Capitolo 9

Le giornate post sbornia dovrebbero rientrare tra i veri disagi della vita.

Esco dalla mia stanza trascinando i piedi, la testa mi scoppia e gli odori che sento provenire dalla cucina mi provocano la nausea. Ho un ricordo vago di come sono arrivata fin qui, dopo l'ultimo Cosmopolitan il mio cervello è andato in tilt.

«Colorito a parte direi che stai meglio.»

Moira mi guarda con aria di sufficienza, mentre mescola qualcosa che ha le sembianze di cacca liquida. Chiudo gli occhi per non avere l'immagine davanti.

«Ti prego, Moira. Smettila di sbattere quella cosa.»

Mi massaggio le tempie e raggiungo il bancone della cucina mugugnando.

«Questa cosa come la chiami tu, è la mia speciale torta al cioccolato. Risveglia anche i morti.»

«Non ha un bell'aspetto.»

«Nemmeno tu, se è per questo. E ora dimmi: cosa speravi di ottenere da una serata di alcol e pomiciate?»

Il suo tono è accusatorio e io mi sento in diritto di rivendicare il mio diritto al divertimento.

«Esattamente quello che hai detto. C'è forse qualcosa di male?»

Okay, forse ho fatto qualche cazzata, ma che bisogno c'è di farmi la predica? Non ho mica cinque anni. E poi è stata lei a convincermi a uscire e pure a indossare quel suo pezzo di stoffa.

«No, ma magari la prossima volta cerca di imparare meglio i nomi della persona con cui decidi di pomiciare.»

Sbianco di colpo dopo le sue ultime parole.

Che cavolo ho detto?

«In che senso?» balbetto, perché davvero non so cosa dire.

«Non ti ricordi, vero?»

Scuoto la testa. Domani pagherò ogni singolo goccio di alcol che ho ingoiato.

«Hai chiamato Alessio ogni singolo uomo incrociato nel locale» mi rimprovera Moira, decisamente troppo lucida per ignorare il mio ridicolo comportamento di ieri sera.

In effetti, vedermi ubriaca persa, deve essere stato uno spettacolo pessimo.

Tento di ricordare, ma le immagini che attraversano la mia testa sono parecchio confuse. Vedo Alessio in lontananza, dice di amarmi, ma la sua presenza viene prontamente scacciata da una figura misteriosa. Un ragazzo biondo molto carino.

«Non sforzarti troppo, Lisa. So benissimo che non ti ricordi il nome del tipo con cui hai pomiciato.»

«Puoi aiutarmi tu a ricordare?»

«Solo per questa volta. E solo perché ho capito che la sbronza che ti sei presa era per dimenticare. La tua è stata una reazione al dolore che provi, Pietro è stato molto comprensivo quando gliel'ho detto.»

Pietro! Ecco come si chiama.

«Suppongo tu abbia ragione, Moira. Mi dispiace per quel ragazzo. Il mio comportamento è stato inaccettabile. Qualunque cosa io abbia fatto.»

«Niente di che. Gli sei solo saltata addosso e ci è mancato poco che vi metteste a fare sesso sul divanetto del locale.»

Mi porto una mano alla bocca, sconvolta da me stessa.

Cosa mi ero messa in testa?

«O mio Dio, Moira. Scusami, mi vergogno da morire. Giuro che non era mia intenzione arrivare a tanto.»

«Lo so, ma non è a me che dovresti chiedere scusa. Tieni, qui c'è il suo numero. Chiamalo, invitalo fuori per un caffè e dimostragli che non sei la mangia uomini che ha conosciuto al locale.»

Mi porge un foglietto scritto a penna, poi si allontana facendomi un occhiolino complice. Devo dire che Moira si sta rivelando un'ottima amica, seppur bizzarra.

***

«Ciao, splendore.»

Pietro mi sorprende mentre sono immersa nei miei pensieri. Mi volto per guardarlo negli occhi e un sorriso spontaneo appare sul mio volto.

Da lucida e alla luce del giorno lo trovo bellissimo.

«Ciao, Pietro.»

Lo bacio sulla guancia e lui ne approfitta subito per cingermi la schiena. Stringe un po' troppo a dire il vero, ma il suo sguardo ha qualcosa di magnetico che mi inchioda sul posto.

«Finalmente ti sei ricordata il mio nome.»

Sorride e molla immediatamente la presa dal mio corpo. Sento uno strano formicolio percorrermi da capo a piedi.

«Ti chiedo scusa. Il mio comportamento di ieri sera è inqualificabile.»

«A dire il vero non era così male quando ti strusciavi su di me.»

Ammicca e io sento le guance in fiamme. Non ho mai e dico mai preso l'iniziativa con un uomo prima di ieri sera.

«Non avrei mai dovuto. Spero che potrai perdonare la mia irruenza ingiustificata.»

«Ma guarda che a me non ha dato alcun fastidio. E, credimi, che se fossimo stati da soli saremmo andati oltre. Quindi non c'è bisogno che ti scusi, ma se vuoi possiamo ripetere l'esperienza. Questa volta fino in fondo.»

La sua schiettezza mi prende alla sprovvista e senza quasi rendermene conto mi ritrovo a mordermi un labbro. C'è qualcosa nel suo modo di fare che mi attira.

Cerco di placare i miei bollori invitandolo a prendere un caffè, ma fatico a tenere la concentrazione. Pietro continua a fissarmi. Il suo sguardo percorre tutto il mio corpo e io sono costretta ad abbassare gli occhi sul menù, per evitare di guardarlo.

Mi sfiora il braccio per attirare la mia attenzione e sento uno spasmo partire dal punto in cui mi ha toccata e che arriva dritto in mezzo alle gambe. Non so cosa mi prende.

Sembra che io sia in astinenza forzata da sesso.

«Ordina pure quello che vuoi. Offro io, per farmi perdonare.»

«Ti ho già detto che non ce n'è bisogno, ma se proprio insisti che ne dici di offrirmi la tua compagnia stasera a cena?»

Sono molto tentata. Alessio non si è mai degnato di portarmi fuori a cena, né di invitarmi ad altro che non fosse una scappatella in ascensore. Gli sorrido, lui mi afferra la mano e se la porta sulle labbra. Vi deposita un bacio che poi si estende lungo il polso fino a sfiorarmi l'avambraccio. Una scossa mi percorre la spina dorsale mentre chiudo gli occhi per godermi il momento.

Mi accarezza il viso e torna a guardarmi come faceva ieri sera mentre ero a cavalcioni su di lui.

Mi perdo in quello sguardo fatto di fuoco pronto a bruciarmi e inizio a pensare di non voler essere da nessun'altra parte.


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