Capitolo 23
Dall'incontro con Martelli ho rimediato un gran bel mal di testa. Mi ha davvero sfinita a furia di parlare. Non pensavo si sarebbe lasciato andare così tanto, ma in un pomeriggio mi ha praticamente raccontato tutta la sua vita. Di come ha conosciuto la moglie quando erano entrambi al liceo, di come ha fondato dal nulla l'azienda e l'ha portata avanti per tutti questi anni e di come ha puntato tutto quanto sul suo unico figlio che ora, all'età di sedici anni, ha iniziato a mostrare un certo disinteresse verso i genitori e l'autorità in generale.
Certo se il padre gli propina sermoni come ha fatto con me poco fa, le canne me le farei pure io.
Mi siedo sul divano e appoggio la testa all'indietro, come se questo bastasse a farla smettere di pulsare. Chiudo gli occhi per un solo istante. I suoni sono ovattati, le guance bruciano.
Moira tenta di dire qualcosa, ma la sua voce è solo un eco lontano.
«Lisa, mi senti?»
Apro appena un occhio e la figura prestante di Pietro mi illumina la visuale.
«Ciao.»
La voce, che dovrebbe celare una certa sensualità, mi esce impastata e per nulla sexy. Pietro trattiene una risata e io mi accorgo di bruciare ancora di più.
«Bel tentativo di seduzione, ma mal riuscito. Temo ti sia risalita la febbre.»
Mi passa una mano sulla fronte, poi la sposta sulla guancia, fino ad abbandonare il tocco. Sento il divano muoversi sotto il suo peso, alzo leggermente le testa per cercarlo nella stanza. Gli occhi bruciano da morire e sono costretta a serrare le palpebre di nuovo.
«Vieni qui» sussurra Pietro che si è riavvicinato a me e io non me lo faccio ripetere due volte.
Mi raggomitolo contro il suo petto, mi faccio stringere in un abbraccio che non ho intenzione di sciogliere. Sto troppo bene qui fra le sue braccia. Mi riempie di carezze e di baci fugaci. Mi sento in paradiso.
«Sto molto meglio ora» pronuncio, con il viso affondato nel suo maglione caldo.
Il profumo che emana mi dà una piacevole sensazione di beatitudine.
«Il mio nuovo ammorbidente fa faville, ultimamente.»
«È molto buono e bello e morbido e sexy.»
Sto delirando.
«Il fatto che tu trovi sexy un ammorbidente o un maglione potrebbe offendermi.»
«Parlavo di te, ma devo ammettere che te la giochi alla pari con il tuo Coccolino ambulante.»
Lo sento irrigidirsi per un istante. Come se le mie parole lo avessero colpito in negativo.
Alzo leggermente il viso per guardarlo. La mascella è contratta e il calore utilizzato poco fa per abbracciarmi, sembra svanito nel nulla.
Vorrei tentare di dire qualcosa, ma temo una sua reazione, così mi limito al silenzio. Punto lo sguardo verso la cucina. Moira mi sta osservando, mima qualcosa con le labbra, ma sono troppo poco lucida per riuscire a capire ciò che vuole dirmi.
Quando il campanello suona a spezzare la tensione calata nella stanza, quasi tiro un sospiro di sollievo.
«Vado io. Spero solo non sia di nuovo quel pazzo del tuo capo. Mi ha traumatizzata a sufficienza» chiosa Moira mentre compie quei cinque passi che la separano dall'ingresso.
«Martelli è stato qui?»
Pietro sembra essersi ripreso. I suoi occhi hanno assunto di nuovo quell'espressione magnetica e dolce e io mi rilasso quel che basta. A volte fatico a capirlo. Con i suoi alti e bassi, con il suo fare supponente che attrae come un magnete e che contrasta con quella parte comprensiva che ha mostrato prima prendendosi cura di me. C'è ancora una parte però che ancora non sono riuscita a inquadrare. Una sensazione che mi passa sottopelle e mi spaventa. Mi fido di lui, ma contemporaneamente non mi sento a mio agio.
«È venuto qui, ma non per questioni lavorative. Ha un problema personale e ha chiesto consiglio a me.»
Scrollo le spalle con fare di sufficienza. Un modo come un altro per cambiare discorso. Eppure, Pietro insiste nel voler chiedere delucidazioni in merito. Come se fosse di vitale importanza conoscere i fatti di Martelli. dico scrollando le spalle sperando che la mia risposta lo faccia desistere da chiedermi delucidazioni in merito.
