento, avevo perso completamente di vista Steve; in tre anni, l'unica cosa che avevo saputo sul suo conto era che fosse diventato un cacciatore della nazionale Russa.
"Dimmi qualcosa su di lui!" esclamò Kate dandomi una gomitata. La guardai di traverso per alcuni secondi, la mano appoggiata sul punto del braccio in cui mi aveva colpita.
Sospirai.
"Lo avrai visto di sicuro questa estate alla Coppa del Mondo di Quidditch, gioca per la Russia. Ha due anni in più di noi e suo padre è il Ministro della Magia russo."
Kate strabuzzò gli occhi e si voltò ancora una volta verso di lui.
"Merlino, ma è perfetto."
Alzai le spalle; non sapevo bene che cosa dire sul suo conto. Lo avevo conosciuto solo nell'ambito sportivo e – per quanto mi trovassi bene insieme a lui sul campo - non avevo idea di che persona fosse al di fuori del Quidditch.
"Se è russo, come mai si chiama Steve? Non è un nome inglese?" mi chiese Kate curiosa.
"Sua mamma è una babbana inglese," risposi.
Steve era tornato a guardarmi, un sorriso divertito sul volto. Imbarazzata, ricambiai il gesto e lo salutai con la mano.
Vedere Steve ad Hogwarts era ancora più strano che vedere Krum.
Distolsi lo sguardo da lui, non volevo che notasse il mio disagio. In quel momento, i due posti in più al tavolo dei professori vennero occupati da Ludo Bagman e da Barty Crouch. Gettai un'occhiata al tavolo dei Grifondoro: Fred e George fissavano Bagman impazienti, a stento riuscivano a rimanere seduti sulla panca.
"Che RAZZA DI COSA È QUESTA?" urlò all'improvviso Anthony indicando il dolce. Riprestando l'attenzione al mio tavolo, notai che una specie di budino pallido dall'aria malaticcia ci guardava in tutta la sue essenza gelatinosa e disgustosa.
Herbert, Cedric e Halinor scoppiarono a ridere.
"Anthony, non pensavo che il cibo fosse così importante per te," disse Cedric coprendosi la bocca con una mano per attutire le risate.
Quando tutti i piatti furono ripuliti, Silente si alzò di nuovo. L'agitazione di prima si impossessò di me; lo stomaco brontolava per la tensione. Il momento che stavo aspettando dall'inizio scolastico era arrivato.
Dietro di me, Fred e George erano tesi in avanti e stavano guardando Silente con grande concentrazione. Non mi ero accorta che si fossero spostati alle mie spalle.
Mi inclinai all'indietro per avvicinarmi a Fred.
"A cosa devo questa visita?" bisbigliai divertita.
Fred fece un ghigno, i suoi occhi marroni mi stavano guardando con la stessa concentrazione che aveva riservato a Silente.
"Volevo condividere con lei questo momento, mia professoressa di Astronomia preferita."
Gli diedi un buffetto sulla spalla, lasciandomi sfuggire una risata. L'ansia era completamente svanita nel nulla.
"Il momento è giunto," disse Silente, sorridendo al mare di visi rivolti verso di lui. Tornai a guardarlo, noncurante delle occhiate incerte che mi stavano rivolgendo i miei compagni, "il Torneo Tremaghi sta per cominciare. Vorrei dire qualche parola di presentazione prima di far entrare il forziere; giusto per chiarire la procedura che seguiremo quest'anno. Ma prima di tutto lasciate che vi presenti, per coloro che non li conoscono, il signor Bartemius Crouch, Direttore dell'Ufficio per la Cooperazione Magica Internazionale e il signor Ludo Bagman, Direttore dell'Ufficio per i Giochi e gli Sport Magici."
Al nome di Bagman, l'intero corpo studentesco – per celebrare il suo passato da battitore- si esibì in un applauso rumoroso. I fischi denigratori di Fred e George mi perforarono le orecchie.
"Il signor Bagman e il signor Crouch hanno lavorato instancabilmente negli ultimi mesi per mettere a punto il Torneo Tremaghi," proseguì Silente, "e si uniranno a me, al professor Karkaroff e a Madame Maxime nella giuria che valuterà gli sforzi dei campioni."
