Capitolo 5

Le ultime parole di Alessio sono rimaste ben impresse nella mente e per tutta la notte non ho fatto altro che pensare a cosa volesse dirmi con quel "mi dispiace solo non poter essere io quel qualcuno... ".

Voler occuparsi di una persona significa amare quella persona. Lui, però, mi risulta ami se stesso, il proprio lavoro e sua moglie, colei che ha sposato e a cui ha giurato amore eterno. Io non dovrei rientrare fra i suoi affetti. Sono il suo giocattolino, quello da usare in caso di bisogno estremo, non quello da coccolare o baciare al chiaro di luna.

Il perché lui si stia comportando come se di me gli importasse qualcosa non giova al nostro rapporto lavorativo, né tantomeno a quello fisico e sessuale su cui ci siamo accordati.

Perché è di questo che si tratta: di un accordo non scritto tra le parti "firmato" da tacito accordo.

Quindi per quale motivo continuo a camminare a un metro da terra, sperando che dietro alle sue parole ci sia un fondo di verità? Una frase del genere non può certo averla detta per caso. E tutte le altre sfoderate la mattina nel suo ufficio: "mi sei mancata", "tu sei indispensabile qui" come gli sono uscite? Così non fa che confondermi.

Già devo prestare attenzione a non farmi prendere dall'istinto in sua presenza ed è sempre più difficile e complicato creare il giusto distacco, specialmente per due persone che si desiderano da morire, ma sono costrette a trattenersi per tutto il giorno, esplodendo in una passione indescrivibile non appena si trovano da soli.

Anche per questo faccio fatica a rinunciare a lui. Quando io e lui siamo insieme, uniti in quel rapporto carnale che per quell'attimo ci completa, le sensazioni che si susseguono mi portano nell'oblio. E il fatto di non poter condividere quello che provo mi provoca eccitazione e frustrazione allo stesso momento. È come se dentro di me sentissi che sto facendo la cosa giusta, nonostante lui sia sposato e quindi io stia contribuendo a rovinargli il matrimonio. Il senso di colpa che solitamente accompagna ogni mia scelta che reputo azzardata o sbagliata, questa volta fa fatica a emergere e, mi sento in colpa proprio per questo. È un controsenso, un po' come molte cose che mi riguardano.

Cammino a passo spedito per tutto il tragitto, scacciando dalla mente quella insulsa vocina che mi raccomanda di restare con i piedi ben piantati a terra. Quando Alessio ieri sera si è presentato a casa mia ha detto di dovermi parlare e io non riesco a pensare ad altro se non a quello che potrebbe dirmi. Provo una strana euforia all'idea che lui pronunci altre compromettenti parole che dimostrerebbero un interesse, che va oltre il sesso, nei miei confronti.

Varco il corridoio con un sorriso enorme dipinto sulla faccia, il vestito che indosso continua a svolazzare a ogni mio passo e sono sincera se dico che l'ho messo apposta per farmi notare, più del solito, da Alessio. L'ultima volta che lo avevo addosso è durato al massimo dieci minuti, il tempo di entrare nell'ascensore e fermare la corsa fingendo un guasto. Spero di ripetere l'esperienza oggi, anche se continuo a giurare di non voler che accada nulla all'interno dell'edificio in cui si trova la nostra azienda.

L'ascensore, il corridoio verso l'ingresso principale e l'archivio delle scope sono luoghi non assimilabili al suddetto.

Non vedo l'ora di rivedere quel sorriso e di stringere quelle labbra.

Arrivo alla mia postazione e inizio subito a digitare frettolosamente dati a computer. Ho ancora circa venti minuti prima che arrivi Martelli e devo assolutamente riuscire a mettere mano alla mia ricerca per potergliela piazzare davanti al naso e fargli vedere di che pasta sono fatta. Non sono certo le sue male parole a fermarmi.

Sorrido a Marta, intenta come me a finire di aggiornare i profili social dell'azienda. Le racconto della serata passata assieme ai miei genitori e alla paranoia di Moira nel non vedermi rientrare alla solita ora, imitando la sua buffa espressione quando ha capito che io stavo bene e lei si era preoccupata per nulla.

Marta e Moira non si sono mai viste di persona, ma sospetto che se la mia coinquilina si trovasse davanti la mia collega, le verrebbe una crisi isterica al solo vedere i suoi capelli tinti di viola, quindi, ho sempre evitato un possibile incontro per non creare strani allineamenti planetari.