«Fammi capire, ti insulta un giorno sì e l'altro pure, fa lo stronzo affossandoti senza pietà e viene proprio da te per chiedere un consiglio di vita? Sinceramente non capisco. Posso sapere che tipo di problema ha?»
«Be' non so se posso dirtelo. Si tratta di Martelli e non di me.»
«Io credo invece che tu debba dirmelo. Se lui viene qui ho diritto di sapere il perché.»
Possessività. Ecco cos'è che non mi fa stare del tutto tranquilla.
«Ha un problema con il figlio adolescente, di più davvero non mi sembra il caso di dirti.»
«E tu cosa ne puoi sapere di adolescenti? Sei laureata in statistica, mica in pedagogia o psicologia.»
«No, ma ho un fratello di sedici anni, stessa età del figlio di Martelli. Ho soddisfatto la tua curiosità?»
«Non ancora. Come fa Martelli a sapere che tu hai un fratello? In ufficio non ne parli mai. Nemmeno io che, si suppone, sono il tuo uomo ne ero a conoscenza.»
Il mio uomo? Non ne abbiamo ancora mai parlato. Non abbiamo mai dato ufficialità alla nostra relazione, se così si può chiamare.
«Pietro, io e te ci conosciamo da poco, anche se tra di noi c'è stato qualcosa quella sera a casa tua, ma non abbiamo mai parlato delle nostre famiglie né di altro al di fuori delle questioni di lavoro. Se le cose tra di noi dovessero iniziare a diventare più serie, ti esporrò il mio intero albero genealogico.»
La mia risposta sembra non averlo affatto convinto. Si è irrigidito, di nuovo. Sembra che non sia capace di accettare risposte diverse da quelle che è convinto di ricevere. Come se gli fosse sempre tutto dovuto.
«Mi spieghi perché per te è così importante questa cosa?»
«Perché mi nascondi le cose. E io detesto quando non mi vengono dette.»
«Pietro, io non ti nascondo niente. Io e te non ne abbiamo mai parlato, punto. E poi, lavoro alla Farber da quattro anni, è normale che Martelli o Al...Mazzini ne sappiano di più visto che mi hanno assunta.»
«Stavi per dire Alessio. Non credere che mi sia sfuggito. Voglio sapere perché tu e Mazzini siete così in confidenza.»
La sua accusa mi coglie impreparata. Non posso rispondere nella maniera più ovvia, anche perché ormai quello tra me e Alessio è un capitolo chiuso. E io per prima devo cercare di mettermelo in testa.
Senza pensare oltre alle conseguenze, gli prendo il viso tra le mani e lo bacio come credo di non avere mai fatto prima d'ora. Con passione, voracità e voglia di ricominciare tutto.
«Che significa questo?» mormora sulle mie labbra.
«Significa che voglio stare con te. Lasciamo fuori tutti gli altri dalla nostra storia.»
Poi, come nel peggiore degli incubi, la voce di Alessio arriva a interrompere il nostro momento. Mi volto per guardare in sua direzione. Lo sguardo perso, in cerca del mio. Quando lo trova però, riflette quello di un altro uomo. Lo stesso che siede accanto a me e che ho appena baciato con tutta me stessa.
«L'ho trovato qui fuori. Stavo uscendo e me lo sono ritrovata davanti. Dice che ti deve parlare.»
Moira alza le braccia in segno di resa, come se lei si sentisse in dovere di ascoltarlo. Sono passate dodici ore d quando si è richiuso quella porta alle spalle. Non può tornare qui e pretendere che tutto torni come prima.
Per un momento restiamo tutti in assoluto silenzio. Alessio continua a spostare lo sguardo da me a Pietro, ma non ha il coraggio di dire una parola. Riesco perfino a leggere una punta di delusione sul suo viso.
«Capo, che succede?»
Il tono di Pietro è tutt'altro che amichevole. Anche lo sguardo che gli lancia non nasconde una certa ostilità.
«Succede che devo parlare con Lisa, pensi sia possibile?»
«Be', dipende dall'argomento. Se fosse inerente al lavoro potrebbe interessare anche me, non credi?»
«No, io non credo. Lisa?»
Sono paralizzata. Continuo a guardare entrambi che, di fronte a me, si sfidano a chi fa la voce più grossa. Come diavolo ho fatto a mettermi in questa situazione?
«Alessio, esattamente cosa vuoi?» chiedo infine con voce strozzata. Non riesco neppure a guardarlo negli occhi.
Non posso credere che lui sia ancora qui. Non dopo che mi ha chiaramente detto che non è disposto a lottare per me.
