Capitolo 37


Il congresso è stato quanto di più noioso possa esistere sulla faccia della terra. L'unico spunto positivo e interessante è stato Alessio.

Passare questi ultimi giorni con lui, comportarci come fanno tutte le coppie innamorate è stato magico. Mi ha dato una bellissima sensazione di libertà, una scossa di adrenalina immensa. Il modo in cui mi ha tenuta stretta, il suo ripetermi quanto mi ama, quel suo farmi sentire importante.

Esco dalla doccia con un unico pensiero: Alessio. È passata solamente mezz'ora da quando se n'è andato eppure, mi sembra un'eternità. Siamo d'accordo che verrà a riprendermi più tardi per andare in ufficio, esattamente come me aveva bisogno di un cambio di abiti e di uno stralcio di realtà. Abbiamo vissuto il nostro sogno, adesso è ora di risvegliarci e riprendere il controllo.

Mi preparo con cura maniacale, come se dovessi andare a cena anziché ad affrontare un'intera giornata con Martelli.

Quando sento bussare non mi preoccupo di chiedere chi è, afferro la borsa appesa dietro la porta e abbasso la maniglia con forza, tanta è la fretta di rivederlo.

Mi blocco, ma ormai è troppo tardi

«Ciao, Lisa.»

Indietreggio. Segno la mia condanna.

«Pietro, cosa ci fai qui?»

La voce esce strozzata, trema come tutto il resto del mio corpo. Una spinta basta a farmi cadere a terra. A gattoni tento di raggiungere qualunque superficie a cui appigliarmi per tornare in piedi, ma non faccio in tempo. Lui è più veloce. Mi strattona e mi fa avvicinare al suo corpo, fino a aderirci e a perdermici dentro lo strato di muscoli.

Puzza di alcol e voglia di vendetta.

«Ora non puoi più scappare, Lisa.»

«Pietro, lasciami. Vattene per favore» arranco.

«Non prima di finire quello che avevo iniziato. Tu mi hai lasciato e poi mi hai denunciato. E io sono qui per fartela pagare.»

Ha gli occhi assetati di sangue, continua a stringermi, impedendo ogni mio movimento.

Cerco di divincolarmi, ma lui anticipa ogni mia mossa bloccando ogni mia possibile via di fuga. Tenta di baciarmi, ma io mi scanso di lato e lui si infuria ancora di più. Mi colpisce con forza. Uno schiaffo che scalfisce. Anima e corpo.

«Non funziona così, Lisa. Comando io. Guardami, ti sto parlando.»

Mi afferra il viso con forza e lo solleva fino a farlo aderire al suo. Le lacrime mi impediscono di vedere nitidamente il furore nei suoi occhi, ma nella forza con cui mi ha colpita c'era tutta la sua rabbia nei miei confronti.

Mi bacia con impeto. Ira. Violenza. Terrore. Il mio.

Il suo alito ha il sapore della punizione che mi vuole infliggere.

Non riesco a muovermi. A respirare. A vivere.

«Non ti sei mai vestita così per me. Sei una puttana, Lisa. E ora mi darai quello che mi spetta.»

«Pietro, lasciami.»

La voce esce troppo bassa per poter essere udita. Non riesco a urlare. Non riesco a fare nulla.

«Ora facciamo un gioco. La puttanella Lisa mi farà godere tanto» biascica a un centimetro dalla mia bocca.

Mi blocca con forza contro la parete, una mano stringe i polsi sopra la mia testa, l'altra si insinua tra le gambe, immobilizzate dalle sue. La voce bloccata nella gola.

Lacrime. Dolore. Odore di sconfitta.

Il rumore della zip che si abbassa mi penetra il cervello. Non riesco a provare niente. Pietro spinge con forza, mi disarma, mi uccide un po' a ogni colpo.

Ripercorro nella mente i momenti passati insieme. Quell'amore che credevo mi avrebbe salvata, lo stesso che mi ha portata a cedere alla sua violenza. Piango. Gocce di disperazione dagli occhi. Brividi. Battiti impazziti.

Tento di muovermi, di togliermi dalla sua stretta, di non dargliela completamente vinta.

Un grido che non riesce a uscire. Mi tappa la bocca, nei suoi occhi la furia. Nel mio, un barlume di dignità. Afferro quel palmo che mi tiene stretta tra i denti, mancando l'obiettivo.

«Che cazzo pensavi fare?»

Con uno strattone finisco a terra, un pugno in pieno viso mi fa sanguinare, poi un altro e un altro ancora. Un calcio alla bocca dello stomaco mi toglie il respiro. 

Arranco. Non riesco più a sentire niente.

Solo silenzio attorno a me.

Respiro. Sono viva. Letteralmente a pezzi, ma viva. Il cuore batte ancora. Rimbalza in quel petto ormai in via di distruzione. 

«Sono qui»

La mia è una richiesta d'aiuto silenziosa. Un grido interiore che non riesce a uscire, la mia bocca non produce alcun suono.  Vorrei sfiorarmi il viso, lo sento pulsare e tumefarsi sotto il peso del dolore. Un sapore metallico si insinua tra le labbra.

«Lisa...oh mio Dio...Lisa...»

Le palpebre si chiudono piano. In lontananza,  l'eco di una voce che chiama il mio nome...

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