«Guarda qui.»

Marta indica lo schermo del suo computer dove spicca una foto di Alessio in compagnia della moglie mentre entrano sottobraccio in un negozio di articoli per l'infanzia.

«Pensa se lei fosse incinta. Magari è la volta buona che lui si dà una calmata per il bene di tutti» aggiunge, come se niente fosse.

Certo, perché lei, esattamente come tutti gli altri, non sa che sentire parlare del matrimonio perfetto di Alessio mi ferisce.

«O magari sono lì per altri motivi. E comunque a te che importa?»

Cerco di mantenere un tono distaccato e indifferente, ma la realtà è che vedere quella foto fa male da morire.

«Devo inserire delle foto recenti sui social dell'azienda e Mazzini, essendo il vicepresidente, ha una certa importanza. Caricando questa si dimostra quanto lui tenga alla famiglia. Famiglia uguale azienda e questo vuol dire maggiore fiducia da parte degli altri.»

Marta ci sa davvero fare, ma resto dell'idea che la foto non renda giustizia al concetto di famiglia dato che lui ha un'amante nascosta sotto la scrivania. Il fatto poi che quell'amante sia io è un altro discorso che non mi pare il caso di tirare in ballo proprio adesso.

***

L'ufficio, per qualche strano motivo, è tranquillo. Sono le 10.00 e io, incredibilmente, sono riuscita a portare a termine la mia ricerca, a bere un caffè senza interruzioni e pure a scambiare due chiacchiere con gli altri colleghi che sono in questa stanza. Ho ritirato tutti i test debitamente compilati e li ho appoggiati, assieme alla mia ricerca, sulla scrivania del capo in attesa di un suo cenno. Non è ancora arrivato il che è un po' insolito, ma deduco sia impegnato anche lui fuori ufficio come tutti i soci.

Appena sento sbattere la porta principale un brivido di terrore mi percorre tutto il corpo, il tonfo è molto più forte di tutte le altre volte e il tintinnio di viti che ne esce è indice che qualcosa si è rotto.

Ecco, appunto, ha rotto la porta.

Guardo deglutendo in direzione di Martelli che, a ogni passo che fa, tira un pugno al muro e trasalisco mentre quello stesso pugno colpisce la mia scrivania mandando in frantumi il mio portapenne. Era un regalo!

«Ehi!» urlo contrariata in sua direzione. I suoi modi iniziano a stancarmi davvero.

«Portami un caffè poi, già che ci sei, togliti dai piedi. La tua presenza mi irrita parecchio.»

Lo guardo scioccata mentre mi allontano per fare il caffè. Quest'uomo ha dei seri problemi mentali, ma io non posso sempre essere il suo capro espiatorio. Per quanto possa cercare di ignorare ciò che esce dalla sua bocca, non posso tollerare la violenza con cui ha rotto il mio portapenne.

Non appena entro nella stanza cerco di sembrare il più naturale possibile, se capisce che sono provata per me è la fine, approfitterebbe della cosa per massacrarmi ancora di più dato che pare provarci gusto.

«Ecco qui il suo caffè e un antidolorifico.»

«E che ci dovrei fare?»

«Per la sua mano. Non creda che non me ne sia accorta. Qui c'è anche del ghiaccio.»

Appoggio il vassoio sulla sua scrivania e mi incammino verso la porta. Voglio uscire di qui il prima possibile.

«Non mi serve niente a parte il caffè.»

«Come vuole, allora me ne vado a casa come ha suggerito lei, non se la prenda però se non mi trova alla mia postazione.»

«Stai scherzando?»

«No. Faccio esattamente quello che vuole e dice lei da quattro anni, ma mi pare evidente che lei non se ne sia accorto e, dato che la mia presenza la irrita parecchio, tolgo il disturbo. Ah, e mi deve un portapenne.»

Giro i tacchi sicura, mi chiudo la porta alle spalle e mi allontano in fretta dalla zona di pericolo cioè il suo ufficio e tutto ciò che c'è di lì a un metro. Marcio spedita verso la mia postazione e prendo la borsa e il cappotto sotto lo sguardo sconcertato di Marta.

«Dove stai andando?»

«Sparisco come mi è stato ordinato. Passa una buona giornata.»

«Lisa aspetta» urla, ma io sono già fuori.

Diamine Martelli mi ammazzerà per questo.

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