E io non posso aspettarlo per sempre, non me lo merito.
«Volevo solo sapere come stai.»
«Sta bene grazie a me. Ora se vuoi farci il piacere di andartene...»
Pietro indica la porta poi si premura di mettermi un braccio introno alla vita. Un gesto istintivo quanto rabbioso. Mi sta trattenendo con più forza del necessario e io non riesco a nascondere una leggera smorfia di dolore. Non riesco a gestire queste sue manifestazioni di possesso. Mi fanno paura; eppure, non riesco a dirgli di lasciarmi.
Alessio non pare abbia intenzione di muoversi di mezzo millimetro. Continua a restare di fronte a noi e a guardare Pietro con odio. I suoi occhi sono due fessure e non riesco a capire se dietro ci sia più dolore o rabbia.
Sposta lo sguardo verso quella mano che mi sta stringendo il fianco. Poi torna a guardare me, poi Pietro, poi di nuovo me, noi due insieme.
Se in quello sguardo preoccupato c'è la paura di perdermi, ormai è tardi.
«Senti Alessio, perché non te ne vai? Lisa ha davvero bisogno di riposo.»
Il tono di Pietro sembra più pacato rispetto a poco fa.
«E allora dovresti andartene anche tu per lasciarla riposare, non credi?»
«No, io non credo.»
Appoggio la mano su quella di Pietro, la stessa che sta stringendo il mio fianco e che non sembra voglia mollare tanto facilmente. Incrocio le dita sopra le sue tentando, in questo modo, di tranquillizzarlo e di fargli mollare un po' la presa. Inizia a farmi male per davvero.
«Se Lisa mi garantisce di stare davvero bene, me ne vado.»
Alessio mi fissa. Ancora e ancora. In maniera sempre più intensa.
«Garantisco io per lei, Mazzini. E credimi se ti dico che, con me, è in buone mani.»
«Lo vedo...»
Di nuovo quello sguardo sul mio fianco dove le mani mie e di Pietro sono intrecciate. Possibile che si sia accorto delle mie smorfie o del fatto che Pietro stesse stringendo troppo? Non può essere. Non può certo sentire il dolore al posto mio.
«Ragazzi, mi state facendo venire il mal di testa. Facciamo che adesso ve ne andate tutti e due così io posso riposarmi e recuperare le forze?»
Il mio tono è secco e non ammette repliche. Entrambi mi fissano increduli, come se non si aspettassero una reazione tanto dura da parte mia. Cosa speravano, che avrei chiesto a tutti e due di rimanere? Mai come in questo momento voglio restare da sola.
Pietro molla la presa e solo ora mi rendo conto di tornare a respirare.
Ho bisogno di pensare.
«Sei proprio sicura non ti servano le mie amorevoli cure?»
Pietro mi lancia un occhiolino, poi addolcisce lo sguardo mentre si avvicina per baciarmi la fronte. Quando si comporta così mi fa impazzire. Perché è dolce e premuroso. Completamente diverso dalla persona possessiva di pochi minuti fa.
Ho gli occhi di tutti puntati addosso. In questo momento tutti mi stanno guardando. Pietro, Alessio e perfino Moira che sembra essersi fermata apposta per vedere come esco da questa situazione. Ricordo molto bene il suo discorso sulla scelta giusta da fare, anche se ha paragonato la mia doppia relazione a un paio di scarpe.
«Sono davvero stanca. Ho la testa che mi scoppia e voi non fate altro che urlare.»
Mi accarezzo le tempie sperando di riuscire a far sparire un po' il dolore.
«Hai ragione. Scusaci. Meglio se ti lasciamo tranquilla, tanto ci resta Moira con te, giusto?»
Annuisco in direzione di Pietro poi, d'istinto, affondo la testa contro il suo petto e aspetto che richiuda le braccia intorno al mio corpo. Un brivido mi percorre non appena sfiora il fianco, sul punto esatto dove mi aveva stretta. Lo ignoro. Così come fingo di non provare alcun dolore mescolato a quella strana sensazione di costrizione al petto.
Resto ancorata alla persona con cui ho, lucidamente o meno, scelto di stare mentre pronuncio quella frase che lascia dietro di sé una voragine.
«Grazie per essere passato, Alessio, ma come puoi ben vedere, sono in buone mani.»
Dentro di me qualcosa si spezza, ma non ho intenzione di tornare indietro sui miei passi. Lo guardo uscire consapevole che quello che sto provando non è un semplice dispiacere. È una sofferenza profonda, che mi perfora le viscere.
Ho fatto la mia scelta.
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