Il mio cuore fece una capriola. Silente si accorse di aver ridestato l'attenzione degli studenti, così continuò con un sorriso: "ora il forziere, prego. Mastro Gazza."
Gazza lasciò l'angolo della sala in cui era nascosto e si avvicinò a Silente; tra le sue braccia, un forziere tempestato di pietre preziose gli stava coprendo il volto.
Sentii il mio tavolo trattenere il respiro; tutti i ragazzi non riuscivano a staccare gli occhi dal forziere, impazienti di scoprire il suo contenuto.
"Che emozione!" disse Malcolm sporgendo la testa in avanti per farsi sentire da me e Kate.
"Le istruzioni per le prove che i campioni affronteranno quest'anno sono già state prese in esame dal signor Crouch e dal signor Bagman," disse Silente, mentre Gazza posava con cautela il baule sul tavolo davanti a lui, "ed essi hanno preso i provvedimenti necessari. Le sfide saranno tre, distribuite nell'arco dell'anno scolastico, e metteranno alla prova i campioni in molti modi diversi... la loro perizia magica, la loro audacia, i loro poteri deduttivi e, naturalmente, la loro capacità di affrontare il pericolo"
Un silenzio assoluto dominava l'intera stanza.
"Come sapete, tre campioni gareggiano nel Torneo, uno per ogni scuola. Essi otterranno un punteggio in base all'abilità dimostrata in ciascuna delle prove e il campione che avrà totalizzato il punteggio più alto dopo la terza prova vincerà la Coppa Tremaghi. I campioni verranno designati da un selezionatore imparziale... il Calice di Fuoco."
Con la bacchetta, Silente aprì il cofano del forziere. Infilò la mano al suo interno ed estrasse una coppa di legno intagliata. Corrugai la fronte: quella Coppa era ancora più decadente della nave di Durmstrang.
"Chiunque desideri proporsi come campione deve scrivere a chiare lettere il suo nome e quello della sua scuola su un foglietto di pergamena e metterlo nel Calice," continuò Silente, "gli aspiranti campioni hanno ventiquattr'ore per farsi avanti. Domani sera, la sera di Halloween, il Calice restituirà i nomi dei tre che avrà giudicato più meritevoli di rappresentare le loro scuole. Il Calice verrà esposto stasera nella Sala d'Ingresso, dove sarà liberamente raggiungibile per tutti coloro che desiderano gareggiare. Per garantire che nessuno studente di età inferiore a quanto richiesto cada in tentazione," proseguì ancora, "traccerò una Linea dell'Età attorno al Calice di Fuoco una volta che sarà stato posto all'Ingresso. Nessuno al di sotto dei diciassette anni potrà varcare questa linea."
A quelle parole, frenai a stento una risata. Una linea dell'età? Una pozione invecchiante era più che sufficiente per ingannarla. Non potevo credere che Silente avesse avuto un'idea così stupida.
"Indovina chi metterà il proprio nome nel Calice?" mi sussurrò Fred all'orecchio.
Senza farmi vedere, gli battei il cinque dal basso. Eravamo a cavallo.
Non mi ero mai sentita così vicina alla vittoria come in quel momento. Ero pronta, vogliosa di cominciare a gareggiare. Niente e nessuno mi avrebbe fermata, nemmeno un'inutile Linea dell'Età.
"Infine, vorrei ricordare a tutti coloro che desiderano partecipare che il Torneo non va affrontato con leggerezza. Una volta che un campione sarà stato scelto dal Calice di Fuoco, lui o lei sarà tenuto a partecipare al Torneo fino alla fine. Inserire il vostro nome nel Calice costituisce un contratto magico vincolante. Non è concesso di cambiare idea una volta diventati campioni. Vi prego dunque di essere molto sicuri di voler prendere parte alla gara, prima di mettere il vostro nome nel Calice. Ora, credo che sia il momento di andare a dormire. Buonanotte a voi tutti."
