Premessa: Sul perché non portare la cravatta


          Di poche cose Bruno è certo nella vita; ma, di quelle poche, è certo fermamente.

In primo luogo: che è sempre bene evitare la cravatta, di qualsivoglia occasione si tratti e in qualsivoglia luogo ci si trovi. Non è tanto un vezzo di stile – o meglio, lo è altresì, al pari del portare i ricci un poco più lunghi di quanto sia decoroso – quanto un ribadire il fatto che, quando tutti prendono a portar la cravatta dalla notte al dì, l'uomo che non la porta inizia ad attirarsi gli occhi addosso, a far storcere il naso, a smuovere qualche sopracciglio verso l'alto; a dar fastidio, insomma.

A Bruno dare un poco di fastidio non dispiace affatto, così s'è sempre premurato di non ammischiarsi alla schiera di cravatte e tre pezzi e tube-ciminiere che ha invaso le strade, e di avere sempre il collo libero di girarsi a destra e a manca ad adocchiare quel che tiene genio d'adocchiare.

In secondo luogo, e forse più d'importanza nella vita (ma causa a sua volta dell'importanza stessa di non portar cravatte): che v'è sempre un momento, nell'esistenza di un uomo, in cui tutto si sovverte e capovolge, che tale momento può essere sconvolgente quanto un incidente ferroviario o banale quanto versarsi un caffè dalla cuccumella, e che tale momento, purtroppo o per fortuna – o forse per mero caso – si può replicare nel tempo e diventare quindi una serie di momenti.

Bruno ne ha due, per ora, uno d'ogni tipo, e per questo li sa discernere.

Rammenta bene il primo, del tipo sconvolgente, e ha il suono dei moschetti e l'odore del grano appena mietuto in terra sicula, là dove s'era fatto spedire mentre suo fratello andava a saltare in aria su una mina per conto d'altri – quelli colla cravatta – che gli avevano ordinato di farlo.

Il primo, insomma, lo tiene incorniciato sul tavolinetto in salotto e lo guarda con occhi simili ai propri, come a ricordargli – a ricordarsi – d'esistere anche fuori dal cuore.

Il secondo è ben lieto sia del secondo tipo, quello banale; com'è ovvio, non solo perché l'intrinseca simmetria gli provoca una sottile soddisfazione, come se vi fosse una qualche parvenza d'ordine nel mondo, ma perché la banalità che fa da controbilanciere allo sconvolgimento diventa un quieto ordine essa stessa.

A pensar bene, forse, non lo definirebbe poi un momento banale; ma forse ciò ha a che fare col fatto stesso del non portare la cravatta e non essere dunque un uomo poi così banale – e per questo la cravatta va elencata per prima, in ordine d'importanza perché il tutto abbia un senso.

Il secondo momento, dunque, lo coglie nella stanza privata d'un bordello, nel bel mezzo di un amplesso – e no, deve ammettere pure a se stesso che è invero quanto di più prosaico possa esistere al mondo – e non è uno di quei momenti che possa esser incorniciato, se non nella propria testa, foss'anche solo per mantenere un poco di pudicizia.

Non vuol dire, però, che tale momento non immortalabile non abbia sovvertito lui, la sua vita, la sua psiche e per ultimi ma, di nuovo, non per importanza, i suoi lombi e tutto ciò che d'impudico e virile può esser sovvertito e sconquassato nella stanza d'un bordello.

È su questo momento, che Bruno s'è scervellato nell'ultimo mese; ma bisognerebbe proseguire con ordine, dopo aver sovvertito pure quello e confuso ogni cosa in un bailamme.

Va quindi detto ora, in un modo che a questo punto può sembrare scombinato, che il commissario Luigi Alfredo Ricciardi porta la cravatta; e, per giunta, à pois. Indossa anche, se è per questo, sempre un tre pezzi raffinato, color grigio o antracite e, rare volte, quasi in segno di festa, gessato; così come porta i capelli d'una lunghezza consona, acconciati con un unico avvitamento fuori dai ranghi sulla fronte.

Non porta, però, il cappello: se ne va in giro a capo scoperto col solleone così come col diluvio o la burrasca, quasi non avvertisse calura o pioggia o vento sulle ciocche corvine.

Ciò, a Bruno, era sempre sembrato molto simile al non portare la cravatta.

È per questo che Ricciardi, a Bruno – sebbene porti la cravatta – è sempre andato piuttosto a genio. Ed è sempre per questo che, in fin dei conti, è stata tutta colpa d'Alfredo.

Note dell'Autrice:

Cari Lettori,
io... io non dico niente. Ecco.

Questo è un esperimento, semplicemente, e mi sono divertita da matti a scriverlo. Nei prossimi capitoli tornerò allo stile consueto (con qualche variazione), quindi mettetevi comodi.
Spero solo che vi divertirete a leggere almeno quanto mi sto divertendo io a scriverla.

E sto andando a braccio, perciò... capitoli previsti: 4; capitoli probabili: 10+.

Fatemi sapere che ne pensate, se vi va ♥

-Light-

P.S. Se ci leggete, vagamente, del Pirandello, avete letto benissimo (nel senso che magari, mi piacerebbe, ma l'ispirazione è quella con un pizzico di Svevo).

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