Capitolo 11
Adoro le sere in cui sono sola in casa. Posso decidere liberamente cosa e quanto mangiare e ho accesso esclusivo alla tv. Il campanello mi interrompe mentre sto per addentare il mio sandwich farcito e mi ritrovo a sbuffare. Guardo l'orologio che segna le 20.30, non aspetto nessuno e il fatto di essere stata interrotta sul più bello, mi urta il sistema nervoso.
Vado ad aprire controvoglia, ma la mia espressione cambia radicalmente non appena mi ritrovo davanti Alessio. Trema ed è molto pallido.
«Che ci fai qui? Dovresti essere a casa, stare a riposo.»
«Non posso.»
Il suo è un sussurro appena percettibile. Gli metto una mano sulla fronte che brucia sotto il mio tocco. Credo abbia la febbre molto alta, oltre al viso ricoperto di spaventose pustole. Fa un passo in avanti, barcolla e io lo afferro al volo nonostante sia parecchio più pesante di me. Devo riuscire a farlo stendere prima che la situazione peggiori. Di solito adoro la sensazione provocata dall'averlo fra le braccia ma, date le circostanze e le sue attuali condizioni, ora non è poi così piacevole.
Lo adagio piano sul divano, cerco di non slogarmi un braccio nel tentativo di toglierlo da sotto il suo corpo, poi mi allontano per prendere degli stracci bagnati. Devo far abbassare la temperatura in ogni modo. Glielo passo sulla fronte, sul viso, dietro al collo. Tocchi bagnati e delicati come se mi stessi prendendo cura di un bambino. Smetto solamente per andare a prendere l'antipiretico in bagno.
«Ehi, svegliati.»
Sussurro e continuo ad accarezzarlo con lo straccio umido, si è appisolato e io ne vorrei approfittare per guardarlo dormire come farei se vivessimo insieme. Come se stessimo insieme per davvero.
Cerco di svegliarlo per fargli prendere la medicina e allontanarlo da me, perché più resta qui, più mi viene difficile dare un taglio a quello che siamo stati.
«Alessio, forza. Devi prendere la pastiglia e andare a casa.»
Nel momento stesso in cui pronuncio quelle parole, lui spalanca gli occhi e li fissa dentro ai miei. Scuote la testa, afferra la mia mano e la stringe forte, quasi volesse tenermi con sé per sempre.
«Ti amo.»
Come? Ha appena detto che...
Mi blocco di fronte a quelle due parole.
Sta certamente delirando. Non appena la pastiglia farà effetto la febbre scenderà e lui avrà già dimenticato quello che ha appena detto. Non posso dar credito a quanto sentito, non finché è in questo stato.
«Va bene, ora prendi la pastiglia e poi dormi un po' okay? Torno a controllarti più tardi. Magari avviso anche tua moglie che sei qui.»
Faccio per andarmene, ma lui mi blocca costringendomi a rimanere lì, accanto a lui.
«Non ti azzardare a muoverti di qui. Ho bisogno di te. Non voglio avvisare Laura. Non voglio tornare a casa.»
Mi perdo nel suo sguardo e cedo.
«Resto qui, ma solo finché la pastiglia non avrà fatto effetto, intesi?»
Mi accoccolo accanto a lui e il tempo sembra fermarsi in questo istante.
***
Mi risveglio all'improvviso e mi rendo conto di essere ancora attaccata al petto di Alessio dove ho dormito tutta la notte. Ho cercato fino all'ultimo di fare calmare i suoi battiti. Parevano impazziti, non so se per effetto della febbre o perché io ero accanto a lui.
Mi alzo piano, cerco fare meno rumore possibile e faccio movimenti lenti e delicati per evitare di sfiorarlo e quindi svegliarlo. Ho la gola talmente secca che credo non mi basti l'intera bottiglia d'acqua che ho riempito per la notte, mi muovo verso la cucina per prenderne dell'altra da bere ma non faccio in tempo ad aprire il rubinetto. Due braccia forti mi cingono da dietro con delicatezza, passione, calore. Molto calore.
Chiudo gli occhi e rilascio un sospiro. Amo la sensazione delle sue braccia intorno a me ma, in questo momento, il suo comportamento delirante mi destabilizza e io ho davvero paura di perdere il controllo.
Mi stacco in maniera brusca. Devo allontanarlo da me.
«Torna a dormire. Ti cedo il mio letto, ma ti prego, vai.»