A fine discorso, la Sala scoppiò nel caos più totale: eccitati, i ragazzi si alzarono dai propri posti, formando un corteo diretto all'uscita della stanza.
"Ci vediamo domani mattina alle otto, Diggory," mi disse George dall'altra parte del tavolo dei Grifondoro. Mi misi una mano sulla fronte in segno di saluto e mi voltai per uscire.
"Cassidy, da quando in qua sei la migliore amica dei gemelli Weasley?" mi chiese Cedric. Si stava sforzando di sorridere, ma i suoi occhi facevano intuire un accenno di preoccupazione.
"Frequento Astronomia con Fred e credo di averlo conosciuto meglio," risposi sperando di risultare vaga. Non ero pronta a un interrogatorio, non ora che il Torneo era così vicino.
"Streghetta, non smetterai mai di stupirmi," il sorriso di Cedric era diventato sincero. Lo spinsi piano per allontanarlo.
"Vai a dormire che domani diventerai il Campione di Hogwarts!"
Lui si limitò a ridere, raggiunse Herbert e Anthony e si diresse verso le cucine.
Diedi un'ultima occhiata al Calice di Fuoco e feci un lungo respiro. Solo un giorno alla resa dei conti.
Aspettai che la ressa si dileguasse prima di uscire dalla Sala Grande. Come ogni sera, non vedevo l'ora di andare a dormire; il consiglio che avevo dato a Cedric valeva anche per me.
"Ma guarda chi si vede, la mia Battitrice preferita!"
In piedi davanti alla scalinata che conduceva al primo piano, Steve mi stava aspettando con le braccia conserte. Era rimasto come lo avevo visto l'ultima volta, a parte il fatto che si era alzato di venti centimetri, era diventato più muscoloso e i suoi capelli erano sistemati in un taglio improbabile. Il viso dolce era coperto da una corta barba scura, che –in qualche modo- faceva risaltare i suoi occhi azzurri. Sarebbe stato un bel ragazzo, se non avesse avuto quella pettinatura oscena. Come poteva essersi tinto di biondo platino lo strato superiore dei capelli? Sembrava fossero il risultato di un incantesimo andato a male, specialmente perché quelli inferiori erano ancora del suo castano naturale.
"Steve John Maximoff. Qual buon vento ti porta qui a Hogwarts?" gli chiesi con un sorriso.
Lui si passò una mano tra i capelli – per un secondo temetti che quelli biondi si sarebbero staccati- e poi mi abbracciò in una stretta soffocante. Colta alla sprovvista, ci impiegai un momento prima di ricambiare il gesto.
"Non pensavo che fossi ancora a scuola," dissi una volta libera dalla sua morsa.
"Sai, a Durmstrang si va a scuola fino ai diciannove anni. Non siamo così pigri come voi inglesi," rispose con una risata.
Mi era mancato il suo accento russo. Steve mi fece segno di andare verso il mio dormitorio; senza ribattere mi incamminai in direzione delle cucine.
"Che tortura," borbottai.
Divertito, scosse la testa.
"Sei sempre la solita, Cass."
"Intendi dire che continuo a odiare la scuola? Sì, è così."
Steve non smetteva di sorridere, così decisi di sfruttare il suo buon umore per porre fine ai dubbi che mi erano sorti durante la cena.
"Perché sei un lupo solitario? Insomma, anche io non sopporto la maggior parte dei miei compagni, ma almeno ci parlo."
Steve corrugò la fronte.
"Stalker."
"Hai sbagliato parola, volevi dire curiosa."
Lui sospirò, si grattò la barba con una mano e poi si decise a parlare.
"Diciamo che non sono visto di buon occhio dai miei compagni."
Mi guardò; i suoi occhi azzurri erano tristi, il volto spento da un amaro sorriso.
"Presumo sia a causa dei miei genitori: sono un Mezzosangue e a Durmstrang vengono accettati solo i Purosangue. Direi di essere un'eccezione, a volte ai figli dei politici viene fatto qualche favore. Peccato che non abbia chiesto io di frequentare Durmstrang, a me sarebbe piaciuto venire ad Hogwarts."
Rimase in silenzio per qualche secondo, il viso contratto in una smorfia concentrata. Quando eravamo piccoli faceva così ogni volta che doveva trovare le parole giuste da usare.
"Ma non è l'unica cosa a cui danno il merito a mio padre: quando sono diventato un giocatore professionista, hanno incominciato ad accusarmi di essere un raccomandato. E ora sono convinti che diventerò il campione di Durmstrang per lo stesso motivo."
Gonfiai le guance.
"E io che pensavo che Halinor e Kadma fossero delle arpie," commentai buttando fuori l'aria, "ma tu vuoi partecipare al Torneo?"
Steve scosse la testa, le mani affondate nelle tasche della divisa rossa.
"Assolutamente no, sono qua solo perché sono stato obbligato da Karkaroff. Secondo lui avere due 'celebrità' tra i possibili giocatori porti prestigio alla scuola."
"Vuoi dirmi che non ti interessa essere riconosciuto come il mago più potente di tutti e fargli vedere che si sbagliano sul tuo conto?" gli chiesi facendo un mezzo sorriso.
Non riuscivo a capire la sua indifferenza nei confronti del Torneo. Se fossi stato in lui, non mi sarei mai lasciata scappare un'occasione del genere.
"No," rise lui, "io sto bene dove sono. Il mio allenatore sa quanto valgo e lo so pure io. Se loro non lo vedono non è colpa mia, non ti pare? Dovrebbero solo provare a conoscermi meglio. Inizialmente ci stavo male, ma ho capito che non ha senso perdere tempo a rincorrere persone che non hanno intenzione di scoprire chi sei."
Pensosa, corrugai la fronte. Perché ero l'unica a dare così tanto peso alle opinioni degli altri? Guardai Steve. Nonostante fosse in quella posizione scomoda, sembrava felice. Beh, sinceramente anche io sarei stata felice se fossi stata una giocatrice professionista di Quidditch, ma non era questo il punto. Il punto era che non bisognava avere una schiera di ammiratori per essere felici, bastava solo avere fiducia in sé stessi. Steve ne era la prova vivente. Solo che io non riuscivo a credere nelle mie capacità; ero imprigionata in un circolo vizioso: se gli altri erano convinti che valevo qualcosa, allora mi convincevo pure io.
"Hai ragione," dissi in un sussurro.
Steve doveva essersi accorto del tono incerto della mia voce, perché rimase in silenzio fino a quando non ci trovammo davanti all'entrata del dormitorio.
"Che ne dici se domenica ci vediamo da qualche parte per raccontarci cosa ci è successo in questi tre anni?" chiesi.
Averlo ritrovato ero stato come avere un'illuminazione a fine partita; l'ultima tattica che avrebbe condotto a una vittoria certa. Non avevo intenzione di perderlo di nuovo; il suo discorso mi aveva fatto capire qualcosa.
Il suo sorriso tornò a illuminargli il viso.
"Ad una condizione," disse divertito; gli occhi azzurri mi stavano guardando furbi, "devi farmi conoscere la tua amica riccia."
Alzai gli occhi al cielo.
"Oh, Mr Loverboy, sei sempre lo stesso," sospirai.
"Come dite voi inglesi: il pelo perde il vizio ma non il lupo."
Steve scoppiò a ridere come se avesse detto la battuta più divertente del mondo; gli misi una mano sulla spalla tentando di trattenere le risate. Non volevo rivelargli che aveva sbagliato completamente il detto.
"Hai ragione di nuovo."
Steve si asciugò le lacrime e mi scompigliò i capelli in segno di saluto; un'abitudine che aveva preso durante le partite.
"Mi è piaciuto rivederti, Battitrice."
"Lo stesso vale per me, Loverboy."
Gli sorrisi un'ultima volta e sparii nel dormitorio.
Nella mia camera; Kate, Kadma e Halinor stavano già dormendo, le loro russa avvolgevano l'intera stanza. Mi cambiai in fretta e mi infilai sotto le coperte; la voglia di vivere il giorno dopo si era affievolita. L'irritante sensazione di star facendo la cosa sbagliata tornò a farmi visita.
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