Lo osservo mentre si allontana, lo sguardo fisso a terra, sconsolato.
Moira entra in cucina, parlantina sciolta e gesti incorporati da ansia perenne. Le faccio segno di fare silenzio e indico la mia stanza con un cenno della testa.
«Che c'è?»
Mi fulmina con lo sguardo e incrocia le braccia al petto come una bambina capricciosa.
«Un mio collega sta male, si è presentato qui ieri sera mentre tu eri fuori. Ha la febbre alta e non me la sono sentita di lasciarlo andare via.»
«Okay, ma non credi sia meglio chiamare un medico?»
«È la stessa cosa che gli ho consigliato io. Comunque, sono abbastanza sicura che abbia la varicella, ricordo che entrambi i miei fratelli erano come lui quando l'hanno presa.»
«Varicella? O mio Dio è terribile!»
«Sì, okay, ma non è così grave. Credo.»
«Parla per te» Alessio si materializza di fronte a noi «la testa mi scoppia e prude tutto. Come si fa a resistere a una cosa del genere?»
«Sono certa che sopravvivrai. A patto che tu ti rivolga al medico.»
Alzo gli occhi al cielo in segno di rassegnazione. Sembra davvero di avere a che fare con un bambino.
«A meno che non sia uno di quei soggetti a rischio per cui anche una banalissima malattia come la varicella può portare alla morte» esordisce Moira, dall'alto della sua ipocondria. Poi si allontana lasciando entrambi a fissarla.
Non posso credere che abbia detto una cosa del genere. Alessio è sconvolto e credo resterà traumatizzato da Moira per il resto dei suoi giorni.
«Può davvero succedere quello che ha detto?» chiede spaventato e io scoppio a ridere.
Non sono riuscita a trattenermi.
«Potrebbe se continui a non stare a riposo.»
«Sono proprio più tranquillo ora...»
«Alessio, supererai anche questa.»
Scoppio a ridere, ma mi blocco nell'istante in cui lo scopro a guardarmi.
Perché diavolo non la smette di fissarmi?
«Io devo andare ora. Voglio evitare di farmi odiare ancora di più da chi sai tu.»
«E mi lasci qui da solo?»
O mio Dio con lui è molto peggio dell'avere a che fare con un bambino.
«Te la caverai.»
«E cosa dovrei fare tutto il tempo a parte grattarmi dappertutto?»
«Grattarti è proprio l'ultima cosa che devi fare» rispondo severa «fatti un bel bagno, i fiocchi d'avena li trovi in dispensa.»
Lui mi guarda perplesso per qualche secondo prima di sedersi sul tavolo in cucina e addentare un biscotto.
«Fiocchi d'avena?».
«Certo, fanno passare il prurito.»
«Ah...quindi io dovrei immergermi nel porridge?»
Scoppio a ridere per questa sua uscita, la malattia gli sta facendo bene dato che sembra avergli calmato i bollenti spiriti. Vorrei restasse così per sempre.
«Ti chiamerò Uomo - porridge allora. Ci vediamo più tardi.»
Mi allontano in fretta dal suo profumo e afferro le chiavi evitando il contatto visivo con lui.
«Non me lo dai un bacio?»
Sospiro. Mi avvicino e mi fermo esattamente di fronte a lui. Lo guardo dritto negli occhi certa che quello che sto per dirgli lo faccia ragionare. Anche se è difficile.
«Alessio, non ci sarà più nessun bacio fra di noi. Non appena la febbre ti sarà passata tu tornerai a casa tua, da tua moglie e dal tuo futuro figlio.»
«Non posso tornare a casa finché ogni singola pustola non sarà sparita. Lei è stata categorica.»
«Beh, non puoi stare qui. Prima che spariscano tutte le pustole ci vorranno almeno quindici giorni.»
«E dove dovrei andare? In albergo come suggerito da lei?»
C'è una punta di rabbia mentre pronuncia l'ultima frase, non credo abbia preso bene la reazione della moglie al suo stare male, ma non credo di volerne sapere di più in merito.
Lui inizia a fissarmi e il suo sguardo è così intenso che per l'ennesima volta crollo.
«D'accordo. Puoi restare qui, ma non appena i puntini saranno spariti devi andartene.»
Lui annuisce prendendomi il viso fra le mani e dandomi un bacio al quale non riesco a dire di no.
So già che averlo qui mi farà male, ma non credo di riuscire a evitarlo.
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